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 2013  dicembre 01 Domenica calendario

PUTIN E I DIARI DI KAFKA L’ETERNA TENTAZIONE DEI RITARDATARI CRONICI


Chi l’avrebbe detto che anche Vladimir Putin, all’apparenza così militar-precisino, è un ritardatario cronico? Al vertice italo-russo di Trieste è arrivato con due ore di ritardo, mentre Enrico Letta lo aspettava con fulgida sciarpa rossa al collo, e meno male, perché intorno la bora triestina soffiava indefessa. E il giorno prima il medesimo leader sovietico si era fatto attendere quasi un’ora persino dal Papa, e meno male che era il misericordioso Francesco.
Nonostante quell’arietta squadrata, anche Putin va ben al di là del famoso quarto d’ora accademico, «Maginot» fatale oltre la quale il ritardo fisiologico vira insidiosamente verso la maleducazione. Un po’ come accadde nei giorni della ingombrante visita del libico Muhammar Gheddafi, gran esibizionista della non puntualità, che nel giugno 2009, nelle sue settanta ore romane ne accumulò 12 e passa di ritardo, facendo aspettare un bel po’ tutte le autorità, finché Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, istituzionalmente si indignò annullando l’incontro. E chi potrebbe dimenticare la povera e sbalordita Angela Merkel lasciata a lungo sull’attenti al vertice Nato 2009 ad aspettare che il nostro Silvio Berlusconi finisse una telefonata dandole le spalle?
Lunga è la lista dei potenti che si fanno desiderare, arte in cui si è a lungo distinto Bill Clinton che impose agli orari washingtoniani una brusca virata dopo i tempi ferreamente scanditi del suo predecessore George Bush padre, tanto che in quei tempi nella capitale federale americana quando si voleva indicare un tiratardi si diceva che era sullo standard orario del Presidente.
E proprio in quel periodo, 1993, David B. Shaw, celebrato psicologo, pubblicò uno studio sulle cause inconsce del ritardo: seri problemi di stress, narcisismo esasperato, mancanza di motivazione. Stress, forse, narcisismo di sicuro, mancanza di motivazione, almeno per quanto riguarda Clinton e gli altri potenti della Terra, è da escludere. Mentre la scarsa motivazione e l’insicurezza, ragioni più tormentate della non puntualità, possono valere per i comuni mortali, che arrivano in zona Cesarini solo nell’ansia di inseguire un’impossibile perfezione. Di aspettare il classico ultimo momento per cercare di avvicinarsi al prodotto migliore, anche se sappiamo che nessuno è perfetto. «Arrivo sempre tardi» lamentava nei suoi Diari Franz Kafka. «Vorrei dominare il tempo, ho la sincera volontà di osservare l’appuntamento, ma il mondo intorno a me o il mio corpo spezza sempre questa volontà per darmi prova della mia debolezza». Conforta il fatto che grandi scrittori patissero di questi tormenti. Marcel Proust, adorabile corteggiatore del tempo che fugge, arrivava in società sempre in extremis , quando sembrava che la festa fosse finita, e subito cercava da gran affabulatore di prolungarla. Prima, si era perso nei meandri di una elaborata vestizione, aveva combattuto con gli stivaletti, con la camicia, con il colletto, e poi ancora con il cocchiere, insomma aveva lottato corpo a corpo con il tempo, eterno tiranno.
Ma allora, a questo punto, i tiratardi sono da considerare narcisi che morettianamente si interrogano — «mi si nota di più se arrivo puntuale o se faccio la mia entrée dilazionata?» — o sono solo grandi insicuri in cerca di una realizzazione eccellente? Se è vera la seconda ipotesi, dovremmo dunque essere indulgenti con Mario Balotelli che proprio in questi giorni è arrivato tardi a più di un allenamento con gran disappunto del Mister Allegri, o con Barbara Berlusconi che, da testimone, si era presentata con corposo ritardo al matrimonio dell’amico di sempre Geronimo La Russa, sfilando fra la platea di famosi addirittura dopo la sposa, Patrizia Silini? E dovremmo pure chiudere un occhio per Belen Rodriguez arrivata pure lei 45 minuti dopo al suo sbandierato matrimonio, facendo annunciare la sua defaillance dal pulpito? E quasi assolvere Diego Maradona che si fece aspettare, anche lui, prima di Putin, da un altro papa, il severo Wojtyla?
Attenti però, c’è una novità per i ritardatari cronici dello spettacolo, sempre in pena per la loro immagine e molto esposti alla sindrome da insicurezza. Il social network rischia di diventare giudice implacabile. È successo con Rihanna, attesa in una scuola di Chicago e arrivata quattro ore dopo, subito sommersa in Rete dai commenti degli studenti, ormai ex fan: «Doveva mostrare maggior rispetto». Gragnuola malevola di tweet anche per Justin Bieber, atteso quasi un’ora al suo concerto a Londra, e costretto a pubbliche scuse.
Farsi aspettare funziona ormai forse solo al Lotto dove i numeri ritardatari — specie ai tempi della crisi — lasciano ancora tutti con il fiato sospeso .