Alessandro Baricco, La Repubblica 2/12/2013, 2 dicembre 2013
UNA CERTA MAPPA DEL MONDO COSÌ L’UOMO DISEGNÒ LA TERRA
ALLA fine, nel gran rimescolio di carte, rimangono alcuni gesti di intatta bellezza, e per me uno è chinarsi su una mappa e guardarla, leggerla, viaggiarla con la mente. Immagino ci sia qualcosa di infantile, in una simile predilezione. Ma anche la passione per qualsiasi tentativo di mettere in ordine il mondo avrà la sua parte.
E certo la bellezza pura, puramente estetica, di molte mappe, basterebbe a motivare il tutto. Come che sia, guardare mappe, carte geografiche o mappamondi è un gesto incantevole, e quindi risulta tremendamente sciocco perdersi questo libro che si intitola La storia del mondo in dodici mappe (da poco pubblicato in Italia da Feltrinelli). L’ha scritto un accademico inglese (Jerry Brotton) con un’erudizione spettacolare e con quella prosa splendidamente piana che riesce ai divulgatori anglosassoni. In effetti, solo standosene lì a godersi da vicino carte geografiche e mappamondi, quel che ottiene è risalire il corso del mondo: dalla mappe in pietra dei Babilonesi (700 avanti Cristo), a Google Earth (sarebbe il geniale sistema con cui cercate sul computer dove cavolo è l’outlet che vende le borse Fendi a una miseria).
Se pensate che ricostruire la storia del mondo a partire dalle carte geografiche sia arrogante e snob e in definitiva inutile almeno quanto cercare di spiegare la vostra vita attraverso le scarpe che avete comprato, state formulando un pensiero idiota, ma anche lo stesso pensiero che, prendendo il libro in mano, avevo pensato io. Poi Brotton mi ha spiegato bene.
La cosa che è utile ricordare è che le carte geografiche sono impossibili. Sarò più chiaro: è matematicamente impossibile proiettare il globo su una superficie piana. Lo puoi fare, è ovvio, ma quello che ottieni non è la realtà: è una delle rappresentazioni possibili della realtà. Prendete la carta del mondo appesa a scuola, quella che ogni giorno vostro figlio di sette anni si stampa in mente: come mai l’Europa è al centro? Perché il Nord è sopra e il Sud è sotto? E soprattutto: gliel’avete detto al figlio che le proporzioni sono sballate, e l’Africa è molto più grande di così? Di fatto, la proiezione grafica del globo a cui siamo abituati è una delle tante possibili, e sicuramente non la più precisa.
Capite che se le cose stanno in questo modo, la cartografia è una fantastica procedura in cui la precisione scientifica convive con la fantasia più giuliva. È un’arte che oscilla tra l’algoritmo e il quadro. In quell’oscillazione, per secoli, ha raccolto le ossessioni del mondo. Prima ancora di entrare nei dettagli, già solo l’orientamento delle mappe racconta molte cose. Adesso siamo abituati a queste carte con il Nord in alto, ma, per lungo tempo, i cartografi cristiani mettevano in alto l’Est: avevano ereditato il culto del sole dalle religioni pagane e ne avevano dedotto che il Paradiso terrestre era nella direzione dell’aurora: quindi Est in alto (la stessa parola orientamento è figlia di quel modo di vedere le cose: nel caso vi foste mai chiesti perché non diciamo settentrionamento...). Ma molte mappe fatte da cartografi musulmani sono girate con il Sud in alto: era, per molti di loro, la direzione della Mecca. Le antiche mappe cinesi sembrano modernissime perché hanno in effetti il Nord in alto, ma era un caso: in realtà il Nord era la direzione verso cui guardavano i sudditi quando rivolgevano lo sguardo all’Imperatore. Quanto all’Ovest, ho una cosa da comunicare: non c’è una sola mappa, nella storia delle mappe, che sia orientata con l’Ovest in alto: pensate il terrore che abbiamo del tramonto, di qualsiasi tramonto.
Nella sconfinata messe di mappe che abbiamo ereditato da secoli di esattezza e fantasia, Brotton ha scelto dodici esempi totemici, e alla fine, spiegandone la genesi, si è ritrovato in effetti a raccontare se non proprio tutta la storia del mondo, certo una sua parte considerevole. Una volta è la Sicilia dei Normanni un’altra la Francia della Rivoluzione, un’altra ancora l’Europa degli anni Settanta. Tra le righe di mappe disegnate in modo sublime e stampate con tecniche sofisticatissime, passano immani scontri di potere tra gli imperi, si annidano affascinanti sfide filosofiche, scivolano micidiali persecuzioni religiose, diventa visibile la follia del colonialismo. Di volta in volta, questi piccoli uomini detti cartografi consegnano ai potenti l’immagine del mondo, e lo fanno mettendo insieme sublimi strafalcioni e intuizioni di inspiegabile esattezza. Lavoravano alle loro creature (fossero carte o mappamondi) con la cura dell’artigiano, la furbizia del mercante, il cinismo del pubblicitario e la solitudine degli artisti. Quasi in modo involontario, ottenevano spesso bellezza — una forma di struggente bellezza, fatta di cartigli, colori, caratteri tipografici, decorazioni, simboli, forme incantevoli.
Quando potevano lavoravano su dati reali, provenienti da viaggi avventurosi o snervanti misurazioni del territorio. Molto spesso si trovavano a lavorare sul sentito dire. Non di rado disegnavano sogni. Così facendo registravano l’imperturbabile tendenza dell’umano a fare simultaneamente due gesti, il misurare e l’inventare, che in teoria dovrebbe essere antitetici: se hai una terra che è tua, o la misuri o te la inventi come ti va. Loro spesso misuravano ciò che si inventavano. Che incantevole capacità di fondere esattezza e immaginazione. Dobbiamo a Brotton la possibilità di impararne le tecniche segrete, le ragioni ultime e le infinite particolarità curiose: il fatto che ce la porga senza essere pedante o vacuamente romanzesco, rende il suo libro un esempio significativo di come il sapere possa essere semplice tranquillità, pacata sicurezza e composta passione.