Harvey Sachs, Il Sole 24 Ore 1/12/2013, 1 dicembre 2013
TOSCANINI E LA TRAVIATA
«Ho fatto una questione con Puccini», spiega l’ottantasettenne Arturo Toscanini in una conversazione registrata nel 1954. «Quando c’è il cannone del porto», che segnala il ritorno di Pinkerton nella Butterfly, «ho detto, "Ma senti, Puccini, tu non pensavi al cuore di Butterfly?" Quel momento, dopo tre anni che attende, e tu salti fuori con» - qui Toscanini canticchia debolmente (apposta) la ripresa del motivo dell’aria Un bel dì, vedremo. Poi canta la frenetica pulsazione dell’orchestra – il battito del cuore di Violetta nella Traviata al momento in cui essa capisce che Alfredo sta per tornare. «Siamo ad un altro livello», dice.
Toscanini aveva un’adorazione quasi religiosa per Giuseppe Verdi, eppure la sua interpretazione della Traviata – che aprirà il 7 dicembre la nuova stagione della Scala – come ci è stata tramandata da una notissima registrazione (sempre in commercio) della NBC Symphony Orchestra del 1946, ha lasciato molte perplessità anche tra i più grandi stimatori del maestro parmense. A volte la tensione sembra eccessiva, ci sono diversi tagli, e anche la protagonista, Licia Albanese, è stata contestata da tanti. E, guarda caso, grazie ad alcune delle conversazioni registrate a sua insaputa tra il 1953 e il 1956, constatiamo che lo stesso Toscanini non ne era contento. Non si tratta soltanto della sua solita autocritica o dei suoi soliti ripensamenti: la considerava semplicemente non abbastanza buona, complessivamente. Ma prima di capire i motivi della sua scontentezza, bisogna capirne il contesto.
La Traviata si annoverava tra le dodici opere dirette da un Toscanini diciannovenne, primo violoncello e maestro sostituto del coro di un complesso lirico italiano che si esibiva in tournée a Rio de Janeiro nel 1886, quando egli fu chiamato a prendere in mano la bacchetta dopo le repentine dimissioni del direttore stabile. Per cui il ragazzo, diventato improvvisamente maestro concertatore e direttore d’orchestra, provava e dirigeva a memoria La Traviata così come tutte le altre opere nel cartellone. I tre cantanti principali di quella edizione – il soprano Carolina Buglione di Monale, il tenore Carlo Callioni e il baritono Napoleone Zardo – erano conosciuti all’epoca, ma oggi i loro nomi non si ricordano quasi più.
Invece, a partire dalla seconda Traviata diretta da Toscanini a Brescia nel 1894, e fino all’ultima, eseguita in forma di oratorio per una trasmissione radiofonica in due parti a New York nel 1946 (quella, per l’appunto, della discussa registrazione), il maestro ebbe quasi sempre cantanti i cui nomi sono ricordati ancora oggi dagli appassionati della lirica. Tra le sue Violette ci furono Gemma Bellincioni, Hariclea Darclée, Rosina Storchio, Lucrezia Bori, Gilda Dalla Rizza, Claudia Muzio e la Albanese; i panni di Alfredo vennero indossati da Roberto Stagno, Enrico Caruso, Giovanni Zenatello, Edoardo Garbin, Tito Schipa, Aureliano Pertile e Jan Peerce; e per il ruolo di Giorgio Germont Toscanini scelse Eugenio Giraldoni, Giuseppe De Luca, Riccardo Stracciari, Pasquale Amato, Luigi Montesanto, Benvenuto Franci, Carlo Morelli e Robert Merrill.
Oltre a Rio e New York, Toscanini diresse La Traviata a Buenos Aires e Montevideo; a Busseto per il centenario verdiano del 1913; al Dal Verme di Milano nel 1915 per la stagione da lui organizzata a beneficio dei musicisti disoccupati all’inizio della Prima guerra mondiale; e durante quattro delle sue otto stagioni con l’Ente autonomo della Scala negli anni Venti: più di cinquanta recite, delle quali non rimangono tracce tranne per quella del 1946.
