varie, 4 novembre 2013
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 4 NOVEMBRE 2013
Le recenti polemiche sulle scorrerie elettroniche dell’agenzia di spionaggio americana Nsa hanno spinto il dibattito mediatico e politico a focalizzarsi sugli Stati Uniti. Ma secondo molti addetti ai lavori si sta concentrando l’attenzione sulla pagliuzza e si sta ignorando la trave. Claudio Gatti: «Chiunque abbia come mission la sicurezza tecnologico-industriale nazionale sa che il rischio più grande non viene da Washington. Bensì da Pechino». [1]
Attraverso la diffusione mondiale degli apparecchi elettronici di sua produzione, la Cina avrebbe accesso all’80% delle telecomunicazioni mondiali. Gli Stati Uniti ne sono certi: ha conquistato questo mercato con uno scopo ben preciso. Quello di spiare l’Occidente. Matteo Campofiorito: «Una guerra fredda del terzo millennio che il governo cinese starebbe combattendo in modo silenzioso». [2]
Oltre agli americani la pensano così australiani, britannici, tedeschi, indiani, qualche italiano, probabilmente anche i russi. Gatti: «E se in questi Paesi si chiede agli addetti ai lavori qual è la maggior “criticità” cinese, nessuno risponde citando l’Mss, il Ministero per la sicurezza dello stato, e cioè il servizio di intelligence di Pechino. No, citano tutti lo stesso nome: Huawei». [1]
Huawei è un colosso cinese delle telecomunicazioni. Formalmente è un’azienda privata: il 98,6% delle azioni sono possedute dai dipendenti. Il motivo per cui fa paura: a differenza dell’Mss, non è classificabile come un agente nemico. È un interlocutore e un potenziale partner commerciale. «È piuttosto un rischio e un’opportunità allo stesso tempo». [1]
Secondo i suoi accusatori gli apparecchi Huawei vengono usati per spiare o per compiere cyber-attacchi. [3] Questo perché dietro la patina della multinazionale si nasconderebbe il Partito Comunista più grande del mondo. [4] Gatti: «Dai servizi sono arrivati moniti precisi legati sia alla politica commerciale estremamente aggressiva di Huawei sia agli appoggi finanziari forniti dalle maggiori banche cinesi. Parliamo di Bank of China e Industrial & Commercial Bank of China, due istituti di proprietà del governo di Pechino». [1]
Fondata nel 1987 a Shenzhen (Guangdong), a pochi km dalle fabbriche della Foxconn, quelle con il primato di suicidi che assemblano i prodotti di Samsung e Apple. La sede è un palazzo futuribile vicino al quale c’è un campus dove dormono e studiano 40.000 ingegneri, età media 29 anni. Contraddizione vivente dello stereotipo che «i cinesi copiano»: Huawei è depositaria di oltre 23.500 brevetti (50.000 quelli presentati), ha 100 sedi, 23 centri di Ricerca e 32 centri per l’Innovazione in tutto il mondo, impiega 150.000 persone di cui il 44% nella Ricerca e Sviluppo, settore nel quale ha investito nel 2011 quattro miliardi di dollari (11% del fatturato). [5]
Huawei è la traslitterazione in inglese (pronuncia «huà uéi»). In cinese (pronuncia «wawei»), significa «conquista», «atto magnifico» o «la Cina è in grado». Patriottismo nel nome della società e nella biografia della persona che l’ha fondata, Ren Zhengfei, ingegnere elettronico specializzato in tecnologie ed ex ufficiale dell’Esercito di Liberazione del Popolo. [5]
Ren Zhengfei è anche amministratore delegato. Saccò: «L’assetto di controllo della società è un po’ misterioso. Cathy Meng, figlia di Ren, ha spiegato che suo padre controlla l’1,4% delle azioni, il resto è diviso tra le migliaia di dipendenti. In rete però gli appassionati di storie di spionaggio cercano da mesi di recuperare la copia di Cajing Magazine del settembre del 2012: conteneva un’analisi precisa sulla struttura di controllo di Huawei ma ufficiali del governo cinese l’hanno ritirata dalle edicole poche ore dopo la pubblicazione». [6]
Ren Zhengfei non ha mai rilasciato un’intervista. [5]
