Luca Pani, Il Sole 24 Ore 1/12/2013, 1 dicembre 2013
TUTTI DORMANO
Dormire o non dormire questo è il problema. Se sia più conveniente per l’individuo e la specie passare tutta la vita sempre svegli e attivi, oppure se sia meglio cadere giornalmente nelle braccia lunghe e morbide di Morfeo. Dal punto di vista evoluzionistico, a un primo esame, sembrerebbe che passare circa un terzo della propria esistenza a dormire sia uno sbaglio fondamentale. Tanto è vero che Alan Rechtschaffen, pioniere nello studio della fisiologia del sonno commentava: «Se il sonno non assolve una funzione assolutamente vitale, allora è il più grave errore che l’evoluzione abbia mai commesso». E l’evoluzione non commette errori in quanto tali, perché ciò implicherebbe concetti come giusto o sbagliato, cui invece la pressione selettiva e la sopravvivenza del più adatto sono indifferenti, sistemati in quella nicchia di aristocratica insolenza dove si accomodano le teorie che si muovono sub specie aeternitatis.
Non dormire pare uno di quei lussi che proprio non possiamo permetterci. Da sempre dormiamo tutti: pesciolini, topolini, cani, gatti, canarini, moscerini e naturalmente anche i primati pur con delle debite e interessanti differenze. Un topo dorme sino a 14 ore al giorno, un elefante meno di quattro, una balena se volesse potrebbe dormire anche 24 ore di seguito perché lo fa sempre con metà cervello mentre tiene sveglia l’altra metà (sonno uni-emisferico). Un essere umano dovrebbe dormirne circa 8 e mezzo preferibilmente tra le 23 e le sette con più o meno un’ora di tolleranza (dalle 22 alle otto). E chi può permetterselo ancora ogni notte? Eppure converrebbe abbracciare il cuscino molto seriamente, dato che ormai vari studi mostrano che le cellule cerebrali vengono danneggiate dal poco dormire. I moscerini della frutta mutati in una subunità di un canale al potassio, chiamati Shaker per il loro tremore continuo, hanno un ridotto tempo di sonno e di vita. Dormire serve a riparare e riorganizzare il cervello ed è meglio diffidare di coloro che, non essendo nati con un ridotto bisogno di sonno, vanno in giro a proclamare come un vantaggio competitivo il fatto di essersi "allenati" a dormire poco o niente. Se affermano di non dormire mai stanno mentendo e non sarebbero vivi. Se dormono tre-quattro ore per notte dal lunedì al venerdì, il che è fattibile ma riservato a pochissimi, chiedetevi dove sono durante i fine settimana e come stanno cercando di recuperare un debito pesantissimo e con un prezzo da pagare molto alto. Oltretutto non è dimostrato che nelle 20 ore in cui stanno svegli siano più efficienti. Anzi è dimostrabile il contrario. Se volete fare un pratico test del vostro debito di sonno, sappiate che il cervello possiede un contatore che ricorda tutte le ore perse: bevete in meno di un minuto un bicchiere di vino rosso a stomaco vuoto e senza aver bevuto caffeina nelle tre ore precedenti; se entro trenta minuti vi viene una marcata sonnolenza vuol dire che state dormendo meno di quanto il vostro patrimonio genetico vi consentirebbe.
