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 2013  dicembre 03 Martedì calendario

MPS, COSÌ NASCOSERO ALEXANDRIA


Il collegamento tra la ristrutturazione di Alexandria e i repo sui Btp condotti con Nomura non era evidente alla Banca d’Italia durante l’ispezione del 2011, ma venne soltanto ipotizzato. È stato questo ieri il succo dell’interrogatorio di Gianpaolo Scardone, il capo degli ispettori di Via Nazionale al Monte dei Paschi, durante un’udienza del processo senese.
Alexandria, il derivato che Mps comprò nel 2005 da Dresdner Bank, venne ristrutturato nell’estate del 2009 con Nomura per eliminare una perdita potenziale di 220 milioni. Nel dettaglio Rocca Salimbeni vendette Alexandria al colosso giapponese al valore nominale di 400 milioni e in cambio comprò Btp a scadenza 2034 per 3,05 miliardi in asset swap (cioè trasformati da tasso fisso a variabile). La banca senese, però, non disponeva della liquidità per comprare quella valanga di titoli di Stato e così ricorse a un long term repo (cioè un pronti contro termine a lunghissimo termine) del medesimo importo: in sostanza i Btp vennero ceduti a Nomura in cambio di un corrispettivo in denaro, con l’impegno a riacquistarli in futuro a un prezzo maggiorato. Il collegamento tra le due operazioni (la ristrutturazione Alexandria e i repo sui Btp) era esplicitato soltanto del mandate agreement, il documento nascosto a Bankitalia e conservato fino all’ottobre 2012 nella cassaforte dell’ex direttore generale, Antonio Vigni. «Mancava la prova provata che le due operazioni stessero insieme», ha spiegato ieri Scardone durante l’udienza del processo su Alexandria che vede imputati l’ex presidente Giuseppe Mussari, l’ex dg Antonio Vigni e l’ex numero uno dell’area finanza Gianluca Baldassarri. «C’è stato ostacolo (alla Banca d’Italia, ndr) perché fummo costretti a rilevare gli effetti economici delle due operazioni senza poterle quantificare», ha puntualizzato Scardone. L’ex ispettore, oggi top manager di una Cassa di risparmio, ha aggiunto che senza la chiave di lettura del mandate agreement «non sapevamo che il repo sui Btp doveva avere un esito negativo per Mps, perché collegato alla ristrutturazione Alexandria». Il rapporto ispettivo mise infatti in luce che il repo sui Btp al 2034 aveva creato un serio problema di liquidità alla banca. Tra i possibili impatti della sola operazione nella relazione ispettiva fu indicato, ricorda Scardone, anche il rischio «di sopravvivenza della banca». A giudizio di Scardone la conoscenza del mandate agreement sarebbe stata decisiva per la stessa ispezione: «Saremmo stati più severi se avessimo avuto in mano il mandate». Se avessero avuto in mano la prova di un collegamento tra le due operazioni gli ispettori avrebbero infatti chiesto alla banca di far emergere gli effetti negativi per il Monte già nel bilancio 2009. Secondo Scardone, la controprova è che Bankitalia chiese a Mps il restatement di bilancio dopo la scoperta del mandate (settembre 2012) e non sulla base della precedente ispezione.

Sempre ieri al processo è intervenuto anche l’attuale amministratore delegato della banca, Fabrizio Viola, che ha parlato del «grave danno» reputazionale riportato dalla banca dopo lo scoppio dello scandalo Alexandria. Il banchiere ha inoltre ricostruito come il 10 ottobre 2012 arrivò ad aprire una cassaforte, di cui prima ignorava l’esistenza, all’interno della quale c’era il mandate agreement. Viola ha inoltre ricordato che i top manager del Monte avevano dubbi sull’operazione Alexandria, ma che non avevano prove del suo collegamento con altre operazioni di finanziamento. «C’erano dei dubbi, ma l’esatta contezza della modalità di contabilizzazione l’abbiamo avuta solo dopo il ritrovamento del mandate», ha puntualizzato il banchiere.
Sempre ieri intanto Consob ha resto noto che Unicoop Firenze, storico socio di Mps, ha ridotto la propria partecipazione dal 2,727 all’1,776%. Oggi intanto si riunirà la deputazione generale della Fondazione Mps che con ogni probabilità discuterà della polemica sulla tempistica dell’aumento di capitale da 3 miliardi.