Elisabetta Ambrosi, Io Donna 30/11/2013, 30 novembre 2013
IN CINA È BOOM DELLA PSICOANALISI VIA SKYPE
William Wang è steso sul lettino. Ha sognato di svegliarsi nel momento in cui un soldato giapponese stava per ucciderlo. Ad ascoltarlo, un terapeuta di un altro continente collegato in videochat, che intuisce l’aggressività espressa dal sogno. Un’aggressività difficile da esternare qui a Hong Kong, come in Cina e a Taiwan, dove l’identità collettiva viene sempre prima di quella personale.
Arrivata negli anni Trenta (quando circolavano persino bottiglie di sciroppo per la tosse con l’immagine di Freud sull’etichetta), poi a lungo bandita dalla rivoluzione culturale negli anni Sessanta e Settanta, oggi la psicoanalisi in Asia vive un autentico boom e si moltiplicano scuole di psicoterapia e terapeuti, quasi sempre formati da maestri statunitensi o europei.
Le autorità sono passate dal sospetto alla tolleranza, e anzi stanno inserendo docenti con una formazione psicoanalitica nelle principali facoltà di psichiatria del Paese, nella speranza che questa pratica serva ad arginare il disagio di una società in cui almeno un adulto su cinque, secondo i recenti dati della rivista The Lancet, soffre di gravi disturbi mentali.
In particolare sono diffuse le depressioni con tendenze suicide, causate da un’altissima competizione sociale e valori morali in rapido cambiamento. «Sono tutti traumatizzati dal passato, ma anche dalla velocità con cui muta il presente: qui si costruiscono autostrade e grattacieli in una notte» racconta Elise Snyder, fondatrice e presidente di Capa, China American Psychoanalytic Alliance.
La prima a muoversi è stata proprio l’associazione statunitense fondata nel 2003, lanciando un programma di training biennale a distanza - a costi accessibili: circa 1.500 dollari - per aspiranti psicoanalisti in Cina. Dai pochi iscritti iniziali, oggi si è arrivati a 160 futuri terapeuti in formazione in 18 città, la maggioranza dei quali si sottopone a un’analisi via Skype, rispettando comunque un setting tradizionale, e a una supervisione. «Quando lessi per la prima volta Freud che parlava di pene e vagina, non capii nulla, lo stesso traduttore del libro probabilmente non sapeva di che cosa si stesse parlando» racconta il dott. Ji Xuesong, psichiatra di Pechino e primo studente del programma Capa.
«Altre cose sono invece più facili da tradurre: per esempio l’inconscio è simile alla nostra idea che gli spiriti possano vivere tra di noi e influenzarci. Così come il complesso di Edipo ricorda quello del “piccolo imperatore”, risultato della politica del figlio unico».
Anche la freudiana International Psychoanalitycal Association (Ipa) e la Iaap, associazione internazionale che fa riferimento alla psicologia analitica junghiana, stanno accelerando nella formazione di analisti in Cina. La prima, che pure è contraria alle sedute via Skype, ha istituito un China Committe per verificare la qualità delle terapie che si svolgono in Asia. La seconda ha creato gruppi di docenti che operano direttamente sul posto.
«Vado con regolarità a Honk Kong, dove oltre a formare i docenti ho anche dei pazienti» spiega la psicoanalista junghiana Marta Tibaldi. Che ha messo a punto anche una tecnica sperimentale che «consente di collegare sedute lontane nel tempo attraverso una o più parole chiave».
Come vedono gli psicoanalisti europei e statunitensi i pazienti dell’altro emisfero?
«Qui dilagano i disturbi di tipo narcisistico, lì c’è ancora un super-io sociale severo» spiega Stefano Bolognini, presidente dell’Ipa. «È vero, le emozioni di base sono identiche » aggiunge Tibaldi. «In Asia, però, il senso del gruppo è ancora fortissimo, per cui l’espressione delle emozioni resta indiretta. Così, è più facile che un paziente scriva di sé in terza persona, oppure gli si chiede di utilizzare i giochi di sabbia».
Tutti concordi anche nel mettere in guardia da ogni forma di colonizzazione culturale. «Altro che evangelizzazione, là abbiamo da imparare. Invece che insistere sui traumi individuali sepolti nella psiche di ciascuno, da noi la terapia dovrebbe ricominciare ad avere un’attenzione sociale» conclude la psicoanalista junghiana. «Per questo lo scambio culturale è importantissimo, tanto più che loro sono straordinariamente interessati alla nostra cultura: pensi che proprio nelle settimane scorse sono intervenuta a Taipei in una conferenza dedicata al ventennale della morte di Federico Fellini. Qui sono affascinati dal suo universo onirico».