Marco Lodoli, Roma, la Repubblica 1/12/2013, 1 dicembre 2013
DALLA GALLINA ALL’OCA BIANCA
«E CHE, è er fijo dell’oca bianca? » si domanda a Roma quando qualcuno pretende assurdi privilegi, una distinzione immeritata dalla massa dei poveri concittadini. Tutti usiamo questa espressione, ma sono sicuro che in tanti si chiedono: ma perché essere figli di un’oca bianca dovrebbe indicare una differenza? Fosse blu quest’oca, o argentata, ma le oche sono tutte bianche, non è forse così?
Mi sono informato e ora la storia di quest’oca mi è un po’ più chiara: tutto comincia in una zona sulla Flaminia, un ameno luogo di campagna dove usava riposarsi Livia Drusilla, che poi fu moglie di Cesare. Ebbene, improvvisamente la bella donna si ritrovò una gallina bianca in grembo: un rapace, forse addirittura un’aquila, l’aveva involata da qualche pollaio e poi in mezzo al cielo gli era sfuggita dagli artigli. La fortunata gallinella, precipitata proprio tra le braccia della donna — ma come sono inventate bene queste storie antiche — stringeva nel becco un ramoscello di alloro. Gli auruspici, magici indovini, stabilirono che la pollastra venuta giù dal cielo era un segno divino. Andava trattata con tutte le cure, e bisognava piantare il suo ramoscello di alloro in Campidoglio, crescere un laureto verde e celeste dal quale prendere i rametti per coronare i Cesari e i Trionfanti. Si ordinò che a nessun discendente della gallina bianca andasse mai tirato il collo: era una prole sacra, eletta, invulnerabile, non materiale da rosticceria. A Labaro esiste ancora via delle Galline Bianche, in memoria di questo miracolo pagano.
Resta da capire, e qui il mistero resiste, il passaggio dalla gallina all’oca. Perché una gallina tutta bianca è una rarità, l’oca bianca è la norma. Ma forse i romani, come spesso fanno, hanno voluto riportare l’eccezionalità nella vita comune, come dire: siamo tutti uguali, gridiamo, starnazziamo, «famo quattro ova e se ne annamo».