Pierangelo Maurizio, Libero 1/12/2013, 1 dicembre 2013
I GIUDICI DI PACE CHE SI FANNO SCRIVERE LE SENTENZE DAGLI AVVOCATI
A Bari e dintorni giudici di pace e avvocati non solo si mettevano d’accordo sulle sentenze: ma in centinaia di casi a scrivere i verdetti sarebbero stati gli stessi legali. Direttamente. Materialmente. Questa è l’ipotesi, con troppi riscontri, della Procura di Lecce. La notizia è emblematica di quanto sia capillare la corruzione in Italia. La vicenda è istruttiva per almeno tre aspetti. I giudici di pace, magistrati onorari ma pur sempre magistrati, intascavano i 56 euro a sentenza. Sentenze tutte ovviamente favorevoli, nelle quali gli avvocati indicavano la loro parcella, a spese dello Stato. Già, perché la controparte nelle cause erano enti pubblici, che quasi sempre venivano condannati anche al pagamento delle «spese di lite».
Trenta gli indagati, la cosa è andata avanti dal 2008 al 2010. Tra le persone coinvolte c’è anche l’avvocato Rocco Servodio, già giudice di pace a Bitonto, fratello di Giusi Servodio, deputata per quattro legislature nel centrosinistra in quota Pds-Pd, e ritenuta uno degli esponenti renziani più in vista a Bari. Secondo le accuse del pm Valeria Mignone –la Procura di Lecce è competente ad indagare sui magistrati anche onorari nella Corte d’Appello di Bari – «in non meno di 93 casi» a Rocco Servodio ha redatto le sentenze lo stesso avvocato che tutelava una delle parti, «in violazione dei doveri di garanzia, imparzialità ed indipendenza propri della funzione giurisdizionale». In questo modo, scrive il pubblico ministero, «l’avvocato si assicurava la piena soddisfazione delle ragioni dei suoi clienti e la liquidazione delle spese in suo favore», il giudice «l’ingiusto vantaggio» dei 56,81 euro per ogni verdetto. In altri venti casi affidati a Servodio il medesimo legale ha scritto le sentenze anche se le cause non erano sue. Tutti e due sono stati accusati di corruzione e falso ideologico. E questa è la spiegazione di Rocco Servodio, 77 anni: «Mi ero ritrovato un forte arretrato lasciato dal mio predecessore. In quel periodo inoltre ho avuto due delicati interventi al cuore. Per senso del dovere mi sono servito di quell’avvocato, per altro molto preparato. Io non avevo il computer e non lo sapevo usare. Lui batteva sulla tastiera ma gli dicevo io cosa scrivere. Ho pensato che fosse bene fare così». In aiuto di Servodio interviene la moglie: «Non ci siamo certo arricchiti. Mio marito è molto malato ed è sempre stato una persona onesta e specchiata».
Rocco Servodio ha patteggiato, insieme ad un altro giudice di pace. Un solo proscioglimento, il gup di Lecce, Alcide Maritati, ha rinviato a giudizio 8 giudici di pace di Bari, Modugno, Altamura, Corato e 13 avvocati. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere alla corruzione in atti giudiziari.
Di certo alle spalle e dietro le quinte c’è un sistema più che collaudato. Giusi Servodio è un esponente del Partito democratico di primo piano, nella corrente dei renziani e c’è chi dice che dopo l’8 dicembre potrebbe avere incarichi importanti. Cosa pensa di questa vicenda e dell’andazzo che si intravede nella commistione tra studi legali e giudici di pace nel barese, terra da vent’anni a rigida egemonia pd in tutti i settori della vita pubblica? «Non ne non sapevo assolutamente nulla. Me lo sta dicendo lei. Mio fratello è un ingenuo e credo che la sua spiegazione sia reale. Ma ha fatto male, non c’è dubbio. Anche se questa storia non c’entra niente con me. Ogni illegalità va combattuta, a maggior ragione in un settore come la giustizia. E va anche prevenuta: evidentemente nel meccanismo non ci sono controlli o non sono sufficienti. Quello che sto dicendo è dimostrato da 40 anni di mio impegno politico».
Il 3 febbraio inizierà il processo.