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 2013  dicembre 02 Lunedì calendario

KIEV, ASSALTO AI PALAZZI DEL POTERE 200 MILA IN PIAZZA CONTRO YANUKOVICH “È LA NUOVA RIVOLUZIONE ARANCIONE”


KIEV - Hanno l’ aria sicura di chi l’ ha già fatto una volta e sa che una folla può rovesciare il mondo. Si contano, si abbracciano, si fanno coraggio davanti ai manganelli, agli scudi e alle bombe assordanti lanciate dalla polizia, che circonda minacciosa la Majdan, la piazza più grande di Kiev, mai così piena di gente dai tempi memorabili della Rivoluzione arancione del 2004. Erano duecentomila a metà giornata. E sono rimasti in almeno la metà fino a tarda sera, decisi a fare l’ alba e a ricominciare, agitando le bandiere blu con le stelle d’ oro, simbolo un po’ burocratico della Ue, che qui in Ucraina sono invece diventate, per la prima volta nella loro storia, stendardi rivoluzionari. Non chiedono poco, vogliono che governo e presidente che hanno detto "no" all’ Europa si dimettano in blocco. Non sarà facile ma quelli della Majdan resistono. Nonostante il freddo gelido, le minacce delle autorità, e gli incidenti gravi avvenuti a poche centinaia di metri sotto al Palazzo presidenziale, e dentro alla monumentale sede del Comune lungo il viale Kreshatik. Vere e proprie scene di guerra. Inseguimenti, pestaggi, e fumogeni da parte degli agenti, e lanci di sassi, assalti con le spranghe, perfino una carica con un bulldozer da parte dei manifestanti. Ci sono decine di feriti, tanti arresti, accuse di violenza da una parte e dall’ altra. Il risultato è che il presidente Yanukovich è confinato nella sua dacia di Mezhigorie a 50 chilometri dalla capitale. Le truppe speciali hanno circondato la palazzina temendo assalti nella notte. Lui convoca riunioni su riunioni, fa trapelare di voler dichiarare lo stato d’ emergenza ma poi preferisce far finta di niente e appare in tv per fare un discorso surreale in occasione dell’ anniversario dell’ indipendenza ucraina. Dall’ altra parte del Paese, nella lontana Kharkiv, la polizia ha blindato tutta la zona attorno all’ ospedale dove è rinchiusa Yiulia Tymoshenko. «Precauzione», dicono, ma suona come una minaccia dopoi proclami di fuoco lanciati sabato dalla ex pasionaria che chiamava il popolo a «cacciare il tiranno». L’ effetto è stato incendiario e certamente questa seconda edizione della Rivoluzione ucraina contiene qualcosa di più inquietante e minaccioso di quella di dieci anni fa. Gran parte della folla sembra più o meno la stessa, scanzonata e serena, di allora: giovani universitari che fanno a gara a inventare slogan originali o che sfilano in maschera improvvisando scenette satiriche; cantanti folk che salgono sul palco improvvisato e suonano canzoni interminabili; anziani estimatori di Yiulia Tymoshenko con al collo la foto della loro ex premier dietro alle sbarre; famiglie con bambini che inneggiano convinte all’ Europa e poi si fermano a fare un giro sulla giostra con i cavallucci allestita proprio al centro della zona calda, sotto agli sguardi allibiti dei poliziotti. Ma ci sono anche facce più determinate e decise a tutto. Quelli che, per esempio, ieri hanno attaccato il Palazzo del Comune. Un gruppo di nazionalisti del partito Svoboda (Libertà) ha lasciato il raduno sulla vicina Majdan e ha puntato dritto al portone principale. Le poche guardie di turno sono state aggredite da un plotone di bombolette di gas irritante, e sono fuggite. E il palazzo è adesso in mano ai manifestanti. Occupato. «Restituito al popolo», dice Aleksandr Shevchenko, leader degli assaltatori che dirige le operazioni di resistenza e ordina a un gruppo di giovanotti in mimetica di disporre sedie e tavoli contro le finestre per evitare brutte sorprese durante la notte. Intanto l’ ingresso è libero. Un nerboruto "rivoluzionario" con bandana europea, fa ruotare la porta girevole e lascia entrare, curiosi, manifestanti, chiunque. È così che diverse migliaia di persone hanno potuto far visita al palazzo del potere cittadino, che un tempo fu la sede del Soviet di Kiev. Salire perfino fino alla sala delle colonne, quella delle grandi riunioni politiche. In un clima che ricordava l’ apertura alle masse del Palazzo di Inverno alla folla dopo la Rivoluzione del ’ 17. Chi faceva fotografie con il telefonino, chi si perdeva tra i corridoi, chi portava chissà dove ritratti, sedie, portacenenere. «Abbiamo vinto», ripeteva Shevchenko, «lasceremo l’ edificio solo quando il sindaco verrà qua a dichiarare la sua capitolazione». E poi, rivolto alla gente che vagava tra stucchi e velluti della sala delle colonne: «Restate qui, non abbiate paura. La polizia non colpirà se saremo in tanti e se manterremo la calma». La voce tremava un po’ ma si rivelava abbastanza efficace. Più complicato capire cosa sia realmente accaduto poco più in là, in via Bankova davanti al Palazzo presidenziale. Un gruppo di giovani con tanto di bandiere ucraine ed europee al braccio, ma con cappucci e bastoni, si sono scagliati contro lo schieramento di "Berkut" gli speciali agenti anti-sommossa. E’ finita con una ventina di arrestati e qualche ferito ma le scene, date in diretta dalla tv di Stato, hanno fatto paura. Mai era successo prima in quella strada dove, nel 2004, la rivoluzionaria Yiulia Tymoshenko metteva i fiori nelle canne dei fucili dei soldati di guardia facendo innamorare il mondo della rivolta arancione e della sua indimenticabile treccia bionda. Evgenja, la figlia di Yiulia e gli altri leader dell’ opposizione si sono affrettati a condannare l’ assalto. Vitalji Klitschko, ex campione mondiale di pugilato e ora aspirante leader politico «di una Ucraina europea», è sicuro che sia stata «una ben preparata opera di provocatori, voluta dal governo». Come quella di uno strano gruppo di giovani venuti dalla provincia che ieri mattina girava con una sporta di bottiglie molotov pronte all’ uso. Dettagli che aumentano la tensione ma che spaventano gli stessi manifestanti. Tra provocazioni volute e qualche testa calda in buona fede, il rischio di giustificare una forte repressione è concreto. Per questo si sono prese le prime contromisure: una catena umana composta da non violenti dall’ aria molto robusta, che protegge i manifestanti stessi da possibili infiltrazioni. Il presidente invece tace. Ieri mattina aveva provato a far vietare ogni manifestazione fino al 7 gennaio. Poi, la massa di gente arrivata da tutto il Paese lo ha convintoa lasciar fare. Nei prossimi giorni dovrebbe andare a Mosca per definire la ripresa degli accordi con Mosca. Quelli che allontanerebbero ancora di più ogni prospettiva europea. Sulla Majdan si canta, si balla e si ripete: «Da qui non ci muoviamo».