Tito Boeri, la Repubblica 3/12/2013, 3 dicembre 2013
QUEL TAGLIO ROZZO ALLE PENSIONI D’ORO
IL SENATO dovrebbe essere particolarmente sensibile alle persone di una certa età. Eppure quel taglio alle cosiddette pensioni d’oro degli italiani introdotto all’ultimo minuto nel maxiemendamento alla legge di stabilità è di una rozzezza inaudita.
Per raccattare qualcosa come 25 milioni di euro (al netto del calo del gettito associato alla riduzione delle prestazioni), si decurtano del 6% le pensioni al di sopra dei 90.000 euro e del 18% quelle al di sopra di 190.000 euro all’anno. Non si capisce la ratio di questo provvedimento. Se si vuole tassare chi ha redditi elevati, bisogna aumentare le aliquote Irpef sugli scaglioni più alti, intervenire sui redditi complessivi anziché tagliare le sole (e singole) pensioni. E quando si interviene su trattamenti previdenziali in essere ci vuole la massima cautela. Un governo che in modo del tutto arbitrario taglia tutte le pensioni al di sopra di una certa cifra invita i contribuenti a eludere se non evadere i propri versamenti pensionistici e, soprattutto, a considerarli come una tassa anziché una forma di risparmio, pur forzosa, volta a garantirsi una vecchiaia tranquilla. Inoltre l’equità intergenerazionale di un sistema pensionistico legittima solo interventi su quella parte della prestazione che non è giustificabile alla luce dei contributi versati, vale a dire la differenza fra le pensioni che si sarebbero maturate con il sistema contributivo e quelle effettivamente percepite.
Di quanto si tratta? Secondo le stime contenute in uno studio di Fabrizio e Stefano Patriarca (vedi www.lavoce.info), per le pensioni d’anzianità dei dipendenti privati che hanno cominciato a essere erogate durante i cinque anni dal 2008 al 2012, il vantaggio rispetto al sistema contributivo sarebbe di quasi 3 miliardi e mezzo, di cui più di 2 per pensioni superiori ai 2.000 euro al mese. In genere, il vantaggio aumenta con l’importo delle pensioni e tra chi ha trattamenti superiori ai 5.000 euro si trovano anche persone che, col contributivo, avrebbero pensioni pari alla metà di quelle percepite. Si tratta soprattutto di chi si è visto riconoscere forti incrementi retributivi sul finire della propria carriera. Ma vi è anche chi ha subito gli effetti dei pochi aggiustamenti redistributivi che operavano nell’ambito del sistema pensionistico precedente. Il beneficio per le pensioni di vecchiaia è più contenuto, circa la metà di quello di chi è andato in pensione d’anzianità. Inoltre il divario rispetto al contributivo è più alto per chi è andato in pensione prima del 2008, quando era più facile ritirarsi dalla vita attiva prima di raggiungere l’età di pensionamento di vecchiaia e con pensioni piene. Oggi vengono erogate pensioni d’anzianità per, più o meno, 110 miliardi, di cui circa il 50 per cento per trattamenti superiori ai 2.000 euro al mese. Con mediamente il 40 per cento di queste pensioni associato a un premio rispetto al sistema contributivo, la base tassabile per i soli beneficiari di pensione d’anzianità e che hanno trattamenti al di sopra dei 2.000 euro, sarebbe dell’ordine di 22 miliardi. Un contributo del 5 per cento su questa differenza frutterebbe più di un miliardo. Non poco.
Un prelievo circoscritto a quanto avuto in più rispetto ai contributi versati darebbe un messaggio forte e chiaro ai lavoratori, quelli che pagano le pensioni agli attuali pensionati: se i vostri accantonamenti previdenziali vi danno diritto a prestazioni calcolate con il metodo contributivo (ciò che ormai vale per tutti i lavoratori in Italia), non avrete nulla da temere, le vostre prestazioni future non verranno mai toccate dal consolidamento fiscale. Anche se ci trovassimo alla canna del gas, tuteleremo comunque le pensioni contributive. Affermando questo principio, si potrebbe anche cogliere l’occasione per migliorare il grado di conoscenza dei lavoratori, soprattutto di quelli più giovani, sul funzionamento del nostro sistema pensionistico. Chiarendo che le loro prestazioni future verranno determinate sulla base dei contributi versati durante l’intero arco della vita lavorativa, rivalutate in base all’andamento dell’economia, i contributi versati non apparirebbero come tasse, ma come un modo di garantirsi standard di vita adeguati quando si andrà in pensione. Si avrebbero, in questo modo, gli effetti benefici sull’offerta di lavoro di un taglio del cuneo fiscale (un aumento dei salari netti) senza neanche realizzarlo.
Il fatto di essere un paese in cui tutti i contributi previdenziali vengono ormai versati nell’ambito di un sistema pensionistico sostenibile ci offre peraltro anche un vantaggio nei confronti degli altri paesi della crisi del debito pubblico e della stessa Germania. Il fatto è che una riduzione dei contributi fa aumentare il disavanzo corrente, ma ridurrà automaticamente quelli futuri per il minor debito implicito associato al pagamento delle pensioni, man mano che queste andranno a maturazione. Non ci risulta che questa proprietà del nostro sistema previdenziale sia stata fatta valere nei negoziati a livello comunitario sulla legge di stabilità. Eppure è nella logica molto simile agli argomenti che abbiamo utilizzato per poter saldare i debiti commerciali della Pa nei confronti delle imprese. Anche in quel caso si è reso esplicito un debito che prima era solo implicito, senza aumentare di fatto il debito pubblico. Un taglio graduale, ma consistente degli oneri previdenziali andrebbe in controtendenza rispetto a quanto avverrà in Germania a partire dal 2015, dove si preannuncia un incremento consistente dei contributi pensionistici in virtù dell’accordo di coalizione fra Angela Merkel e i socialdemocratici. Questo significa ossigeno per le nostre esportazioni, la tanto invocata svalutazione (fiscale) ottenuta pur rimanendo nell’Euro.
Dal discorso di investitura di Letta ad oggi abbiamo contato qualcosa come 53 diversi annunci da parte di esponenti della coalizione di governo sul futuro dell’Imu e ben 9 denominazioni diverse per una tassa impazzita. Si tratta molto probabilmente, in entrambi i casi, di una sottostima. Non possiamo permetterci che le pensioni diventino la nuova palestra su cui si cimenta una classe politica alla affannosa ricerca di coperture per qualche decina di milioni. Se la nuova maggioranza vuole essere diversa da quella che ci ha governato negli ultimi sette mesi, bene che lo dimostri fin da subito muovendosi con la dovuta cautela in quel negozio di porcellane che sono le pensioni.