Mario Dondero, Corriere della Sera - La Lettura 1/12/2013, 1 dicembre 2013
LO SCATTO ALLA CIECA DI CAPA
Come si sia svolta e che cosa abbia significato la guerra di Spagna, conclusasi nel modo più tragico per l’intervento decisivo dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani, è relativamente poco conosciuto in Italia e del tutto ignorato nei programmi scolastici: come accade, del resto, per qualcosa che avvenne e ci riguarda ancor più da vicino, e cioè la Resistenza italiana durante la Seconda guerra mondiale. Rievocata generalmente a livello di curiosità, specialmente negli ambienti che si interessano alla fotografia, è la questione, diventata un’annosa querelle , sulla foto di Robert Capa del Miliziano che muore . Muore o non muore? È caduto veramente, perdendo la vita in quel combattimento, o è stato il fotografo a fargli recitare, talento insuperabile, una finta morte? Eppure, ormai da molti anni, tutta la vicenda è stata chiarita. Richard Whelan l’ha raccontata nella sua attendibile biografia di Capa, con tanto di nome e cognome del soldato caduto, Federico Borrell Garcia, detto Taino, di 24 anni, della columna anarquica di Alcoy (Alicante), ucciso sulla collina de Las Malaguenas, a Cerro Muriano, vicino a Cordoba, il 5 settembre 1936.
«En el combate de Cerro Muriano contra la columna de Varela (generale franchista) los de Alcoy, situados en La Malaguenas, intervinieron de lleno en la lucha (5-6 septiembre) y allì muriò el valeroso joven libertario Federico Borrell “Taino” defendiendo una bateria de Artilleria », scrive Francisco Moreno Gomez in La Guerra Civil en Cordoba (1936-1939) . La colonna di Alcoy che combatté era comandata dall’alfiere Melquiades Valiente e, come jefe de Milicias , da Enrique Vario Nicomedes.
Per il numero speciale di «Diario» (la rivista diretta da Enrico Deaglio), dal titolo Volver (2006), sorta di omaggio alla Repubblica spagnola nell’anniversario della guerra civile, condussi personalmente un’indagine a Cerro Muriano, nell’impressionante scenario di una miniera abbandonata che fu il luogo della battaglia, e ad Alcoy, dove nessuno dubita che il miliziano caduto fosse l’alcoyano Taino. Di questo non avevo mai dubitato, anche prima di andare a controllare, perché pensavo che le varie illazioni fossero fantasie bizantine, se non basse insinuazioni franchiste.
La mia ricerca, quindi, non s’incentrava affatto sui negativi in possesso della Magnum, non molto facili da consultare, ma sulle indagini spagnole relative all’identità del miliziano e a quanto aveva scritto Franz Borkenau nel suo libro The Spanish Cockpit . Questo autore, sociologo austriaco antifascista e testimone ineludibile sulla questione, viaggiò quel giorno in auto, racconta, con due giornalisti francesi di «Vu» (uno di essi era Robert Capa), con i quali si ritrovò praticamente assediato dai regulares , gli agguerriti soldati marocchini del generale Varela.
Giunti con mezzi di trasporto diversi, c’erano quel giorno anche altri giornalisti, tutti convocati dall’ufficio stampa repubblicano, per assistere a una nuova offensiva volta a riconquistare Cordoba. Fra essi c’era anche Hans Namuth, fotografo tedesco, in quel tempo ben più famoso di Robert Capa. Non mi azzardo a scrivere che ci fosse anche Gerda Taro, che potrebbe essere stata l’altra giornalista di «Vu». Nella sua biografia della grande fotografa, Irme Schaber non ne parla.
Invece dell’annunciata offensiva, i corrispondenti stranieri trovarono una situazione di sbando. Borkenau parla di gruppi di miliziani anarchici in fuga, quasi a confermare il motto di Malraux: «Gli anarchici sanno battersi, ma non combattere». Per fortuna sopraggiunse la columna di Alcoy, città di antiche tradizioni rivoluzionarie. Fu nel successivo combattimento che il miliziano perse la vita. Come seppero ad Alcoy che il miliziano caduto era un loro concittadino? A spiegarmelo è stato Ricard Bano, un insegnante di Alcoy appassionato di storia locale.
Occorre sapere che la famosa fotografia non era mai stata vista in Spagna, al tempo di Franco, in quanto ritenuta strumento di propaganda sovversiva. Sembra che non si trovi neanche l’atto di morte che io stesso cercai invano nell’archivio di Salamanca e in quello di Avila. Del tutto normale, perché contavano solo, al tempo di Franco, i morti por Dios y por la Patria . Gli altri finivano nelle fosse comuni, quasi sempre fuori dai cimiteri.
Così, quando Ricard Bano seppe che la foto era stata scattata a Cerro Muriano, si ricordò che proprio lì avevano combattuto i suoi concittadini. Mostrò la fotografia a Mario Brotons Jorda, l’ultimo sopravvissuto della gloriosa columna . Brotons Jorda aveva quattordici anni il giorno della battaglia. Guardando la fotografia non riconobbe il suo amico «Taino», ma affermò che si trattava con certezza di uno dei suoi compagni, perché le giberne, chiaramente evidenti nella fotografia, erano quelle che un artigiano di Alcoy fabbricava in esclusiva per i miliziani locali. Fatta circolare nelle famiglie degli ex combattenti, i parenti di Federico Borrell Garcia riconobbero senza esitazione il loro congiunto. Era un operaio tessile e aveva una novia con cui si sarebbe sposato al ritorno dalla guerra.
Mario Brotons Jorda, il giovanissimo miliziano sopravvissuto, è morto alcuni anni fa, dopo aver scritto un libro di memorie sulla guerra fratricida che insanguinò la Spagna. Anche se Richard Whelan ha accreditato senza ombra di dubbio questa tesi, puntualmente, ogni anno, su varie testate del mondo, ricompaiono articoli che mettono in dubbio la stessa identità del soldato, che sarebbe morto a Espejo, in un’altra battaglia, non lontano da Cerro Muriano.
A chiudere in modo direi definitivo l’annoso dibattito sulla verità della foto di Capa è intervenuto quest’anno un fatto straordinario. Dalla sera del 22 ottobre, anniversario della nascita di Capa, si può ascoltare, grazie alle tecnologie contemporanee, un’intervista a Robert Capa realizzata nel 1947, proprio sulla foto del miliziano. La sua voce racconta che, mentre si trovava con i combattenti di Alcoy dentro una specie di trincea, fotografò gli assalti dei miliziani a una mitragliatrice franchista. Al quarto assalto alzò il braccio e scattò alla cieca. La magistrale immagine del miliziano che cade non è quindi la finzione sublime realizzata da un preteso regista, ma uno scatto regalato dal caso al coraggioso fotografo. Questa magnifica trasmissione, che suscita una vera commozione in tutti coloro che amano Capa e vanifica tante illazioni, la dobbiamo agli amici di New York di Robert Capa, che da sempre hanno creduto nell’autenticità della discussa icona di guerra.