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 2013  dicembre 01 Domenica calendario

QUELL’UNIVERSITARIA IN FERRARI FIGLIA DI 13 INUTILI ANNI DI SCUOLA


La studentessa con la Ferrari. Vive in una villa con piscina (neanche accatastata) e quando vuole ha a disposizione la Ferrari di papà per scorrazzare nella Capitale. Studia all’Università di Roma Tre, verosimilmente indossa abiti firmati, sogna un futuro ancora più roseo. Si chiama Sarah, o forse Flaminia, o forse Martina, il nome non importa quando si assurge a simbolo. Come si dice a Roma, simbolo de che? Di malcostume. Per beneficiare di una riduzione sulle tasse universitarie aveva dichiarato un reddito Isee (Indicatore Situazione Economica Equivalente, una mostruosità demagogica introdotta dall’Ulivo nel 1998) di appena 18.801 euro. Una sua collega di Tor Vergata aveva certificato poco più di 14.000 euro, dimenticando di denunciare un conto in banca di 600.000 euro. Un’altra aveva «nascosto» 70.000 euro. Sono solo tre dei 340 casi di irregolarità scoperti nel 2013 dalla Guardia di finanza sui 546 controlli effettuati sulle autocertificazioni degli studenti iscritti ai tre atenei capitolini.
Con l’autocertificazione — un atto di responsabilità sociale in un contesto dove però tutto è dovuto —, questi bari godevano senza averne diritto di privilegi come alloggi, esenzione dalle tasse, agevolazioni su trasporti e ristorazione. Risparmiavano 1.700 euro di retta universitaria e potevano concorrere per una borsa di studio da 26.000 euro.
La studentessa con la Ferrari è la storia di ragazzi e ragazze che hanno imbrogliato, sottraendo indebitamente alcune agevolazioni a colleghi onesti, bisognosi e magari più preparati di loro. Hanno leso il principio fondamentale del diritto allo studio, della meritocrazia. Ma è anche una storia di una grande sconfitta.
La scuola serve a qualcosa? Per arrivare all’Università c’è un percorso pedagogico di tredici anni. Hanno senso tanti anni di insegnamento se, arrivati al livello più alto degli studi, questi studenti sono pronti a truffare?
Si dirà: non bisogna generalizzare, e poi la colpa principale è delle famiglie, è di uno Stato populista. Vero, ma questo significa che di educazione civica la scuola ne fornisce poca, se i figli non sanno rendersi indipendenti e ribellarsi ai padri su quel minimo di eticità su cui si fonda la convivenza civica. Meglio ingannarsi che ingannare.