Con un fatturato 27 miliardi di euro (2012), è il primo gruppo mondiale nelle componenti delle reti di telecomunicazione nonché il terzo maggior produttore di telefonini al mondo. [6] Simone Pieranni: «È ormai in grado di competere sul mercato mondiale grazie alla qualità e non solo alla competitività dei prezzi che l’hanno contraddistinta nei primi anni della sua ascesa». [4]
La rete superveloce di Deutsche Telekom in Germania è stata costruita dall’azienda cinese. [5]
Un terzo del pianeta usa qualcosa prodotto con marchio Huawei. [5]
Huawei è stata la prima compagnia a studiare cavi a prova di morsi di ratto, uno dei primi problemi (oltre al furto degli stessi cavi) nei guasti alle telecomunicazioni in tutto il mondo. [5]
«Per ora non c’è alcuna prova che i dispositivi prodotti e venduti dall’azienda cinese siano utilizzati per spionaggio. Quel che è certo è che Huawei ha sviluppato sistemi molto sofisticati per l’analisi dei dati che transitano sulle proprie reti e dispositivi. Ma non c’è alcuna evidenza che vengano utilizzati come cyber-armi al servizio del governo». [2]
In un rapporto dell’ottobre scorso, la Commissione Intelligence del Senato Usa ha spiegato che Huawei e Zte (rispettivamente numero uno e cinque al mondo nella fornitura di infrastrutture di telecomunicazioni) stanno saturando il settore con switch e router, piazzando i suoi hardware nei gangli vitali delle reti di tutto il mondo. Il rischio è che quegli hardware possano un giorno fungere da «porta di servizio» per l’intelligence cinese. Dopo aver concluso che «gli apparati Huawei potrebbero pregiudicare gli interessi della sicurezza degli Usa», la Commissione ha avanzato due raccomandazioni. La prima: «Bloccare acquisizioni o fusioni che coinvolgono Huawei». La seconda: «Le aziende delle telecomunicazioni devono essere fortemente incoraggiate a cercare fornitori alternativi». [1]
Sempre per motivi di sicurezza, pochi mesi prima era stata l’Australia a tenere fuori i cinesi dalla gara per la rete a banda larga, e il nuovo governo ha già fatto sapere che confermerà quella decisione. Nel 2010 era stata l’India a scegliere di evitare l’acquisto di apparecchiature dai cinesi, citando sempre motivi di sicurezza. [6]
Huawei è in Italia dal 2004. Ha due sedi principali (Milano e Roma), uffici in altre città, 700 dipendenti di oltre 15 nazionalità (età media di 30 anni), un centro di Ricerca e Sviluppo e tre centri di Innovazione. Il settore R&D di Huawei Italia impiega 100 persone, la maggior parte delle quali nel Centro Microwave di Milano (sviluppo di tecnologie a microonde di ultima generazione). [7]
Il primo a esprimere preoccupazioni per le attività di Huawei in Italia è stato il senatore del Pdl Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir, il comitato parlamentare sulla sicurezza. In un’interrogazione parlamentare del 24 luglio 2012 ha scritto: «Premesso che l’azienda cinese Huawei ha stretto una partnership con Tim, attuale fornitore di telefonia mobile all’amministrazione civile e militare italiana; che il fondatore e attuale amministratore è stato ufficiale dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese e con esso sembra mantenere ancora stretti legami; che il Governo indiano ha dapprima impedito l’acquisto di apparecchiature Huawei e successivamente concesso la vendita a patto che i prodotti venissero certificati da enti americani, si chiede di sapere quali sono state le misure adottate per verificare l’integrità, l’affidabilità e la riservatezza degli equipaggiamenti forniti a Tim da Huawei e se siano state rispettate tutte le procedure atte a garantire la sicurezza di Tim e del sistema nazionale di comunicazione».
Note: [1] Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore 31/10/2013; [2] Matteo Campofiorito, la Repubblica 21/7/2012; [3] Il Mondo 19/7/2013; [4] Simone Pieranni, il Fatto Quotidiano 7/9/2012; [5] blitz quotidiano 7/1/2013; [6] Pietro Saccò, Avvenire 30/10/2013; [7] http://www.iks.it/huawei.html; [8] Il Sole 24 Ore 30/10/2013.