Carlo Pelanda, Libero 1/12/2013, 1 dicembre 2013
SE NON CI RIBELLIAMO ALLA MERKEL RISCHIAMO DI NUOVO L’INSOLVENZA
L’economia italiana è proiettata verso la ripresa, ora è in atto una lenta inversione dalla tendenza recessiva, ma manca un fatto essenziale per confermarla nel 2014: il mercato ha nuovamente dubbi sulla solvibilità dell’Italia e serve rassicurarlo. Il problema. Per lo scopo della messa a regime della vigilanza bancaria europea unica sotto la Bce e del meccanismo di gestione di eventuali fallimenti bancari, entro il 2014, sarà necessario separare il rischio- Stato dal rischio-banca. I due sono connessi dal fatto che le banche comprano titoli di debito sovrano e per questa via si caricano di vulnerabilità in casi di Stati a rischio di insolvenza. Le banche italiane hanno in bilancio circa 415 miliardi di debito nostrano ed è evidente che un declassamento di questo ne comporti uno simmetrico per gli istituti, aumentandone i costi di finanziamento, poi scaricati al cliente con impatti sistemici depressivi e de-competitivi. Finora tale problema è stato gestito da una garanzia anomala da parte della Bce sul debito italiano. Ma tale soluzione ha lasciato comunque piuttosto elevato il rischio di insolvenza, misurato dallo spread. Troppo elevato se riportato ai titoli nel bilancio delle banche. Quindi per far accedere le banche italiane agli standard europei di solidità queste saranno obbligate a comprare meno titoli di debito italiano e forse a venderne. Si tratta di un’inversione di scenario: finora la Bce ha dato alle banche soldi a basso costo affinché comprassero titoli di debito italico nelle aste di rifinanziamento per calmierare il rischio-Stato. D’ora in avanti le banche non potranno essere più compratori certi. Cosa vuol dire? Che dovrà aumentare la quantità di compratori internazionali. Perché questi dovrebbero comprare? Per due motivi: (a) speculativo a breve termine per ricavare più profitto dai rendimenti dei titoli a rischio elevato; (b) «consolidativo», per avere in portafoglio titoli a rendimento decente e rischio basso. Ora la situazione di mercato sta riducendo i flussi di capitali (dal dollaro e dallo yen) che alimentano la prima opzione: ciò costringerà i titoli di debito italiano a diventare attraenti in relazione al secondo criterio. Per riuscirci ci vogliono due condizioni: più crescita del Pil e riduzione prospettica credibile del volume del debito. Se ciò non avvenisse, il mercato pretenderebbe un premio di rischio crescente per comprare debito italiano, ricreando le condizioni di pre insolvenza che abbiamo già sperimentato nell’estate del 2011. Queste convinsero Germania ed America a sostituire, con pressione diretta su Napolitano, il governo Berlusconi-Tremonti, ritenuto incapace per divergenze interne di gestire la situazione, con quello Monti allo scopo di evitare che l’insolvenza italiana facesse implodere l’euro e l’intero sistema globale. Da questa situazione di «governo esterno diretto» dipende la terribile recessione italiana 2011-2013, caso unico tra nazioni comparabili in un mondo in ripresa, indotta dall’imposizione esterna, in particolare tedesca, di equilibrare il bilancio pubblico aumentando le tasse e non riducendole, insieme alla spesa, per incrementare la crescita. Ma questa soluzione tedesca si è rivelata inefficace e controproducente perché depressiva. Inoltre, la sua combinazione con l’inefficacia riformatrice della politica interna, che mantiene elevati spesa e debito (134% del Pil), alimenta un nuovo rischio di insolvenza quando le banche ne potranno comprare di meno. Spero che il problema sia chiaro. Soluzioni. Da un lato, la componente tecnica del governo ha capito bene cosa deve fare dando a Cottarelli la missione di predisporre un taglio di ben 32 miliardi di spesa e tasse in due anni. Dall’altro, sul lato politico e gestionale, il governo appare incapace di farlo nei tempi utili (pochi mesi) anche per il peso eccessivo della sinistra che rifiuta i tagli e invoca ideologiche patrimoniali. È comprensibile che E. Letta oscuri questo problema con profezie ottimistiche, ma sulla stampa dobbiamo pressarlo affinché prenda impegni precisi e rapidi: questa volta non possiamo accettare una nuova recessione causata da diktat esterni che ci imporrebbero megapatrimoniali, per incapacità nazionale di rendere affidabile il nostro debito. O si muove o è meglio chiamare Draghi alla guida di un esecutivo d’emergenza nazionale con poteri d’eccezione per il taglio di spesa e tasse. Napolitano, cortesemente, sottolinei.