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 2013  dicembre 01 Domenica calendario

IL PUZZLE ROMANO DI GORGA: 15 MILA PEZZI DI ARTE ANTICA


I visitatori della mostra su Evan Gorga, aperta fino al 12 gennaio al primo piano di Palazzo Altemps a Roma, non immaginano quello che succede nel salone sottostante, detto il Cortile del Gioiello. Cinque archeologhe e altrettante restauratrici sono alle prese da oltre due anni con un lavoro matto e disperatissimo. Sotto la luce opaca di un grande lucernario tentano di ordinare e ricomporre quindicimila frammenti di intonaco e stucco provenienti dalla collezione dello stesso Gorga.
Alessandra Capodiferro, direttrice di Palazzo Altemps, apre le porte di questo laboratorio segreto, rivelando una visione apocalittica. Una distesa di tavoli occupa l’immenso salone e i tavoli traboccano di pezzi polverosi che sembrano residui di una terribile deflagrazione. Ma osservando da vicino si vede rifulgere in alcuni intonaci il fondo rosso cinabro, intatto come se fosse stato appena steso dal pittore. In altri affiorano brandelli di antiche decorazioni: una rigogliosa ghirlanda di edera accostata a un panneggio bianco e viola, un tralcio accanto a una fascia ornamentale policroma, il torso nudo di una figura dai fianchi arrotondati, un braccio, un polpaccio, un fiore a cinque petali con sfumature gialle, penne di pavone e intrecci di foglie, una testa di leone, grappoli d’uva, pilastrini decorati con motivi geometrici, nature morte, amorini.

Le studiose si sono accorte che alcuni di questi frammenti appartenevano a pezzi più grandi, li hanno ricomposti e hanno scoperto che provengono dalla Domus Aurea e dalla Domus Transitoria sul Palatino. «Li abbiamo individuati — racconta Capodiferro a “la Lettura” — perché si vanno a inserire perfettamente nelle lacune delle decorazioni di queste Domus». Spiega che in questi pezzi sono comunque documentate tutte le fasi stilistiche della pittura parietale romana, a partire dal cosiddetto primo stile di età medio e tardo-repubblicana, fino al quarto stile e alla pittura post-pompeiana. Ed è la prima volta che i frammenti sono studiati a fondo. Finora avevano vagato, nascosti in cinquanta casse, da un deposito all’altro. Nel gennaio del 1987 furono affidati a Mariarosaria Barbera, oggi soprintendente archeologica di Roma. «La mia prima reazione — ricorda Barbera — fu di sgomento. Le poche carte di cui disponevo restituivano l’immagine della più disparata congerie di oggetti che si potesse immaginare, dai vasi micenei ai bronzetti nuragici, al vasellame fittile e metallico a partire dall’età del Ferro fino alla tarda antichità, a enormi quantità di terrecotte, stucchi, affreschi e vetri romani, compreso un certo numero di falsi e pastiche. Per di più, gli oggetti assegnati alla soprintendenza raggiungevano un numero spropositato, parecchie decine di migliaia. E non si aveva idea da quali scavi provenissero».
Barbera cominciò a classificarli per tipologie. Ritrovò alcune scene intatte, come quella del naufragio di Ulisse, e capì che proveniva dalla Domus di via Graziosa, sull’Esquilino. Dedicò alla collezione Gorga dodici anni della sua vita, selezionando i materiali inediti, ma soprattutto cercando di rintracciare notizie sul bizzarro collezionista, del quale non si trovava traccia nelle pubblicazioni sulle raccolte archeologiche romane. Al dodicesimo anno trasferì i pezzi più importanti al museo di Palazzo Massimo e ripose i frammenti più minuti nelle cantine di Palazzo Altemps.

I suoi studi, pubblicati in un volume da Electa, fecero però riscoprire il personaggio Gorga, messo a fuoco grazie anche all’archivio ritrovato a casa di una sua pronipote. La storia di Gennaro Evangelista Gorga ha inizio proprio qui, nel cortile del Gioiello di Palazzo Altemps, luogo dall’ottima acustica, che un secolo e mezzo fa ospitava l’oratorio dove il piccolo Evan studiava pianoforte e cantava con bella voce. Era nato il 16 febbraio 1865 a Broccostella, in Ciociaria, da nobile famiglia. Nel 1896 interpretò al Regio di Torino il ruolo di Rodolfo nella prima rappresentazione della Bohème di Puccini diretta da Toscanini. Nelle fotografie dell’epoca appare esile e romantico, il viso dai lineamenti perfetti, capelli neri e baffetti all’insù. Ebbe un successo favoloso, ma la carriera da tenore si chiuse di colpo tre anni dopo. Forse per un calo di voce, forse per l’opposizione della moglie ricchissima, che riteneva disdicevole per un nobiluomo il mestiere di cantante. Gorga diventò allora collezionista. Dapprima raccolse strumenti musicali, dai pianoforti ai tamburi, dai violini ai campanacci. Poi, in un crescendo bulimico e devastante, ogni sorta di oggetti, di ogni epoca e di ogni parte del mondo. Sognando un museo enciclopedico personale, non mirava alla qualità ma alla quantità. Acquistava dagli antiquari e dai trafficanti clandestini, seguiva le carriole degli operai che scavavano ai Fori. Accumulò il suo tesoro in dieci grandi appartamenti presi in affitto in via Cola di Rienzo. Nel 1929, a causa degli ingenti debiti contratti, si vide sequestrare tutto, circa 150 mila oggetti.
Ci sarebbero voluti vent’anni per inventariarli. Alla fine si compilarono cinque cataloghi, pubblicati dal Poligrafico dello Stato: per le raccolte archeologiche e artistiche, per gli strumenti musicali, per la sezione etnografica, per gli strumenti dell’arte sanitaria e della scienza, per i libri. E cominciò la dispersione. A parte i 2.500 strumenti musicali con i quali fu fondato nel 1974 il museo omonimo a Roma, gli altri oggetti presero la strada dei musei di tutto il mondo: da Faenza alle Filippine, da Padova al Giappone, da Milano agli Stati Uniti, da Genova al Brasile, da Pisa alla Corea del Sud, da Brindisi al Pakistan, da Reggio Calabria a Ceylon, da Bergamo alla Thailandia. Gorga morì nel 1957. Nell’ultima foto, di tre anni prima, appare imbolsito, intabarrato in una vestaglia un po’ lisa, intento a decifrare quello che sembra un lungo elenco di reperti. Nei suoi archivi fu ritrovato l’albero genealogico della famiglia, che vantava una stirpe romana. All’origine ci sarebbe stato un certo Gurge, della gens Fabia, così soprannominato per la sua ingordigia.