Maria Bettetini, Il Sole 24 Ore 1/12/2013, 1 dicembre 2013
UN CAVALIERE AL SIMPOSIO CON SOCRATE
Socrate, tu che ritieni che tutti possano essere educati, perché non educhi tua moglie, che è la più insopportabile tra quelle che sono, sono state e saranno? Chiede Antistene. E Socrate: se si vogliono domare i cavalli, si deve imparare con i più riottosi, «e io, volendo avere a che fare con gli uomini e frequentarli, mi sono preso questa moglie, ben sapendo che, se sopporterò questa, mi sarà facile avere rapporti con tutti gli altri uomini». No, non è Platone che mostra così sfacciatamente le vicende intime del suo maestro. È invece Senofonte, nella sua versione del Simposio, una sorta di commedia sull’amore e la bellezza, contemporanea alla versione seria e «tragica» del Simposio di Platone. Non è chiaro chi abbia scritto per primo, ma è invece chiarissimo che i due hanno voluto presentare il loro Socrate, così come l’hanno amato e vissuto, due testimonianze eccezionali e anche complementari, come vedremo.
Senofonte certo non aveva la nobiltà e la finezza di Platone, non era un filosofo, non praticava le arti liberali, era un soldato mercenario, per di più al soldo della nemica Sparta e dei più che nemici Persiani, amico della tirannide, conservatore, a noi noto soprattutto per quell’Anabasi, o Il ritorno dei Diecimila, che recentemente Valerio Massimo Manfredi ha reso vivo nel romanzo L’armata perduta. Croce degli studenti dei licei classici, l’Anabasi racconta di come i diecimila soldati greci accorsi in aiuto di Ciro il Giovane contro il fratello Artaserse vinsero sì la loro battaglia di Cunassa (401 a.C.), ma persero la guerra per l’imprudenza di Ciro, che si avvicinò troppo al nemico per il gentile desiderio di uccidere Artaserse con le proprie mani, e finì ammazzato. Con lui, attirati da un tranello, morirono anche tutti gli ufficiali greci. I soldati dovettero riorganizzarsi da soli, scelsero dei capi, tra i quali Senofonte, e attraverso l’Armenia raggiunsero Trebisonda sul mar Nero, da dove si imbarcarono per la Tracia e da lì tornarono a casa. Senofonte nacque negli anni in cui morì Erodoto, lo storico che ancora leggeva la storia come frutto degli interventi divini, e negli anni del fiorire di Tucidide, il primo storico che narrava i fatti attribuendone la responsabilità non agli dei, piuttosto alla natura umana, letta secondo la visione ippocratea. Il punto di vista di Senofonte è ancora diverso, se possibile più semplice: Senofonte racconta ciò che ha vissuto, si presenta come un cronista dalla prosa piana e chiara, piuttosto che come uno storico o un filosofo della storia.
Nacque ad Atene da famiglia agiata (430/425 a.C.), militò nella cavalleria, fu discepolo di Socrate per almeno tre anni. Appoggiò il regime dei Trenta Tiranni, fuggì da Atene con il ritorno della democrazia. Dall’Asia Minore partì con altri mercenari greci al soldo di Ciro, una volta tornato in Grecia combattè per Sparta nella seconda battaglia di Coronea (394), contro la sua Atene. Di nuovo in esilio, fu richiamato in patria e risarcito per i beni perduti. Morì intorno al 355 forse ad Atene, forse a Corinto. Scrisse anche trattati tecnici, per esempio il primo testo di equitazione in cui si dia importanza al rapporto affettivo tra cavallo e cavaliere.
Ma a noi interessano ora soprattutto gli scritti socratici, pubblicati da poco a cura di Livia de Martinis. Con le opere di Platone, sono le principali e più credibili fonti per la ricostruzione del personaggio e del pensiero di Socrate. I Memorabili sono una miniera di aneddoti, in parte rubati alle opere di Platone, in parte ai ricordi personali e alla narrazione popolare. Già in queste pagine emerge un Socrate meno idealizzato rispetto a quello platonico, forse perché i due hanno fini diversi. Senofonte mette uno di seguito all’altro fatti e detti, senza cercare organicità. Platone invece, pur nell’aporetica che accompagna molti dialoghi, intende usare del personaggio Socrate per introdurre alla propria visione del mondo, lasciando sempre il dubbio sulla paternità delle parole scritte. Non che Senofonte fosse più onesto, forse semplicemente meno raffinato e meno portato per la filosofia. Certamente un esercizio consigliato ai lettori è il confronto tra i due Simposi e le due Apologie di Socrate. Secondo Senofonte, Socrate desidera morire per evitare la vecchiaia, con le sue malattie, le sue pene, dove «viene a mancare ogni gioia». Nessun idealismo, nessun pensiero ai Campi Elisi. Sempre nella Apologia, la difesa dall’accusa di empietà si baserebbe su un errore di interpretazione: il demone che parla a Socrate, che in Platone è un avvertimento interiore a non fare qualcosa, per Senofonte diventa una presenza divina che conferisce il dono della profezia, anche in favore di altri, insomma un Socrate oracolo. Quanto al Simposio e al tema del l’eros, basti ricordare che Socrate mostra di gradire molto le danze e le musiche delle fanciulle presenti, e per gioco si definisce un lenone, con alti scopi come far congiungere le anime belle, ma nel contesto la sua espressione suona come una battuta da cabaret. Da cabaret, d’altra parte, sono anche altre scene: i balli, le danze, gli scherzi sull’amore (ebbene sì, anche e soprattutto quello eterosessuale), il finale con l’incontro amoroso tra Arianna e Dioniso, recitato così bene dalla compagnia del misterioso Siracusano da ottenere che «quelli che non erano sposati giurarono di prendere moglie, quelli sposati montarono a cavallo e si precipitarono dalle loro mogli, per godere di questi piaceri». Socrate invece andò a passeggiare, solo in questo simile all’uomo sobrio che si allontana all’alba da un simposio di ubriachi, così come lo aveva descritto Platone.