Francesca Nunberg, Macro, il Messaggero 1/12/2013, 1 dicembre 2013
FORNASETTI LA MANO INTELLIGENTE
LA MOSTRA
MILANO
Questo di bello accade a visitare la mostra dedicata ai “Cento anni di follia pratica” di Piero Fornasetti, che ci si perde a rimirare centinaia di oggetti, dai vassoi ai portaombrelli, dai trumeaux ai paraventi, si sorride davanti ai suoi pesci strambi, agli arlecchini capovolti, al bidet con le farfalle, ma si ritrova sempre, finanche nei biglietti d’auguri, la mano inconfondibile dell’artista, la sua ironia amplificata dalle infinite variazioni. Come quel volto visto per caso sfogliando una rivista francese di fine Ottocento, che folgorò l’artista al punto da farglielo riprodurre in versione mela, pera, luna, sole, formaggio, teiera, mongolfiera, con la maschera, col velo, coi baffi, mentre ride, piange, fa l’occhiolino. Era il viso enigmatico della cantante lirica Lina Cavalieri, la «donna più bella del mondo» di cui Fornasetti fece 350 varianti sui più vari supporti. Il designer inglese Nigel Coates definisce Fornasetti «un artista ossessivo che girava dentro i temi come un rapper».
IL FIGLIO BARNABA
«Quando gli chiedevano di descrivere i suoi oggetti, mio padre diceva sempre “sono loro che parlano per me” - spiega il figlio Barnaba, che porta avanti l’opera paterna e ha curato la mostra allestita per il centenario della nascita al Triennale Design Museum di Milano, aperta fino al 9 febbraio 2014 - Nel corso della sua vita ha disegnato e realizzato circa 13mila tra oggetti e decorazioni (in esposizione a Milano ce ne sono oltre mille, ndr.), è stato difficile scegliere cosa non portare. La definisco una retro-prospettiva, mio padre è scomparso vent’anni fa ma è ancora qui, ha creato un metodo creativo, aveva la mano degna di Picasso e disegnava figure in pochi secondi».
Disegnava, ma anche progettava, fantasticava e si lasciava incantare dai soggetti, come le sirene extra-size che decorano uno straordinario set di piatti in ceramica; inventava soluzioni, come lo stand “Pranzo in piedi” con sgabellino, portacandele e reggiborsetta; poi si divertiva: in mostra i lumi col papillon, l’“archivettura” una Ford con portico serigrafato, i piatti da dessert con i biscotti, il foulard con i bastoni da passeggio intrecciati in modo impossibile; poi guardava lontano: in mostra un inquietante foulard degli anni ’50 con grattacieli in fiamme.
Una sala è dedicata ai suoi amati vassoi, per cui realizzò 460 decori: dal pesce palla alle mani che fanno marameo, dal braccio con pistola al serpente con la mela; un’altra ai portaombrelli, oltre cento impilati contro una parete, con maschere, capitelli, balaustre, teatri; un’altra ancora ai paraventi, uno degli oggetti d’elezione di Fornasetti, con castelli di carte, il duomo di Milano, gli acrobati, Eva e l’angolo antico, fino al grandioso “Stanza metafisica” del 1958 costituito da 32 pannelli che si ripiega a formare uno spazio chiuso creando l’illusione di essere sia dentro che fuori.
CACCIATO DA BRERA
E dentro Fornasetti è tornato. Dentro alla Triennale che lo tenne fuori per vent’anni. Nato a Milano nel 1913, entrato a Brera nel ’30 per studiare disegno ed espulso due anni dopo per insubordinazione, a vent’anni aveva già un tocco magico: «Arrivò qui nel ’33 con il progetto per un foulard che venne rifiutato dalla commissione, ma suscitò l’interesse di Gio Ponti - spiega Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum - Espose negli anni una quarantina di oggetti ma poi venne emarginato. Un ostracismo ideologico che durò dal ’54 al ’73: nel periodo del modernismo razionalista il decorativismo di Fornasetti era stato bollato come deviante. Per fortuna non interruppe la sua prolifica produzione e oggi siamo lieti di riaccoglierlo in Triennale». E ancora, dice Patrick Mauriès che ha scritto la prima biografia di Fornasetti, nonchè la prefazione del catalogo della mostra: «Era l’uomo dalle mille maschere, quella della tradizione lombarda che non rinnegò mai, quella metafisica (si ispirò a Savinio, De Chirico, Carrà), la maschera del binomio Ponti, nata dalla collaborazione con l’architetto più predisposto a riconoscere l’importanza del “designer della fantasia”; la maschera legata alla corrente del neo-romanticismo o realismo magico ancora tutta da studiare....». Il sodalizio con Gio Ponti segnò la vita di Fornasetti: i due furono amici e collaboratori, l’architettò gli commissionò alcuni Lunari nel ’40, due anni dopo gli chiese di decorare Palazzo Bo a Padova, nel ’51 fu la volta del Casinò di San Remo, l’anno dopo delle cabine di prima classe del transatlantico Andrea Doria.
LA FORMULA SEGRETA
E lui in prima classe orgogliosamente rimase, anche se più volte cercarono di respingerlo. La sua mano, oltre che intelligente, era magica. «Quando mi sento smarrito, ho un vuoto nella mente e non so come andare avanti - dice Philippe Starck - c’è sempre la mia “formula segreta Fornasetti”. Ogni suo oggetto, come la teiera con gli occhi che tengo in cucina, è una porta aperta attraverso la quale si viene risucchiati come Alice nel Paese delle meraviglie».
Francesca Nunberg