In quell’occasione, la prima metà del l’opera fu eseguita il 1° dicembre, il resto una settimana più tardi. Sia Toscanini che i cantanti erano tesissimi perché l’opera fu trasmessa live in tutto il mondo. Il maestro, allora quasi ottantenne, era consapevole del fatto che questa sarebbe stata verosimilmente la sua ultimissima esecuzione della Traviata. «Io pensavo, questa musica, non la sento mai più», avrebbe raccontato qualche anno più tardi. Non c’è dunque da meravigliarsi del fatto che un’incisione della prova generale, pubblicata in Cd diversi anni fa, offra una versione più rilassata di quella della recita.
Toscanini non avrebbe potuto immaginare che la registrazione sarebbe uscita in dischi, perché nel 1946 esistevano soltanto i dischi a 78 giri: ce ne sarebbero voluti almeno dodici per contenere tutta l’opera! Ma nei primi anni Cinquanta, dopo l’invenzione degli Lp, cominciavano a circolare versioni non autorizzate e di bassissima qualità; allora, messo con le spalle al muro, Toscanini concesse alla Rca di pubblicarne una versione più curata. Non ne era totalmente scontento: «Ci son delle cose buone – sottolineava – si ha un’idea di qualche cosa. Per esempio, la scena del gioco è drammatica». Aggiungeremmo che anche diverse altre scene sono splendide, in primo luogo il dialogo Violetta-Germont nella prima parte del secondo atto – spina dorsale dell’opera. Ma della Albanese Toscanini opinò: «esagera tutto. Era buona nella Bohème», che egli aveva diretta alla radio alcuni mesi prima, ma «nella Traviata fa soffrire». Per quanto riguarda invece i tagli – soprattutto le cabalette del tenore e del baritono nel secondo atto – non si sa se furono attuati solo per non eccedere ai limiti di tempo delle trasmissioni della Nbc o perché a Toscanini quei pezzi non piacevano, ma la seconda possibilità ci sembra più verosimile.
In un’altra conversazione Toscanini dice, a proposito dell’opera stessa: «La Traviata va bene», ma «il Don Carlos, io credo sia molto più bello della Traviata come musica - eh sì, andiamo!». Sosteneva dunque il maestro che in genere le opere che «stanno in piedi» erano quelle, come La Traviata, con «i bei libretti! La più bella musica del mondo non vale per far la fortuna di un’opera». E a proposito di libretti e parole, Toscanini rivela altrove: «è la parola che commuove, non la voce» – posto, beninteso, che ci sia una bella voce sulla quale si possa appoggiare la parola!. «La traviata non m’ha mai fatto piangere, mai, con tutti gli artisti, anche drammatici, meno una, la Storchio, ma quella aveva la parola: Dite alla giovane sì bella e pura – avevo le lacrime agli occhi. La Storchio – lo si sente dalle poche incisioni che fece – aveva sia l’agilità che ci vuole per il primo atto che la comunicativa drammatica per gli altri due. Difatti, quando Toscanini eseguì La Traviata con la Storchio a Buenos Aires, il successo fu tale da diventare deleterio: alla fine della scena tra Violetta e Germont, il pubblico andò in visibilio e richiese un bis; Toscanini rifiutò di interrompere il flusso del dramma e la gente protestò. «Impossibile descrivere gli urli violenti del pubblico», ricordava un orchestrale. Toscanini, arrabbiatissimo, gettò la bacchetta in platea e se ne andò, lasciando il resto della recita a un sostituto.
Ed è proprio quell’inesorabile flusso drammatico, dalla prima nota del preludio all’ultimo re bemolle, fortissimo, alla fine della tragedia, che rimane il punto-chiave dell’edizione toscaniniana della Traviata, fondamentale nonostante i suoi difetti.