Stefano Bucci, Corriere della Sera - La Lettura 1/12/2013, 1 dicembre 2013
RIFIORISCE IL CEMENTO A (R)MATO
Classico come il cemento: il vecchio emblema, almeno in architettura e almeno per i non addetti ai lavori, di ogni pesantezza possibile sembra attraversare ora una nuova, inaspettata stagione di gloria. Dopo quella a suo tempo segnata, ad esempio, da Le Corbusier che nel 1914 aveva progettato quella Maison Dom-ino , diventata «la forma costruttiva più diffusa nei Paesi in via di sviluppo»: una struttura (appunto) di cemento armato aperta a ogni tipo di suddivisione, ispirata sia all’architettura tradizionale ottomana che alla ripetitività delle case fiamminghe. La mostra appena aperta al Palais d’Iéna (fino al 19 febbraio) non celebra soltanto Auguste Perret (1874-1954), il figlio di uno scalpellino della Comune diventato il grande maestro del cemento armato. E i suoi otto capolavori: il palazzo di Rue Franklin 25 bis (1903), il Théâtre des Champs-Elysées (1913), la chiesa Notre Dame du Raincy (1923), la salle Cortot (1928), il Mobilier national (1934) e lo stesso Palais d’Iéna (1908) a Parigi; l’Hôtel De La Ville (1950) e la chiesa di Saint-Joseph (1951) a Le Havre. Qui si vuole festeggiare anche una classicità inaspettata e un rinascimento progettuale che ha portato alla «leggerissima filigrana di cemento» del nuovo MuCem (il Museum of European and Mediterranean Civilisations) di Marsiglia appena firmato da Rudy Ricciotti. O al design di quei giovani architetti sperimentali che utilizzano proprio il cemento armato per mobili e oggetti d’arredo: i tavoli e i candelieri del Sonda Studio di Isaac Friedman-Heiman, le sedie del danese Christian Flindt, le lampade della slovena Tina Rugelj fino al cuscino-decorazione degli argentini di Grupo Bondi.
Nel percorso pensato dal curatore Joseph Abram con lo studio Oma Amo di Rem Koolhaas (la mostra nasce dalla collaborazione tra Fondazione Prada e Consiglio economico, sociale e ambientale) si ritrovano quattrocento tra disegni, documenti privati, fotografie, come quelle con la moglie Jeanne Cordeau, sposata giovanissima, mentre lei ancora frequentava l’Ecole des Beaux-Arts. E ancora: oggetti, opere d’arte collezionate (come il busto dello stesso Perret scolpito da Antoine Bourdelle, di cui negli stessi giorni sempre a Parigi viene esposta una bella serie di disegni giovanili), modellini d’epoca e plastici nati da ben più recenti laboratori universitari.
L’effetto è confermare quell’impegno costante di Perret nella modernizzazione del concetto di cemento armato, impegno che gli verrà riconosciuto quando la salma dell’architetto verrà esposta nella stessa sala del Palais d’Iéna che ospita la mostra.
Perret è stato prima di tutto un uomo di cantiere che dalle prime esperienze nell’impresa di famiglia (il padre si era rifugiato in Belgio, dove Auguste sarebbe nato, per sfuggire alla repressione rientrando in patria solo nel 1880 dopo l’amnistia) passerà direttamente al cemento armato per la sua modernità: anche se Auguste preferiva parlare piuttosto di leggerezza e duttilità, qualità che oltretutto gli avrebbe assai reso dal punto di vista economico visto che la Perret Frères, fondata con i suoi due fratelli, si sarebbe di fatto interamente dedicata alla realizzazione di edifici in cemento armato. E non solo hangar, garage o spazi industriali: anche chiese e abitazioni. Cercando ogni volta di utilizzare un elemento a suo modo «già classico» in un modo diverso, spesso quasi rivoluzionario.
Perret (grande amante dell’impegno e della politica attiva) visto attraverso i suoi otto capolavori appare come un messaggero del nuovo, capace di non perdere neppure adesso la sua attualità: lo dimostrano le divertenti e intriganti immagini girate da Ila Beka e Louise Lemoine all’interno del palazzo di Rue Franklin 25 bis, il primo da lui realizzato, con il portiere e gli inquilini trasformati in veri e propri difensori di quel tesoro. Ma indirettamente lo dimostrano anche le traversie che i suoi edifici, così troppo avanzati, hanno subito in materia di restauro (andando spesso distrutti se non abbandonati): non a caso proprio il recupero della modernità sarà uno dei fondamentali della prossima Biennale di Venezia, curata da Rem Koolhaas.