Filippo La Porta, Macro, il Messaggero 1/12/2013, 1 dicembre 2013
L’UNIONE FA IL ROMANZO
IL CASO
Vogliamo essere tutti autori. L’esperienza della lettura è ai minimi storici nella valutazione sociale - oltre che nelle abitudini delle persone - giudicata colpevolmente passiva, vissuta in solitudine, mentre cresce in rete e nell’editoria il fenomeno della scrittura collettiva, quella forma di scrittura non più solitaria e individuale, ma che coinvolge più autori che collaborano tra loro. Il fenomeno viene da lontano e come molte altre cose fu anticipato dai futuristi - “Lo Zar non è morto”, romanzo fantapolitico del 1929 scritto dal Gruppo dei Dieci(tra cui Marinetti e Bontempelli) - ma solo recentemente, con gli esperimenti narrativi dell’Oulipo (Perec e Calvino), con Luther Blisset e Wu Ming, e soprattutto con le enormi potenzialità rappresentate dal web, questo metodo compositivo sta diventando una pratica di massa.
BLOG E CONCORSI
Spuntano siti, concorsi, blog, e quest’anno si sono pubblicati almeno due romanzi collettivi di qualche interesse: “In territorio nemico” (Minimum Fax), epopea della Resistenza, e “Blocco 52” (Rubettino) del gruppo Lou Palanca, romanzo-inchiesta sull’omicidio di un sindacalista dei braccianti a Catanzaro. In particolare il primo è stato realizzato lungo tre anni da ben 115 persone (autori non professionisti), ispirandosi al cosiddetto metodo Sic (Scrittura industriale collettiva), tra catena di montaggio fordista, industria del cinema e anche un riferimento preciso come “Lettera a una professoressa” della Scuola di Barbiana coordinata da don Milani. Sulla base di un canovaccio iniziale minimo, con tre personaggi (lei che diventa gappista in fabbrica, il fratello ufficiale di Marina che dopo l’8 settembre risale tutta la penisola, il marito imboscato in un casale e preda di paranoie) il progetto si è aperto in Rete a tutti i contributi possibili, invitando a scrivere schede, a raccogliere memorie, testimonianze famigliari, a disegnare un singolo personaggio, a verificare percorsi geografici interessati dalla vicenda.
E certamente una esperienza del genere è solo oggi possibile grazie alla tecnologia, e cioè grazie alle mail e a word (in primavera si è tentata perfino una scrittura collettiva su Twitter). Il risultato è una narrazione ideologicamente molto schierata (i partigiani sono i buoni e i fascisti i cattivi, in barba a qualsiasi revisionismo storiografico), con un respiro epico e una scrittura densa, a tratti di forte espressività, “uniformata” dai compositori. Stefano Pizzutelli, addetto alla composizione e alla scrittura di alcune pagine (fa il commercialista a Frosinone), ci ha rivelato che uno dei partecipanti, un giovane neofascista che aveva scritto alcune schede su personaggi di fascisti (dunque sui “cattivi”), si è ritirato proprio perché l’opera gli appariva troppo schierata.
NICKNAME OMERO
Si tratta di un gioco o di una nuova tendenza letteraria? Dietro il nickname di Omero si celava nell’antichità un gruppo di scrittura? E che dire della Bibbia, scritta da un autore collettivo? Vanni Santoni, insieme a Gregorio Magini, ideatore del progetto(e anche autore in proprio di vari romanzi), sostiene che dal metodo della Scrittura Industriale Collettiva potranno uscire libri davvero importanti letterariamente solo se si restringe un po’ il numero degli autori e se si ricorre a scrittori professionisti. Sembra in verità che il momento della composizione finale sia rigorosamente individuale, o tutt’al più fatto da due o tre persone al massimo, anche se l’editing sui testi inviati può anche essere minimo e dunque non nascondere discontinuità stilistiche. Questo il caso della iniziativa del “Ping pong letterario” (vedi box), basata sul metodo di scrittura detto “a staffetta”, che ha scelto di non correggere i testi. E infatti accade che non sempre si trova il giusto equilibrio tra competizione e cooperazione: una volta i due autori, abbinati casualmente, hanno litigato tra loro scambiandosi insulti.
Resta un’ultima domanda: nel momento in cui le Grandi Narrazioni e i movimenti di protesta hanno esaurito la propria spinta propulsiva, ed è tornato prepotentemente sulla scena l’Individuo, come mai proprio la scrittura collettiva sembra avere successo?
LE POSSIBILITÀ
Nicola La Gioia, che qualche anno fa ha scritto insieme a Christian Raimo, Francesco Pacifico e Francesco Longo “2005 dopo Cristo” (Einaudi) con lo pseudonimo collettivo Babette factory, dichiara di essere “laico” e possibilista sulla questione: potranno anche uscire capolavori di scrittura collettiva ma secondo lui, almeno come autore, la scrittura resta legata a un’esperienza solitaria. Probabilmente il singolo dentro queste esperienze si sente al tempo stesso co-autore di un’opera e pure dentro una comunità precisa di riferimento: condivide il progetto (collettivo) ma sapendo che il suo contributo individuale è essenziale. Una utopia democratica?
Filippo La Porta