Claudio Del Frate, Corriere della Sera 1/12/2013, 1 dicembre 2013
«HO PAURA, IL KILLER DI YARA PUÒ COLPIRE UN’ALTRA VOLTA»
La paura e la speranza. Dal giorno in cui Yara Gambirasio è uscita dalla sua casa per farvi ritorno solo chiusa in una bara sono passati tre anni, 18 mila test del Dna e troppe piste investigative rivelatesi fallaci. Quanto basta perché Maura Panarese, mamma della ginnasta tredicenne abbandonata cadavere in un campo, decidesse per la terza volta in tre anni di rompere il silenzio, mossa da quel sentimento ambivalente. «Io e mio marito viviamo nella paura che quanto successo a Yara possa ripetersi per mezzo della stessa mano — ha detto ieri ai microfoni di Sky e di Bergamo tv —. Ma viviamo anche nella speranza che chi ha visto, ha sentito o è venuto a conoscenza di qualcosa, anche di un particolare meno rilevante si faccia avanti. Abbiamo fiducia nella giustizia umana e in quella divina e attendiamo che il responsabile di questo atroce gesto venga assicurato alla stessa e messo in condizione di non nuocere più».
Il caso di Yara Gambirasio rischia di passare alla storia come quello in cui è stato profuso il massimo degli sforzi con il minimo dei risultati: la procura di Bergamo, dopo che sugli abiti della vittima è stata trovata una traccia biologica dell’assassino, ha fatto 18 mila test del Dna su chiunque sia entrato nel raggio delle indagini; ha speso 2 milioni e 246 mila euro (il costo di ogni esame genetico è di 130 euro) senza avere una minima idea di chi possa essersi macchiato del delitto. Nessun crimine in nessuna parte del globo ha mai visto un impegno scientifico di tali dimensioni, vano anche perché quei campioni biologici non saranno più utilizzabili, per legge, in altre indagini.
Persino gli uomini di scienza cominciano a veder calare le loro speranze, come Giorgio Portera, genetista dell’università di Milano e consulente della famiglia Gambirasio: «L’indagine biologica rischia di essere vana se non è supportata da una pista investigativa concreta, dal lavoro vecchio stampo del maresciallo dei carabinieri. Purtroppo nel caso di Yara questo non è mai avvenuto e senza questo elemento 18 mila test del Dna sono una goccia nel mare». La procura di Bergamo ha puntato ormai sulla cosiddetta pista Guerinoni: il Dna sul corpo della vittima è altamente compatibile con quello di Giuseppe Guerinoni, un autista residente a Gorno (Bergamo) che però è morto nel ’99. È stato ipotizzato che il killer possa essere un figlio illegittimo dell’uomo che fino a oggi non si è trovato nonostante la raccolta a tappeto di campioni del Dna. Alla ricerca di questo mister X gli inquirenti hanno ordinato il test genetico persino su 700 persone che negli anni 60 frequentavano Salice Terme, la località di vacanze in cui si recava Guerinoni da giovane. Ma ancora una volta Portera modera gli entusiasmi: «Mancando ogni elemento investigativo, la compatibilità del Dna, in un luogo in cui per secoli pochi ceppi familiari si sono incrociati, potrebbe essere casuale».
Rieccoci alla casella di partenza, a quel 26 novembre del 2010 in cui Yara esce dalla palestra di Brembate per deviare dopo poche centinaia di metri dal percorso verso casa e rispuntare, priva di vita, il 26 febbraio successivo tra gli sterpi di un prato di Chignolo d’Isola, a 9 chilometri di distanza. In tre anni l’esasperato sforzo scientifico ha proceduto di pari passo con continui episodi di mitomania e l’intera storia ha oscillato sempre tra i due estremi. Mitomane si è rivelato Enrico Tironi il giovane di Brembate che poche ore dopo la scomparsa di Yara va davanti alle telecamere delle tv e giura di aver visto la ragazza caricata a forza su un’auto rossa. Passeranno troppe settimane prima che tutti si convincano che quella pista non ha sostanza. Un po’ mitomane senza rendersene conto è anche Joker, cane cercapersone della polizia di Lugano ritenuto un asso nei ritrovamenti: sbarcato a Brembate conduce tutti a un cantiere edile di Mapello, attorno al quale per mesi le indagini insisteranno senza risultato.
Nel vuoto di certezze il percorso verso la verità sbanda di continuo: da Roma arriva una cartomante polacca convinta dalle voci dell’aldilà che Yara è prigioniera in una casolare della zona. La scortano persino le forze dell’ordine verso l’ennesimo buco nell’acqua. E poi ci sono il giallista dilettante di Arezzo, l’ultrà filoleghista che lancia insinuazioni sulla famiglia della mamma di Yara, l’ottuagenario che la sera della scomparsa aveva il telefonino agganciato alla stessa cella della vittima, quello che lancia la pista del satanismo e quello della vendetta mafiosa. Chiunque faccia cenno a un brandello di verità viene sottoposto all’esame genetico, l’ultimo è un mitomane arrestato per pedofilia che però si trova in Francia. Tutti ad affollare una galleria che ha il solo risultato di accrescere la frustrazione della famiglia Gambirasio.
Claudio Del Frate