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 2013  dicembre 01 Domenica calendario

LO «STRANO CASO» DEI BENI DI LUSSO


Fra le prime cose che si imparano quando si studia economia è la «curva della domanda»: una linea che parte in alto e poi scende verso il basso. Questa curva descrive una semplice e intuitiva relazione fra quantità e prezzo. Supponiamo che il bene in questione sia una telefonata. Se il prezzo di una telefonata è 5 la quantità di telefonate, come si vede dal grafico, sarà di 60. Se il prezzo sale a 9 le telefonate sono più care, e, per non spender troppo, la quantità scenderà a 20. Se il prezzo scendesse a 1 di telefonate se ne faranno 100.
Fin qui, ci siamo capiti. Ma ci sono dei beni strani, per i quali vale la relazione opposta: se si aumenta il prezzo, se ne compra di più e non di meno. Provate a pensare quale potrebbe essere un bene di questo genere. E se non ci arrivate ve lo dico io. Si tratta dei beni cosiddetti "posizionali" o dei «beni Veblen».
Cosa vuol dire? Vuol dire che ci sono molte persone che comprano un bene – per esempio un abito firmato o una borsetta Gucci – perché gli dà prestigio, gli conferisce una distinzione che li innalza al di sopra dei comuni mortali. Thorstein Veblen, un economista che più di un secolo fa scrisse «The Theory of the Leisure Class», descrisse appunto quei beni per i quali "il prezzo è qualità": se costano di più sono più desiderati. Degli esperimenti hanno in effetti confermato che molti sono più contenti se hanno speso di più per comperare un «bene Veblen». Si tratta di beni per necessità scarsi. Se tutte le donne avessero una borsetta Gucci questa non sarebbe più un «bene Veblen» (anche allo stadio, se tutti si alzassero in piedi nessuno vedrebbe meglio di prima).
I beni posizionali sono quelli che ti danno la sensazione di essere meglio degli altri. Ma qui bisogna fare una distinzione. Prendiamo quel particolare bene che è una buona istruzione. Se vai all’università e tuo padre o tuo nonno si erano invece fermati alla scuola media, puoi dire che hai fatto "meglio" di loro. Ma questo non vuol dire necessariamente che stai meglio: lo star meglio è qualcosa di relativo, cioè da mettere in relazione ai tuoi coetanei, non ai tuoi antenati. Se sei uno studente debole con una laurea in università di poco conto, puoi dire che hai avuto più istruzione di tuo nonno, ma magari tuo nonno aveva più possibilità di trovare lavoro col suo diploma di scuola media che tu non ne abbia di trovare lavoro con un "debole" diploma universitario.
Anche le supercar, le Lamborghini, le Ferrari, le Maserati sono dei «beni Veblen», come d’altronde le bottiglie di vino pregiato. Naturalmente, è difficile distinguere quello che è un «effetto Veblen» – cioè il fatto che un prezzo più alto aumenta la desiderabilità del bene – da quella che può essere una ragione oggettiva del prezzo più alto, cioè una effettiva migliore qualità. E chi produce quei beni – dagli abiti Armani ai foulard Hermés - non è certamente svincolato dalla legge della domanda: se un foulard costasse un milione di euro, per quanto bello e prestigioso sia, nessuno lo comprerebbe. La legge della domanda torna a farsi sentire: a certi livelli a maggior prezzo torna a corrispondere minore domanda. La stessa cosa vale per la quantità: per esempio, la Ferrari produce meno macchine di quante ne potrebbe produrre, perché così rimangono più rare e può far pagare un prezzo maggiore. Torna la curva di domanda tradizionale: a minor quantità corrisponde maggior prezzo.
Ma veniamo alla moda. Questo è un campo in cui ci sono moltissimi «beni Veblen», dato che ogni capo di abbigliamento può essere diverso dall’altro e la voglia di apparire è così radicata in ognuno di noi da indurci talvolta a preferire un bene a un altro solo perché costa di più e, quel che più conta, perché anche quelli che ci guardano si rendono conto che quel bene è costoso.
Questo è un campo nel quale i produttori possono estrarre delle "rendite", come le chiamano gli economisti: cioè dei guadagni extra, dei sovrappiù che dipendono dalla attrattività del bene, dal valore di esclusività che i compratori gli attribuiscono. Fortunatamente per noi in questo campo l’Italia gode di un’attrattività internazionale, i prodotti italiani nel campo della moda sono considerati di alta qualità e possono quindi "comandare" prezzi più alti.
La moda è un fenomeno complesso e la capacità dei produttori di stare sulla cresta dell’onda, cavalcando i flutti della moda, dipende da molti fattori. Un esempio: la «Teoria dell’orlo della gonna» (Hemline Theory). Guardando solo al costo le gonne dovrebbero essere più corte quando l’economia va male, perché ci vuole meno stoffa a fabbricarle e così si risparmia. Ma la storia, almeno al tempo dei ruggenti Anni Venti in America, ha dimostrato il contrario. Allora, nel pieno del boom economico, le gonne si accorciarono, forse perché c’era un festoso senso di liberazione, di nuovo, e le donne volevano abbandonare le crinoline del passato.
I successi italiani nel campo della moda cominciano a casa. L’Italia esporta più moda degli altri Paesi perché gli italiani amano l’abbigliamento più degli altri Paesi. Come vedete dalla tabella in alto, gli italiani destinano alla categoria «abbigliamento e calzature» una quota dei consumi molto più alta rispetto agli altri Paesi.
Ma i consumi alla moda, i beni posizionali, la ricerca snobistica del consumo opulento alla Veblen, non sono tutti orpelli frivoli che non aggiungono nulla al benessere vero degli individui, e anzi distolgono risorse da usi più commendevoli ed esigenze più pressanti? Forse, ma l’umanità non ha ancora trovato il modo di conciliare la libertà di scelta dei singoli con le priorità "nobili" nell’uso delle risorse. E, come disse Adam Smith secoli fa, «Le spese in aggeggi di frivola utilità sono quel che mantiene in movimento l’industria dell’umanità».
fabrizio@bigpond.net.au