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 2013  dicembre 02 Lunedì calendario

A NAPOLI UN DECLINO ANNUNCIATO


Napoli all’ultimo posto: è la 107ª nella graduatoria 2013 elaborata dal Sole 24 Ore che ogni anno misura la qualità della vita nelle province italiane. Retrocede di una posizione rispetto al 2012, quando si era piazzata al livello numero 106, seguita da Taranto. Insomma, si aggrava (anche se di poco), secondo l’indagine, una situazione che già l’anno scorso appariva molto critica. Se facciamo un salto indietro di qualche anno, invece, ci accorgiamo che nella stessa graduatoria la provincia di Napoli occupava uno scranno più alto: nel 2000 era infatti al 64° posto su 103 province.
Oggi l’intera area metropolitana, con i suoi tre milioni di abitanti circa, si caratterizza per un tenore di vita molto basso. Dalla ricerca emerge che nella provincia partenopea il valore aggiunto pro capite è molto contenuto (meno di 15mila euro contro 22mila della media nazionale e i 28mila della prima classificata, Trento); ma sono inferiori rispetto alla media anche i depositi bancari per abitante e quanto al trend dei consumi non c’è provincia la cui spesa sia cresciuta meno negli ultimi tre anni.
Scarse disponibilità economiche, impresa e mondo del lavoro in affanno, servizi in molti casi carenti, ordine pubblico fortemente minacciato: questo il quadro che emerge.
Su di esso pesa non poco la performance della città capoluogo che sembra tradire le speranze di rilancio riposte nell’amministrazione di Luigi De Magistris. Spazzati via i rifiuti dalle strade e conclusi con successo alcuni grandi eventi, Napoli sembra ritornata nel torpore, con un deficit di bilancio molto alto che ha richiesto l’intervento statale, mentre su troppi fronti regna la paralisi. Bagnoli è dimenticata e le periferie sono in uno stato comatoso.
Gravi in ogni caso i problemi di tutta la provincia, da nord a sud. «I governi locali spesso si rivelano inadeguati – bacchetta Michele Lignola, direttore dell’Unione industriali di Napoli – ma registriamo anche una asimmetria, a svantaggio di tutto il Sud, negli effetti delle manovre adottate negli ultimi anni dal Governo nazionale. Esse determinano effetti recessivi più gravi nel Mezzogiorno. L’attenzione verso le aree urbane al contrario è necessaria poiché è in esse che si concentrano le maggiori potenzialità di crescita».
Vita difficile per le imprese e per il mondo del lavoro in generale. A settembre 2013 le imprese registrate sono numericamente inferiori della media nazionale (meno di nove ogni 100 abitanti rispetto a 10,5). E nonostante ciò, nell’area tra il golfo e il Vesuvio, si registra un record di procedure fallimentare da far meritare alla provincia la postazione 106 con un indice di 38,5 pratiche ogni mille imprese registrate contro 18,7 di media (macroscopicamente lontano dal valore di 10,69 della provincia di Trento in testa alla classifica).
«L’alto numero di fallimenti, nonostante il significativo ricorso al concordato in bianco che sta dando qualche risultato positivo – spiega Massimo Di Lauro, avvocato fallimentarista – si registra sopratutto nel commercio. Sono determinati dalla crisi che colpisce persino marchi storici, ma anche dalla diffusa illegalità: scopriamo società di comodo che vengono costituite per far debiti e a stretto giro falliscono, non lasciando niente in cassa ai creditori».
Illegalità che significa anche difficile ordine pubblico per furti d’auto (577 ogni 100mila abitanti rispetto a un valore medio di 124), estorsioni, truffe e frodi.
E se le imprese sono in affanno si aggrava la disoccupazione. La bassa occupazione delle donne (24% nel 2012 mentre la media supera il 47,4%) è un altro record negativo della provincia di Napoli. «I comuni non adottano il contratto Campania – commenta Lina Lucci, segretario regionale della Cisl – vanificando in questo modo le opportunità offerte dalla Regione sin dal 2011». E aggiunge: «Quanto al lavoro delle donne, è ostacolato dalle difficoltà di conciliare famiglia e lavoro. Per questo molte rinunciano a cercare occupazione». Una prova? La provincia è al 104° posto nella classifica riferita al grado di copertura offerta dagli asili nido.
Non manca però qualche sorpresa positiva. La provincia di Napoli si piazza alla decima posizione per dotazione infrastrutturale. E per copertura della banda larga è addirittura terza. «Certo – spiega Ambrogio Prezioso, responsabile dell’Ufficio studi dell’Unione industriali di Napoli – il rapporto tra chilometri di ferrovia e abitante è molto alto e a livelli pari a quelli delle principali città europee. Ma ci sono voluti troppi anni per realizzare reti che ancora non sono ultimate, cosicché i benefici su qualità della vita e sviluppo non sono ancora percepiti, specialmente nelle periferie e nella provincia».
Se la rete c’è, del resto, il servizio fa acqua e le aziende che lo gestiscono sono al tracollo. A dispetto di una crisi grave e generale, nel Napoletano resta alto il costo della casa a metro quadro (è 102ª con 3.350 euro di media per un appartamento nuovo semicentrale). «In realtà – avverte Prezioso – ciò è dovuto a un’offerta di qualità limitata, poiché si è fatto poco per migliorare il patrimonio abitativo in buona parte degradato. Si pensi che il fabbisogno di casa è molto più alto della media nazionale. Intanto oggi le transazioni sono ferme».
Infine, un’ultima constatazione amara: è poco diffuso, nella provincia di Napoli, il volontariato (20 ogni mille abitanti quando la media è 90). Come dire che chi si misura con tanti problemi poi fa fatica a dare il proprio contributo a chi sta peggio.