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 2013  dicembre 02 Lunedì calendario

LA GUERRA DEI FUSI ORARI: QUESTIONE DI LUCE E POTERE


La zona oraria che attraversa in pieno la Spagna - corre a ovest di Barcellona, dividendo anche in questo senso la Catalogna dal resto del Paese - sarebbe quella di Greenwich. Eppure Madrid rispetta l’orario del centro Europa: quello di Parigi, Berlino, Roma e perfino di Varsavia, che è quasi 3000 chilometri più a est. D’altronde, a chiunque abbia fatto un salto nella capitale della Castiglia sarà capitato di vedere che la gente mangia tardissimo e la sera è difficile trovare ristoranti pieni prima delle 10 o le 11. Forse non si tratta solo di cultura locale, se una commissione parlamentare ha concluso un paio di mesi fa chiedendo di considerare di mandare avanti l’orologio di un’ora. “Per 71 anni”, si legge nel rapporto, “la Spagna ha adottato il fuso orario sbagliato”, un fatto che ha creato l’illusione ottica di un popolo che si sveglia, lavora e mangia in ritardo. “Dormiamo un’ora in meno da quello che consiglia l’Organizzazione Mondiale della Sanità”, continua il rapporto parlamentare “e tutto ciò ha un effetto negativo sulla produttività”. C’è da dire che la sfasatura permanente degli spagnoli non è accidentale, ma si deve in realtà alla volontà politica del generale Franco, che volle “spostare” l’ora del Paese per fare un omaggio alla Germania nazista con cui era alleato. Non sembra un caso, invece, che il Portogallo abbia adottato l’ora “naturale” di Greenwich (dunque un’ora indietro rispetto a Madrid) magari anche per differenziarsi dai poco amati cugini iberici.
Un secondo caso tutto europeo riguarda la Gran Bretagna, ovvero l’isola che ospita insieme l’Inghilterra e la Scozia. Indiscutibilmente il Paese si trova sul primo meridiano, quello di Greenwich, villaggio sul Tamigi ormai divenuto un quartiere di Londra.
In fuga da Greenwich
Gran parte del Paese, e soprattutto la capitale, dove si trova il suo motore economico e finanziario ha un problema: seguendo il fuso orario “naturale”, il sole d’inverno tramonta prestissimo – intorno alle 3 del pomeriggio in questi giorni di dicembre, cosa che non avviene invece in capitali europee distanti ormai solo due ore di treno come Parigi e Bruxelles. Le conseguenze del tramonto anticipato sono sia economiche (si accendono le luci prima negli uffici o in casa il pomeriggio) che psicologiche, dato che l’umore degli inglesi potrebbe risentirne. Così i maggiori partiti hanno depositato alla Camera dei Comuni fin dalla scorsa legislatura una proposta di legge che sembra l’uovo di Colombo: basta tenersi l’ora legale tutto l’anno ovvero adeguarsi all’ora dell’Europa continentale (senza dirlo esplicitamente, però, a rischio di perdere un po’ di britishness). Perché la legge non è stata approvata? I circa cinque milioni di residenti in Scozia si oppongono. Il cambiamento di ora porterebbe mattinate buie fino alle 9 o alle 10 del mattino. In Venezuela, invece, non ci sono problemi di albe o tramonti invernali, ma la questione del fuso orario è stato ugualmente un tema importante della cosiddetta rivoluzione bolivariana. Nel 2007 l’allora presidente Hugo Chavez decise che il Venezuela non doveva aderire ad una differente zona oraria, ma portare le lancette mezz’ora indietro rispetto alle città che sarebbero sullo stesso asse solare. La stranezza non sta nella mezz’ora, dato anche altri Paesi adottano soluzioni bizzarre, che vengono definite frazionarie: tra questi un gigante come l’India, ma anche l’Afghanistan e la Birmania, mentre il Nepal si differenzia dall’India per soli 45 minuti. Ma perché Caracas aveva bisogno della nuova ora? Così commentava alla Bbc David Rooney, “custode del tempo” del Royal Observatory di Greenwich: “La politica gioca sempre un ruolo molto importante nella scelta del tempo da adottare. Stabilire l’ora ufficiale di una nazione è uno dei molti modi per mostrare in quali mani è il potere”.
Il potere sul tempo
Il potere, appunto: l’imperialismo del tempo, si potrebbe dire. Uno dei casi più scioccanti è certamente quello della Cina. Il Paese si estende di fatto tra quattro o cinque fusi orari, e prima cinque poi tre sono ne stati adottati in passato entro i suoi enormi confini. D’altronde la Russia, il Paese più grande del mondo, attraversa 11 zone temporali diverse, 5 il Canada e gli Stati Uniti, e 3 l’Indonesia. Al contrario, nella superpotenza asiatica l’ora è una sola: quella di Pechino. Quella ufficiale, naturalmente. E questo vale anche per le province più occidentali, che si spingono ben oltre i confini storici della Grande Muraglia, lì dove il sole sorge appena quando a Shanghai metà della giornata lavorativa se ne è già andata. E vale, naturalmente , anche nel remoto Tibet, che Pechino ha cercato di avvicinare con il treno e la sinizzazione forzata nelle scuole e sui luoghi di lavoro. Parlare mandarino, pensare cinese ed essere sul fuso orario della capitale sono tutt’uno. Un ipotetico, ad oggi neppure immaginabile, Tibet indipendente metterebbe sicuramente subito mano all’orologio, adattando il tempo ufficiale a ritmi solari più consoni.
L’esercizio del potere adatta e a volte persino stravolge le convenzioni scientifiche. Ma di convinzioni si tratta, appunto, anche se basate su fatti astronomici come la sfericità del nostro pianeta e la diversa posizione del sole a seconda di dove ci troviamo nel mondo. Samoa è un gruppo di isole del Pacifico un po’ sfortunate: i suoi abitanti vivono dalle parti dell’immaginaria linea del cambio di data, cioè quella prima della quale è un giorno e dopo la quale ne inizia uno nuovo. Anzi, ad essere precisi, l’arcipelago samoano si trova a soli 32 chilometri a est dal confine tra un giorno e l’altro. Con il risultato che quando si vuole comunicare con la relativamente vicina Nuova Zelanda e con la non lontana Australia le ore di differenza sono almeno 23. Spostare le isole certo non si può, ma la data sì. Così due anni fa il governo di Samoa ha quindi deciso che valeva la pena tuffarsi da giovedì 30 dicembre 2011 a sabato 1 gennaio 2012, togliendo di mezzo quello strano venerdì che dunque laggiù non è mai esistito. Idea, in realtà, meno originale di quanto sembra, dato che già l’aveva messa in pratica nel 1995 Kiribati, altro arcipelago nel Pacifico. Perché in tutta questa storia l’incidenza del sole sulla terra e l’oggettività della scienza c’entrano, certo, ma fino ad un certo punto.