VARIE 2/12/2013, 2 dicembre 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SULL’IMU
PEZZO DEL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA — Un pasticcio tecnico che sta diventando un problema politico, capace di far male a tutti i partiti che sostengono il governo. Un problema, per giunta, molto più grosso di quello che vale, perché cancellare la mini-Imu a carico dei cittadini non dovrebbe costare più di 200 milioni di euro. E che, arrivati a questo punto, si cercherà a tutti i costi di risolvere, anche se la soluzione non è affatto semplice. E rischia di essere più dolorosa del problema stesso.
Resta il fatto che nella maggioranza, come nel governo, sono ormai tutti convinti che la “mini-Imu” 2013 sulla prima casa debba essere evitata. È complicata da calcolare, e soprattutto antipatica da sopportare per i contribuenti, ai quali era stata promessa la cancellazione. In più è contestatissima dai sindaci, che si dicono traditi dal governo, e dove l’ala “renziana” del Pd, candidata a divenire azionista di maggioranza del partito, e presto dell’esecutivo, conta un gran numero di militanti.
L’unico che sembra un po’ restio a rimetter mano alla faccenda Imu è il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. La sua è una questione di principio, ma Saccomanni è un tecnico, e qui la questione è prettamente politica. A via XX settembre non si alzeranno le barricate, insomma.
Così, da oggi si comincerà a lavorare alla soluzione del caso. Tutt’altro che semplice. Far pagare la tassa il 16 gennaio e poi restituirla è una possibilità, ma non incontra molti sostenitori, anche perché rischia di rendere tutto più complicato. Di sicuro l’operazione non può essere fatta in deficit, perché a quel punto il Tesoro si opporrebbe. L’unica alternativa possibile, non certo meno complicata, è quella di trovare i circa duecento milioni di euro che servirebbero nei venti giorni che mancano alla fine dell’anno e alla chiusura dei conti pubblici, che restano sul filo del 3%, e sui quali è acceso il faro di Bruxelles.
Prima ancora di pensare a dove trovare i soldi, però, bisogna calcolare esattamente la spesa, cioè quanto serve per coprire il 40% della differenza tra l’aliquota base dello 0,4% e quella decisa dai comuni, che sarebbe a carico dei cittadini. Già questo è un problemino di non poco conto. Il decreto che ha cancellato la prima rata dell’Imu sulla prima casa ha fissato al 30 novembre il termine per le delibere comunali di modifica delle aliquote e la loro pubblicazione entro il 9 dicembre. Stabilendo che queste delibere avessero valore legale solo con la pubblicazione non più sul sito internet del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia ma, grazie ad un emendamento parlamentare, sui siti “istituzionali” di ciascun singolo comune. Bisognerà andarseli a spulciare uno ad uno, oppure chiedere ai sindaci la cortesia di trasmetterli, per sapere quanti e quali comuni hanno deciso l’aumento e calcolare, così, il mancato gettito dei comuni che dovrà essere compensato dallo Stato, visto che ormai i bilanci comunali sono stati chiusi.
Un lavoro che richiederà almeno qualche giorno, e che riduce ancor di più il tempo a disposizione del governo per incassare il necessario. Arrivati quel punto, le opzioni praticabili per incassare la cifra necessaria sono pochissime. Anzi, secondo i tecnici ce n’è una sola: agire di nuovo sugli acconti fiscali. Incassati quelli Ires e Irap, già aumentati, non resta che l’acconto dell’Iva, dovuto il 27 dicembre. Oggi è pari all’88% e dovrebbe essere alzato di qualche punto. E poi compensato nel 2014. Come? L’indiziato numero uno sono, ancora una volta, le accise. Anche se così, la tassa sulla casa finirebbe per pagarla anche chi non ce l’ha.
