Chiara Valerio, L’Unità 2/12/2013, 2 dicembre 2013
FERITE D’ITALIA DA ROSETTA LOY UNA BIOGRAFIA POLITICA DEL PAESE: CRUDA, DURA, SCHIETTA
«È INTANTO COMPARSO UN ENORME CARTELLONE ALLO SVINCOLO FRA TOR DI QUINTO E VIA FLAMINIA DOVE UNA BELLISSIMA BAMBINA BIONDA MI SORRIDE QUANDO TORNO A CASA. HA GLI OCCHI AZZURRI E LE LABBRA CHE SI SCHIUDONO SUL BIANCO DEI DENTINI MENTRE I RICCIOLI DORATI LE RICADONO SULLA FRONTE E DUE MERAVIGLIOSE FOSSETTE RALLEGRANO LE GUANCE. Sotto una scritta recita: “Fozza Italia”. La luminosità del suo viso accompagna il mio percorso mettendomi di buon umore. Ma la scritta mi rimane incomprensibile, e immagino che alluda a qualche nuovo formaggino che sta per essere messo in commercio». Gli anni tra cane e lupo di Rosetta Loy (pp. 304, 13,90 euro, chiarelettere) è un lungo racconto, esatto, annotato, cronologico e nel contempo distopico all’occhio e ai sentimenti di chi legge degli anni 1969-1994. Gli anni «dopo» il 1968 e «prima» dell’avvento politico di Silvio Berlusconi. Un racconto stretto tra la morte di Franco Piga, giudice costituzionale, e quella di Sergio Castellari, per 13 anni direttore delle partecipazioni statali. E, nel mezzo, costellazioni di morti violente, suicidi sospetti, processi decennali, colpi di stato e di testa, abdicazioni, stragi, defezioni, logge e partiti.
Rosetta Loy ricostruisce il cielo boreale al quale guardare per trarre conseguenze e oroscopi per la nostra storia politica a venire. Loy specifica che BR sta per «Brigate comuniste combattenti di prima linea», che P2 sta per «Propaganda due», che la «rivoluzione» non può essere «civile», che Calabresi ha regalato a Pinelli Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli e Pinelli ha regalato a Calabresi Antologia di Spoon River, restituisce insomma senso e spessore a sigle o incontri che sono diventati, negli ultimi trenta anni di eterno presente televisivo, etichette bidimensionali prive di contenuto e di storia, pezzi intercambiabili di una mitologia che non ha visto déi o battaglie tra déi e centauri, ma solo, come appunto si legge fin dal titolo, confusione, incertezza, mestizia immaginativa.
IL PROGETTO DEL NORD
Con una lingua piana e limpida, con una tensione elencativa che già sola come nei longevi del Libro delle Meraviglie di Flegonte di Tralle (Einaudi, 2013) è fatto e interpretazione, Rosetta Loy enumera le regole della grammatica politica della (nostra) storia politica recente. E ne fa l’analisi logica. Piazza Fontana 12 dicembre 1969 ore 16.37 «Milano luccicante di stelle natalizie» nella quale brilla però un ordigno che fa morti e feriti. 31 Marzo 1971, abrogazione dell’articolo 553, pillola anticoncezionale. 15 Marzo 1972, ritrovamento del corpo di Giangiacomo Feltrinelli. 11 Novembre 1973, morte di Salvador Allende. 14 Novembre 1974, Pasolini che sul Corriere della Sera scrive Io so i nomi e poi 2 Novembre 1975, omicidio di Pier Paolo Pasolini all’idroscalo di Ostia. 2 giugno 1977, nomina di Silvio Berlusconi a Cavaliere del Lavoro e 1979 debutto in televisione di Mike Bongiorno. «Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, al Nord emette i suoi primi germogli un nuovo progetto politico. A dargli vita è l’imprenditore Silvio Berlusconi, classe 1936, che al momento del suo ingresso ufficiale nell’alta finanza milanese con cappotto di cammello e uno sfolgorante sorriso, si era ritrovato accanto come amico Bettino Craxi, diventato a quarantadue anni il più giovane segretario del Partito socialista italiano».
Nella corsa di questo elenco, cascata di fatti che la memoria collettiva è ormai incapace di connettere perché fatti e date sono stati trasformati sapientemente, dall’eterno presente televisivo che ci ha ottuso, in cartoline senza destinatario e mittente, Loy apre squarci corsivi nel testo di appercezione, momenti in prima persona, sempre riconosciuti a posteriori, in cui la storia d’Italia le è passata accanto. Il bar in Umbria nel quale sta per prendere un caffè, ma viene distratta da uomini simili a parà che vociano e invadono il piccolo bar e che portano armi alla cintura ma non esibiscono distintivo di corpo (e tempo dopo scoprirà che erano gli uomini per il Golpe Borghese), il pranzo assolato e poi bruciato dall’osservazione di una delle commensali mentre muore Salvador Allende e con lui una idea di liberazione e democrazia, il panino che il figlio Angelo le chiede dal sedile posteriore di una Peugeot in coda sulla Pontina direzione Mare, nei giorni successivi al rapimento Moro e il conseguente «sbandamento politico (...) simile all’oscillazione di una scossa di terremoto in un luogo imprecisato, ma sufficientemente intensa da turbare l’equilibrio».
Non esiste autobiografia politica che non contempli il fatto che l’Io che parla è un noi, «Noi, l’opinione pubblica», come scrive Loy, e che, non si fondi su una dimensione collettiva e dunque politica. Forse per questo Rosetta Loy appartiene all’ultima generazione in cui «Io» può essere «Noi». Ed è per questo che Gli anni tra cane e lupo è autobiografia politica d’Italia. Ed è pure la mia, che appartengo a una generazione per la quale l’etica politica si è trasformata, nel migliore dei casi, nella comprensione dei meccanismi politici e per la quale, in fondo, «capire» e «giustificare» sono, troppo spesso sinonimi. Rosetta Loy ha restituito valenza alle sigle, alle parole, ai costrutti e alle immagini con la coscienza, l’ottimismo e la protervia di chi vuole che si ricominci finalmente discutere di «cose pubbliche», di chi è stanco di un diffuso e mefitico ad personam. Senza lamentazioni, laica, «ferma e chiara».