Esistono infatti molti geni che controllano il sonno, e ben oltre 70 mutanti sono stati identificati nel topo. Ma, a conferma dell’intoccabilità del ciclo, nessuno di loro è in grado di modificare la durata totale per più del 20 per cento. Per noi questo corrisponderebbe, anche se è poco scientifico, a degli estremi tra un minimo di sei ore e mezza a un massimo di 10, sopra o sotto dovrebbe essere patologico. Senza voler entrare nei dettagli delle mutazioni scoperte nella nostra specie è giusto però ricordare che un’anomalia in posizione 178 del gene che codifica per la proteina Prnp è associata all’Insonnia Familiare Fatale, il cui nome è auto esplicante per chi dubitasse ancora dell’importanza evoluzionistica del sonno. La stessa mutazione è presente anche nelle forme familiari della malattia da prioni di Creutzfeldt-Jakob, meglio nota come morbo della mucca pazza, caratterizzata da degenerazione corticale e demenza oltre che da insonnia; tanto che qualche studioso ha ipotizzato che dormire poco possa addirittura aumentare il rischio di ammalarsi di demenza. Con queste basi, negli ultimi anni, una serie crescente di evidenze ha effettivamente dimostrato che il sonno è fondamentale per consolidare le nostre memorie ma purtroppo senza specificarne il valore selettivo per la sopravvivenza. È infatti intuitivo che si possa vivere molto male non ricordando, ma nonostante questo si possa comunque vivere e ci si possa pure riprodurre trasmettendo le proprie mutazioni; le stesse che consentono di non dormire e di non ricordare, ai propri eredi; ma non basta. Gli scienziati sospettavano da qualche tempo che dovesse esistere qualcos’altro di più importante per spiegare il paradosso evoluzionistico del sonno.
Un contributo per cercare di comprendere questo enigma l’hanno appena fornito Lulu Xie e colleghi sul numero del 18 ottobre scorso di «Science» dimostrando come, sebbene lo scopo finale del sonno resti ancora misterioso, mentre dormiamo il nostro cervello "pulisce" le scorie prodotte durante il giorno e lo fa con un’attività neuronale che è superiore a quella che abbiamo da svegli. Per fare questo, lo spazio interstiziale tra le cellule nervose aumenta di circa il 60 per cento mettendo in comunicazione il liquido cerebro-spinale con lo spazio sinaptico allo scopo principale di rinforzare la struttura delle terminazioni neuronali e rimuovere la Beta-amiloide in eccesso. È ancora poco per confermare una relazione diretta tra riduzione delle ore di sonno ristoratore e l’emergere dell’epidemia di demenze del mondo occidentale, ma suggestivo di riflessioni sull’alterazione dei cicli circadiani naturali e la sofferenza psichica umana. In effetti, prima di un episodio clinicamente rilevante gli psichiatri rilevano sempre un’alterazione del ciclo sonno-veglia su base cronica (più o meno lunghi periodi di insonnia) o acuta (bastano due notti in bianco di seguito) in individui predisposti. Il livello di insonnia può essere tanto meno grave quanto più l’individuo abbia predisposizioni su base genetica e familiare per disturbi del sonno e/o malattie psichiatriche. Visto il tempo necessario per aprire la gran parte delle migliaia di miliardi di sinapsi cerebrali, questi recentissimi risultati spiegano probabilmente come mai sia stato più conveniente selezionare una norma di sonno continuo per circa otto ore e non, invece, di due ore per quattro volte al giorno come, aneddoticamente, si racconta facesse Leonardo da Vinci e come auto-sperimentazioni umane dai risultati disastrosi in termini di stabilità emotiva e psichica suggeriscono di non provare neppure per scherzo a modificare la periodicità del nostro ciclo sonno-veglia.
Altri aspetti meritano attenzione. Neuroimmagini funzionali consentono oggi di "vedere" l’attività cerebrale durante il sonno Rem e dimostrano come sia caratterizzato da paradossi di illogicità, allucinosi e fortissime emozioni nella totale impossibilità del corpo di muoversi, per cui lo studio del sonno sta aprendo la strada a quello, forse persino più importante della coscienza e – dunque – dell’incoscienza. Ed è interessante rilevare cosa succede nelle nostre scelte neuro-economiche dopo una singola notte in bianco. Dopo sole 24 ore di insonnia assoluta il cervello umano commette una serie di errori basati sulla convinzione, errata, che sia più facile guadagnare che evitare di perdere. La storia anche recente di alcuni trader piuttosto disinvolti potrebbe trovare ragione, tra le altre cose, su come avevano dormito, o piuttosto non-dormito, nelle notti immediatamente precedenti alla sbagliata gestione d’importanti decisioni finanziarie.