Mario Sensini
MILANO – Ne hanno viste tante ma il balletto di tasse, nomi e norme straordinarie non se le ricorda nessuno. I commercialisti restano sempre più sconcertati dai provvedimenti fiscali a ondate che sconvolgono il loro lavoro e le previsioni dei loro clienti. La pensa così anche Giancarlo Allione, commercialista torinese con tanti anni di esperienza alle spalle. «Siamo sopravvissuti ai 740 lunari e agli invii telematici – ricorda Allione – e sopravviveremo anche a questa ondata di adempimenti, ma è difficile ricordare un momento così confuso e complesso. Oggi rientrando nei nostri studi bisognerà chiamare i clienti che pagano l’Ires (tutte le società di capitali) e confermargli che l’acconto per loro aumenta al 102,5%. Avranno qualche in giorno in più per pagare (il 10 dicembre, anziché il 2), ma i conteggi sono da rifare, generare i moduli di versamento e inviarli ai clienti. Non so ancora cosa faremo per chi ha già pagato. Credo predisporremo versamenti integrativi. Qualche romantico che pensa che le cose vadano fatte per tempo c’è ancora».
Tutto oggi perché soltanto sabato 30 novembre è arrivato il comunicato stampa del ministero dell’Economia con il quale si annuncia il decreto ministeriale che ha previsto l’ulteriore incremento dell’acconto dell’Ires di 1,5 punti percentuali per 2013 e il 2014.
«Senza contare poi che per i soggetti Irpef (persone fisiche e società di persone) la scadenza del 2 dicembre è confermata, ma la confusione di questi giorni ha moltiplicato i dubbi dei clienti che molto probabilmente chiameranno per sapere cosa fare. Si preannuncia un’altra giornata al telefono, dopo quella di venerdì dove sono circolate tutte le voci possibili e tutti hanno chiamato».
E poi ci sono gli altri adempimenti fiscali: il 12 novembre scadeva lo spesometro, cioè la comunicazione delle operazioni di tutte le fatture emesse nel 2012, per ciascun cliente e fornitore, indipendentemente dall’importo.
«In realtà, si tratta di un adempimento ancora aperto, in quanto le istruzioni dell’Agenzia sono arrivate tardi e quindi l’Agenzia stessa ha deciso di lasciare aperto il canale telematico della trasmissione fino a fine gennaio 2014. Il che significa, tradotto per i cittadini, che sarà possibile trasmettere la comunicazione senza incorrere in sanzioni fino al 31 gennaio 2014. Il 12 dicembre scade poi la comunicazione dei beni concessi in godimento ai soci e dei finanziamenti e delle capitalizzazioni. Un adempimento introdotto dal governo Berlusconi, sempre rinviato e che dovrebbe essere arrivato al dunque tra qualche giorno. Il problema, anche in questo caso, è quello delle istruzioni operative. Manca ancora la circolare dell’Agenzia delle Entrate, fondamentale per capire come comportarsi nei casi dubbi. Per questo molte pratiche sono sospese. Speriamo che arrivi la proroga, oppure, come si dice ultimamente, resti aperto il canale telematico per la trasmissione».
Ultima nota dolente, non certo secondaria, è la tassazione degli immobili e, in particolare dell’Imu. Il 16 dicembre scade il termine per versare la seconda rata dell’imposta comunale.
«Il primo problema sarà quello di controllare le delibere e i regolamenti di tutti i Comuni che devono essere pubblicati sui siti istituzionali, per l’anno 2013, entro il 9 dicembre. La scadenza del 9 (che doveva essere anticipata, ma poi è saltato tutto) rende praticamente impossibile (in soli sette giorni) il reperimento della delibera Imu dai singoli siti degli enti locali, l’esame delle aliquote, delle detrazioni e dei regolamenti. Soltanto con l’analisi di ciascun regolamento comunale è possibile sapere come applicare l’Imu a propri clienti. Per non parlare poi dell’abitazione principale, la cui esclusione è stata sancita soltanto sabato scorso con la pubblicazione del decreto legge 30 novembre 2013 numero 133. Il governo ha però cambiato idea molte volte. Conviene aspettare la pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale. E poi entro il 27 dicembre c’è ancora da versare l’acconto Iva, ma quello, quanto a importi e modalità di calcolo, è lo stesso da molti anni». Una corsetta defatigante prima del capodanno.
