varie, 3 dicembre 2013
Sul pomodoro
Pomodori per Sette – Maggior esportatore di pomodori al mondo: Paesi Bassi. Nel 2012 il loro export ha sfiorato 1,8 miliardi, 100 milioni in più rispetto ai secondi, i messicani. Al terzo posto gli spagnoli, poi turchi e francesi. Il terreno coltivato a pomodori in Olanda è di 1.700 ettari. In Italia gli ettari su cui si coltivano pomodori da mensa sono 16.325; quelli per il prodotto da inscatolare (conserve, pelati eccetera) superano 75mila. Dice Annibale Pancrazio, produttore: «Noi siamo un grande Paese che consuma una parte rilevante di quanto produce». Il pomodoro (Solanum lycopersicum) è una pianta della famiglia Solanacee (come melanzane, patate e peperoni), annuale, con fusto 0,7 a 2 metri, pubescente (cioè ricoperto di corti peli), con foglie grandi, d’un verde cupo talora tendente al verde pallido. I fiori, riuniti in grappoli ascellari, hanno corolle gialle o giallastre. Il frutto del pomodoro è una bacca costituita dalla buccia (epicarpo), dalla polpa (mesocarpo) e dai semi. Tutte le parti verdi della pianta contengono solanina e sono tossiche. «Lycopersicum» vuol dire «pesca dei lupi». Il 10 maggio del 1893 la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì una volta per tutte che, davanti alla legge, il pomodoro è una verdura. La questione era nata nel 1883: il Congresso aveva approvato una nuova legge (chiamata “legge bastarda”) sulle tariffe doganali, secondo cui tutte le verdure importate negli Stati Uniti erano soggette al pagamento del 10% sul loro valore. La frutta, invece, non era soggetta alla stessa tariffa, potendo essere importata senza il pagamento di dazi doganali. I pomodori sono il prodotto della fecondazione dell’ovario della pianta, e dunque rientrano a tutti gli effetti nella definizione botanica di «frutto» data dalla botanica. Il pomodoro, originario delle Ande, veniva coltivato in Messico dagli Aztechi che lo chiamavano “xitomatl”, ovvero “frutto polposo”. Il pomodoro arrivò in Europa verso la metà del 1500. All’inizio, però, si coltivava solo come pianta ornamentale perché nessuno lo riteneva buono da mangiare. «Nella casa dei Cortellari, dentro la stanzuccia del mago, alla notte del sabato, Cicho il mago ritorna a tagliare i suoi maccheroni, [l’angelo] Jovanella di Canzio gira la mestola nella salsa del pomodoro ed il diavolo con una mano gratta il formaggio e con l’altra soffia sotto la caldaia. Ma diabolica o angelica che sia la scoperta di Cicho, essa ha formato la felicità dei napoletani e nulla indica che non continui a farla nei secoli dei secoli» (Matilde Serao nel racconto del Segreto del Mago, ambientato nel 1220, cioè quasi tre secoli prima che il pomodoro arrivasse in Italia). Appena giunto dalle Americhe, alcuni lo ritenevano afrodisiaco. Per questo in Francia lo chiamarono «pomme d’amour», nome presente, tra l’altro, anche in alcune zone della Sicilia, dove è chiamato «puma d’amuri». I primi frutti giunti in Europa erano gialli, per questo nel Cinquecento il medico e botanico senese Pietro Andrea Mattioli li battezzò «pomi d’oro». Attraverso tecniche di incrocio delle specie e combinando differentemente il licopene e la clorofilla presenti sulla buccia, sono stati ottenuti pomodori di colore marrone scuro (Nero di Crimea), verde-avorio (Green Zebra), rosso-arancio con striature bianche (Tigerella) e viola (Sun Black). Il 34% del pomodoro italiano che finisce in scatola viene coltivato in Emilia-Romagna, il 35% in Puglia, il 5% in Campania. Secondo Coldiretti/Eurispes nella provincia di Salerno arriva il 98% del concentrato di pomodoro cinese importato per essere rilavorato nelle industrie campane I pomodori italiani trasformati (passata, polpa eccetera) sono quelli che hanno meno residui chimici: solo lo 0,3% è irregolare, mentre la media europea è dell’1,5% quella extracomunitaria del 7,9%. Acqua necessaria per produrre un chilo di pomodori: 130 litri. Gli italiani - secondo una valutazione di Coldiretti - consumano 550 milioni di chili di pomodori in scatola l’anno e ogni famiglia ne compra 31 chili. Ogni famiglia ne conserva almeno 1,5 - 2 chili nella dispensa. La confezione più diffusa è quella da 400 grammi. Il 47,8% li considera indispensabili Craxi confessò a Sandra Milo che una volta, da giovane socialista, era andato in Germania portandosi dietro confezioni di spaghetti e scatole di pomodoro. Poi, non si sa come, gli spaghetti erano spariti, gli erano rimaste le scatole di condimento, e aveva pranzato solo con i pomodori da sugo. Il primo a mettere i pomodori in scatola, nel 1856, fu Francesco Cirio, manovale piemontese di Nizza Monferrato. Impiantò un’industria a Torino, nel 1867 presentò i suoi prodotti all’Esposizione Universale di Parigi e iniziò a esportare in tutto il mondo (il re Umberto I gli diede la «Commenda della Corona d’Italia»). Nel 1891, però, l’azienda fallì provocando il crollo del Credito Mobiliare, principale finanziatore. Francesco Cirio, allora, emigrò a Napoli e nel 1894 aprì la nuova sede a San Giovanni a Teduccio. Nel 1900, anno della sua morte, l’azienda da lui fondata era una delle più importanti in Europa. Prima di Pellegrino Artusi (1820-1911) il pomodoro sulla pasta