Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 3/12/2013, 3 dicembre 2013
RENZI E CIVATI: DUE FRATELLI, UNO HA FATTO LE MAGISTRALI, L’ALTRO RAGIONERIA; UNO BOY SCOUT, L’ALTRO PIONIERE; UNO PIACE ALLA MAMMA, L’ALTRO ALLE FIGLIE
Marcel Proust aveva uno stile di vita non compatibile col suo rango sociale. Così, spesso, si rifugiava nel linguaggio gioiosamente infantile dei suoi coetanei aristocratici, che frequentava da imbucato. Racconta lui stesso che, alla fine di una serata mondana in un castello, l’altezzoso duca de Gramont, suo amico, nell’istante in cui stava per firmare il registro degli invitati, lo freddò con un «Il vostro nome, signor Proust _ ma niente pensieri». Questo bagliore mi è venuto alla mente osservando l’incontro triangolare a Sky dei tre candidati alla segreteria del Pd (purtroppo per loro: share 1%). I tre sono stati «allenati» dai loro spin doctors (personalmente uso questo termine per indicare nel mondo del calcio l’allenatore dei portieri), il barese Sasso per Renzi, il fiorentino Mecacci per Cuperlo, l’«americano» Diamanti per Civati. Mi sfugge perché abbiano accettato un «format» che limita a 90 secondi il tempo per ogni risposta. Il risultato, almeno per me, è stato disastroso: ho osservato, lo confesso con simpatia umana, tre persone giovani che anelano a diventare personaggi, costrette a rispondere a domande complicate in tempi talmente ristretti da non poter andare al di là di uno slogan, di un cinguettio. Il più penalizzato è stato di certo Cuperlo, dotato di processi mentali non banali, che ha pagato il prezzo più alto.
Difficile cogliere le differenze fra Renzi e Civati, sembrano due fratelli di una famiglia allargata alto borghese, uno ha fatto le magistrali, l’altro ragioneria, uno boy scout, l’altro pioniere, uno piace alla mamma, l’altro alle figlie, uno scimmiotta Baricco, l’altro Saviano. Invece, Cuperlo è rimasto quello che ricordavo al tempo del mitico «Staff» di D’Alema, con Velardi e Rondolino, e in seconda battuta Kounellis, Ennio Moricone, Matthiae, Elle Kappa, Vissani. Esattamente come allora: asburgico, intelligente, ironico, con puzzetta (q.b.).
Mi soffermo su una sola domanda (quella sulla spending review) delle varie sottoposte ai tre che avrebbe permesso, con un tempo ragionevole, una valutazione più puntuale delle loro vision. Solo all’apparenza è un fatto tecnico come pensano i più, in realtà la spending review è politica pura: se lo risolvi in modo radicale (Saccomanni avrebbe potuto evitare di gigioneggiare dicendo «non è ambiziosissimo»), hai le risorse per fare le riforme, altrimenti devi continuare a tosare i cittadini, suicidandoti, alla Mario Monti. Ebbene, è stata una delusione triangolare, con uno sgradevole attacco di Renzi al Commissario Carlo Cottarelli, contestato, pensa te, sulla «metodologia». È il classico espediente (metodo-contenuti) usato nel mondo sindacale (Cofferati aveva, in proposito, un indubbio talento), che i politici utilizzano quando non sanno cosa dire.
Anche se con Renzi non ci sarà partita, l’incontro ha dimostrato che nessuno dei tre ha le skill per essere Segretario dell’ultimo partito, vero seppur ammaccato. E dire che il segretario perfetto lo ha già: Fabrizio Barca, ai tempi d’oro l’avrebbe nominato il Comitato Centrale per acclamazione, senza queste sceneggiate. In un partito ben strutturato come il Pd, Segretario e Premier devono essere due figure diverse. Scegliendo Renzi, se non si votasse in primavera, il Pd corre il rischio di perdere un Sindaco, un Segretario, un Premier, e lui il rischio di scivolare da top player (della «cantera») a riserva (della Repubblica).
Ma ormai l’establishment giacobino che ci governa ha scelto, e allora non parliamone più: Matteo Renzi sia Segretario e Premier. Ciriaco De Mita è tornato.
Riccardo Ruggeri editore@grantorinolibri.it @editoreruggeri