Isidoro Trovato
GINO PAGLIUCA SUL CORRIERE DI STAMATTINA
La pubblicazione del decreto 133 che ha abolito l’Imu 2013 sulle abitazioni principali conferma che ai proprietari sarà chiesto entro il 16 gennaio un contributo pari al 40% della maggior imposta se il Comune ha stabilito per quest’anno un’aliquota superiore allo 0,4%. I sindaci, che si aspettavano un rimborso integrale del mancato introito da parte dello Stato non ci stanno e si starebbe lavorando ad alcune ipotesi per superare il problema. Una consisterebbe nel far pagare i contribuenti e poi effettuare un rimborso, che però mai potrebbe ripagare anche le perdite di tempo, le seccature e i costi di consulenza comportati dal pagamento. E comunque una soluzione non appare agevole, anche perché il fabbisogno di risorse è molto più alto di quello che apparirebbe dalle cifre di cui si parla, e cioè di costi a carico dei contribuenti per circa 150 milioni di euro. È una cifra non credibile e spieghiamo perché: nella sola Milano la differenza di incasso tra l’Imu standard e quella allo 0,6% è di 110 milioni di euro; significa che a carico dei contribuenti ne resterebbero 44. Non è evidentemente possibile che i milanesi da soli possano contribuire per quasi un terzo alla spesa totale italiana, visto che al provvedimento sono interessati gli abitanti di oltre 2500 comuni e tra queste tutte le più grandi città italiane.
Chi deve pagare in ogni caso
Che cosa succede per gli immobili diversi dall’abitazione principale? Nella maggior parte dei casi si pagherà la stessa somma versata a giugno come prima rata. Questo se il Comune abbia mantenuto le stesse aliquote 2012 e che si sia mantenuto il possesso dell’immobile per tutto l’anno. Ci sono alcuni casi particolari : il primo è quello delle abitazioni «di lusso» delle categorie catastali A/1 (abitazioni signorili); A/8 (ville) e A/9 (dimore storiche) che pagheranno anche se si tratta di abitazioni principali, con una detrazione forfettaria di 200 euro. Pagheranno anche le abitazioni degli Iacp, salvo modifiche della legge di Stabilità: per questi immobili il Comune può stabilire un’aliquota specifica (a Milano è lo 0,6%) ed è in ogni caso prevista una detrazione forfettaria di 200 euro. Per questo tipo di alloggi non è stata decisa l’assimilazione agli immobili occupati da assegnatari delle cooperative indivise e delle abitazioni in social housing, il che appare davvero una stranezza legislativa. Una modifica rispetto allo scorso anno riguarda alcune tipologie di immobili della categoria catastale D, come stabilimenti e centri commerciali: aumenta dell’8,33% il valore imponibile; a tutti gli immobili strumentali però la legge riconosce la detrazione del 30% dell’Imu dalle imposte sui redditi.
Agricoltura, i vincoli per l’esenzione
Per immobili e terreni agricoli si è scelta una via di mezzo tra l’esenzione totale e il pagamento integrale. Il decreto 133 prevede l’esenzione dall’Imu per i terreni agricoli, indipendentemente dal fatto chi siano coltivati o meno solo se sono posseduti da coltivatori diretti o da contribuenti iscritti alle forme previdenziali degli agricoltori. Non esenta invece i fabbricati a meno che non siano utilizzati per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale dell’agricoltore. In pratica se in un immobile ad uso abitativo che sia stato accatastato come A/6 (abitazione rurale) si hanno sia la residenza e il domicilio abituale si può godere comunque delle agevolazioni e quindi si seguono le stesse regole degli appartamenti: si pagherà quindi solo l’integrazione nei Comuni con aliquota superiore allo 0,4%; se non si tratta di abitazione principale si paga secondo l’aliquota specifica stabilita dal Comune. Va comunque detto che gli immobili A/6 hanno di norma rendite catastali molto basse: per dare solo qualche cifra, tra i capoluoghi la città con la rendita maggiore in Italia è Firenze, dove la media per i soli 37 immobili presenti è di 644 euro, a Milano le 482 case A/6 hanno una rendita di 154 euro e a Roma si scende a 137 euro per 464 immobili censiti.