non si metteva. La salsa di pomodoro, anche secondo i ricettari napoletani, era ottima per accompagnare la carne, il pollo, le uova, tutto tranne la pastasciutta. Le prime segnalazioni dell’impiego del pomodoro come alimento commestibile risalgono al XVIII secolo. A Napoli, nel 1839, Don Ippolito Cavalcanti, nella sua Cucina teorico pratica racconta quella che era diventata una moda: condire i «vermicelli con le pommedore». Fino a metà Ottocento la pasta era solo in bianco, «incaciata», cioè cosparsa di formaggio. Quando si cominciò a mettere il pomodoro, sorse la difficoltà delle forchette: avevano soltanto tre denti e raccoglievano la pasta facendo scivolare via la salsa. Perciò, spinto da Ferdinando II di Borbone, il ciambellano di corte inventò la forchetta a quattro rebbi, molto più efficace. «La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quello che, per lo sviluppo della coscienza sociale, è stata la rivoluzione francese» (Luciano De Crescenzo). Prima dell’arrivo dei pomodori, per dare il sapore aspretto ai sughi, si usavano le arance. «Il pomodoro oggi si ritrova in ogni sugo, anche dove non c’entra nulla, come sul pesce o nel nero di seppia. Il pomodoro è il vero simbolo nazionale. Se un italiano ha una macchia sulla camicia, è una macchia di pomodoro». (Aldo Cazzullo) Sugli spaghetti col pomodoro fresco anatema del futurista Marinetti: «Assurda religione gastronomica italiana». Chateaubriand, in visita alla tomba di Dante a Ravenna, che stacca da una corona posata ai piedi del monumento un po’ di foglie d’alloro e le ripone nel panciotto commentando «niente di meglio per i maccheroni al pomodoro». La pasta col pomodoro secondo la ricetta di Gianfranco Vissani: «Tritate la cipolla in pezzi piccolissimi e fatela sudare nell’olio. Aggiungete i pomidoro pelati e un “bouquet garni” preparato con due coste di sedano chiuse a barchetta e legate con un filo nel cui interno avrete posto altri odori a vostro gusto. Appena si alza il bollore togliete il “bouquet garni” e, mescolando con una frusta, omogeneizzate la salsa, che non deve essere passata. Mettete un pizzico di zucchero, aggiustate di sale, e fate bollire ancora per otto o dieci minuti. Non di più». Il giornale di Villeurbanne, alle porte di Lione, che negli anni Trenta deplorava «il cattivo odore di pomodoro e parmigiano» che usciva dal quartiere abitato dagli immigrati italiani. «Il pomodoro non dorme perché l’insalata russa» (Stefano Bartezzaghi) «Due pomodori si incontrano: uno è felice, l’altro no. Allora il pomodoro felice dice: “Perché sei così triste?”. E il pomodoro triste: “Perché ieri la mamma è passata”» (il comico Leonardo Manera). Campagna su Facebook lanciata l’anno scorso dall’Associazione islamica popolare egiziana, di ispirazione salafita: «Non mangiate pomodori perché, se tagliati in verticale, rivelano la presenza di una croce di Gerusalemme, cioè un simbolo cristiano». Criticati, hanno corretto: «Mangiateli, ma solo se tagliati in orizzontale». I pomodori innaffiati con acqua di mare contengono maggiori quantità di vitamine e antiossidanti (anche 30% in più). Lo hanno scoperto ricercatori di Pisa. Il licopene, l’antiossidante contenuto nella buccia del pomodoro, finora considerato utile contro il tumore della prostata, fa bene anche contro infarto e ictus. Il licopene è però assimilabile solo se cotto: per permettere al corpo di beneficiare di questo antiossidante sarebbe necessario in teoria consumare ogni giorno un chilo di pomodori che in forma concentrata si trasformano in 100 grammi. Altro esperimento: il telefonino provoca sui pomodori un disturbo cellulare potenzialmente nocivo. Dicono i ricercatori dell’università di Clermont-Ferrand: «Le piante dei pomodori esposte ai telefonini soffrono come farebbero in periodi di gran caldo o di gelo, cioè interpretano le onde dei telefonini come un pericolo». Nei laboratori dell’Università della Florida, a Gainesville, è nato il pomodoro perfetto: rosso intenso, profumato, saporito, è resistente agli effetti deleteri della refrigerazione e del trasporto. I ricercatori hanno prima centrifugato i vari tipi di pomodoro coltivati nelle serre americane, ne hanno estratto i composti aromatici e li hanno classificati e quantificati. In seguito hanno sviluppato ibridi che esaltassero al massimo il meglio, riducendo al minimo il peggio. Harry J. Klee, responsabile dell’équipe di ricerca, è convinto che tra 4-5 anni il prodotto sarà pronto per la coltivazione a fini commerciali. Scienziati europei, col progetto Flora, stanno lavorando al super pomodoro anticancro e antinvecchiamento. Creato da Cathie Martin del John Innes Centre, di colore viola, è ricco in antocianine, antiossidanti del gruppo dei flavonoidi, di cui i pomodori normali (pur ricchi di anticancro come i licopeni) sono privi. Ha funzionato sui topi, allungando in modo significativo la vita del gruppo che lo aveva nel menu. Ora partirà la sperimentazione sull’uomo con i test clinici in Inghilterra. La “Tomatina”: decine di migliaia di persone che si tirano pomodori, l’ultimo mercoledì di agosto, a Buñol, vicino Valencia. Nel 2011, tanto per fare un esempio, sono state lanciate 120 tonnellate di pomodori.