Enzo Bettiza, La Stampa 1/12/2013, 1 dicembre 2013
PUTIN, IL PUGNO DELLA GRANDE RESTAURAZIONE
Quanti ricordano ancora le promettenti parole con cui nel dicembre 1988, un anno prima della caduta del Muro, l’amabile disgregatore Michail Gorbaciov avviò l’inizio della perestrojka ovvero la dissoluzione degli immensi ma arrugginiti poteri tentacolari dell’Unione Sovietica? Fu in quell’epoca, ormai remota, che l’ultimo segretario del partito sovietico annunciò la decisione del Cremlino di voler ritirare le truppe russe dall’Est europeo, rassicurando e porgendo la mano ai maggiori Paesi occidentali del continente.
Anche Putin, di primo acchito, dà oggi l’impressione di tendere la mano all’Italia, al Vaticano, alla Germania, in sostanza all’intero Occidente europeo sacro o laico che sia. In visita dal Papa ha persino baciato l’icona della Madonna di Vladimir portata in dono. Ma si tratta più che altro di un’impressione. In realtà l’abile e spregiudicato trasformista Putin, pur lodando l’Italia, parlando in tedesco con i tedeschi, facendosi il segno della croce a fianco del Papa, ha seguitato a perseguire nel contempo una sghemba politica di disturbo e dispetto nei confronti dell’Europa. Con Stalin, il rapporto d’ostilità sostenuto allora dai politici europei non comunisti, protetti dall’America, era, per usare un’iperbole, nitido: quindi era stato nitidamente accettato dall’Occidente come inderogabile e storico dato di fatto.
Poi, con l’allegro ma imprevedibile Kruscev l’Occidente cercò di difendersi quasi giocando con lui ai quattro cantoni. Infine, contro i missili del glaciale e barcollante Breznev si optò per una difesa di rappresaglia puntando sull’Urss un numero pressoché uguale di missili a testata nucleare.
Ma con il proteiforme Putin i paradigmi di difesa occidentali si sono fatti, in verità, più complicati, più sottili, più diplomatici. A prima vista, il presidente russo appare tutt’altro che minaccioso. Viaggia per il mondo, stringe mani, accarezza bambini, si esibisce in arti marziali, promette a destra e a manca gas, petrolio, commerci e affari d’oro. Ma non è Gorbaciov. Anzi: è il netto contrario di Gorbaciov, il quale passerà alla storia come un postcomunista facondo, impegnato a promuovere, senza riuscirci, la trasformazione dell’Urss in uno Stato liberal-autoritario quasi di stampo bismarckiano.
Non è questo però il progetto statale perseguito da Putin. Non si dimentichi le parole amare con cui aveva definito il crollo dell’Unione Sovietica «una delle maggiori catastrofi nazionali del XX secolo». Vladimir Putin resta nell’intimo un convinto restauratore. Meglio ancora. Egli resterà il nostalgico progettista di una rinata superpotenza russa, non più decisamente sovietica, ma corretta e in parte riconvertita alla fonte battesimale ortodossa. Insomma, eccoci davanti a un Putin del terzo millennio: un ortodosso marziale, il quale cercherà di rimettere insieme almeno gran parte di quello che Gorbaciov aveva smontato e disperso tra nebbie e arcobaleni liberaleggianti. Lo vedremo tirare sgambetti o calci all’Europa, ogni volta che questa tenterà di europeizzare o democratizzare in maggiore profondità la Russia eurasiatica, non più rossa, bensì ortodossocentrica e bizantineggiante di oggi. Non facciamoci comunque troppe illusioni. Putin è un uomo di governo, nonché di polizia segreta, profondissimamente russo. Le sue radici genetiche lambiscono mitici retaggi polizieschi, scendendo attraverso il Kgb comunista fino ai labirinti dell’ambigua Okhrana zarista. Trattare sinceramente con lui sarà sempre più difficile e anche più complicato.
Per cogliere le sue mire di fondo ci basta l’ultima notizia: l’imbrigliamento dell’Ucraina a cui Mosca, considerandola una cospicua quanto supina provincia esterna, ha vietato di firmare al raduno di Vilnius l’accordo di associazione all’Unione Europea che fino all’altroieri era dato per certo. Il veto inflitto a Kiev, più la schiena curva del muto presidente ucraino Yanukovich, non lasciano dubbi sulle pulsioni di fondo, antieuropeiste, che animano oggi le mosse e le percosse a singhiozzo di Putin. Egli dà ormai la sensazione di volersi muovere su una strada sempre più divergente dalle aperture fatte all’Occidente da Gorbaciov un quarto di secolo fa.
Oggi tendiamo a dimenticare il panorama di quell’epoca – correva l’anno 1988 – mista di desolazione terminale e di speranze latenti. Non saprei dire se l’epoca odierna sia migliore o peggiore. La storia in genere è non solo aggressiva; è anche avara ed enigmatica e non fa molti sconti. Vale la pena di ricordarcelo ad ogni istante di cronaca che essa ci impone di attraversare nel bene e nel male.