Conguaglio: come si calcola
Per capire a quanto ammonta l’integrazione bisogna innanzitutto computare quanto si dovrebbe pagare se l’Imu fosse dovuta per intero nella misura decisa dal Comune per il 2013 e poi sottrarre dal risultato l’importo che si pagherebbe con l’aliquota 0,4%, se il risultato di questa seconda operazione è negativo si considera uguale a zero. La somma dovuta dal contribuente ammonta al 40% del risultato della sottrazione. Consideriamo a titolo di esempio una casa con rendita di 1000 euro e un comune con aliquota per il 2103 dello 0,55%, per comodità di calcolo ipotizziamo l’assenza di figli conviventi (se hanno meno di 26 anni danno diritto ognuno a 50 euro di detrazione). Il contributo sarà di 100,80 euro, che si ottengono sottraendo 472 euro (Imu dovuta con lo 0,4%) da 724 euro (Imu allo 0,55%). Se si calcola il 40% sui 252 euro che risultano dalla sottrazione si ottengono appunto 100,80 euro. Se si è posseduta l’abitazione solo per una parte dell’anno o se comunque il requisito di abitazione principale non c’è stato per 12 mesi il contributo si calcola in proporzione. Se nella casa del nostro esempio si è abitato da gennaio a settembre si pagheranno 9/12, cioè 75,60 euro.
In questa fase però vale sicuramente la pena di farsi i conti, ma certo non è il caso di affrettarsi a pagare, anche perché mancano le istruzioni per farlo ed è quindi meglio aspettare l’anno nuovo. D’altro canto la scadenza del pagamento, ammesso che non si trovi prima una soluzione alternativa, è il 16 gennaio 2014, in concomitanza a quella della prima delle quattro rate annuali dello Iuc, il nuovo tributo previsto dalla legge di Stabilità. Sul fatto che il comuni, riescano nel giro di poche settimane ad avere un’idea chiara della normativa e possano predisporre i moduli dei pagamenti è lecito esprimere qualche dubbio.
I versamenti nei Comuni oltre lo 0,4%
Nei Comuni che hanno mantenuto l’aliquota allo 0,4% nulla, si è esenti dal pagamento purché l’abitazione non appartenga alle categorie catastali del «lusso». Se invece il Comune applica un’aliquota superiore bisogna versare il 40% della differenza tra l’Imu che si pagherebbe con l’aliquota comunale e quella calcolata allo 0,4%. Ci sono tre categorie di contribuenti che per sapere se e quanto devono pagare devono leggere con attenzione la delibera Imu del comune, e cioè le persone ricoverate in casa di riposo, purché non abbiano locato la casa di proprietà, gli italiani all’estero iscritti all’Aire che posseggono un’abitazione nel nostro paese (anche in questo caso purché non locata) e le persone che hanno dato in comodato un’abitazione a un figlio o a un genitore (purché l’immobile non abbia una rendita catastale superiore a 500 euro e chi occupa l’abitazione non abbia un indicatore Isee superiore a 15mila euro). In questi casi infatti è il Comune a decidere se l’abitazione è assimilata a quella principale o no. Non si tratta di una differenza da poco: su una casa da 500 euro di rendita in un Comune che applica un’aliquota allo 0,5% e sulle seconde case chiede il massimo con l’assimilazione si pagherebbe un contributo di 34 euro, mentre l’Imu seconda casa è di 890 euro. Per rendere ufficiali le aliquote deliberate per il 2013 i Comuni che non hanno ancora pubblicato la delibera sul loro sito hanno tempo fino al 9 dicembre; per le amministrazioni che non pubblicano entro quella data le aliquote 2013 valgono le regole decise per il 2012. Ci potrebbe forse essere un supplemento: il decreto, all’articolo 2, comma 11, dà ai Comuni la possibilità di aggiornare i bilanci fino al 15 dicembre. Certo non potranno variare le aliquote per gli immobili diversi dalla prima abitazione, ma non è escluso che si possano modificare quelle oggetto del contributo integrativo.