Vincenzo Imperitura, Il Tempo 30/11/2013, 30 novembre 2013
È GIALLO IN CANADA SUL TESORO DI LUSI
Ci sarebbe anche un villone holliwoodiano in Canada tra i beni di cui Luigi Lusi si sarebbe appropriato approfittando del suo ruolo di tesoriere della Margherita. Un immobile di prestigio, situato nel sobborgo di Casa Loma, periferia nobile di Toronto, che l’ex parlamentare centrista si sarebbe fatto costruire utilizzando, sostengono dal partito ormai dal 2009 confluito nel Pd, i fondi sottratti dai sontuosi rimborsi elettorali previsti dall’ordinamento italiano.
Un affare da tre milioni di dollari scovato da un’inchiesta del Corriere Canadese – unico quotidiano in lingua italiana rivolto ai tanti emigrati di origine italiana trapiantati oltre oceano – che potrebbe far lievitare la somma di denaro, già sostanziosa, che l’ex tesoriere avrebbe veicolato dalle casse della Margherita grazie al ruolo amministrativo già rivestito durante la segreteria Rutelli.
Secondo quanto scrive il giornale canadese infatti l’abitazione – una villa di due piani con terrazza, giardino e posto auto – sarebbe riconducibile alla «Filor 627 Ltd», una società «amministrata dal cognato (di Lusi, ndr) Francesco Perticone». Un buon affare quello messo in piedi da Perticone, visto che secondo la ricostruzione del Corriere il terreno su cui sorge l’immobile era costato originariamente intorno agli 850mila dollari canadesi: cifra che è andata poi lievitando fino ai tre milioni attuali grazie ai lavori di costruzione della villa stessa che sono proseguiti fino a pochi giorni addietro. Lavori eseguiti dallo studio di architetti diretto da Pina Perticone, sorella della moglie dell’ex tesoriere (che dal procedimento penale pendente su Lusi stesso che si sta celebrando davanti al tribunale collegiale di Roma si è tirata fuori, patteggiando una pena ad un anno di reclusione).
In quella stessa casa poi, secondo l’avvocato Titta Madia, ci potrebbero andare ad abitare, una volta terminati gli strascichi giudiziari dell’intera vicenda, gli stessi coniugi Lusi. «Quello che temiamo – dice Madia – è che Lusi stia orchestrando tutta una serie di artifici per lasciare indenni i beni che possiede in Canada. Siamo molto preoccupati anche perché non è stato ancora possibile accertare il suo patrimonio in Nord America».
Una storia complicata quella del «tesoretto» di Lusi: una storia su cui pende un procedimento penale che potrebbe arrivare a sentenza entro i primi mesi del 2014 e di cui si è interessata anche la Corte dei conti che ha acquisito il lavoro portato avanti dai magistrati ordinari, imbastendo un nuovo procedimento amministrativo nel tentativo di capire la presenza del danno erariale ed eventualmente recuperare i soldi che mancano.
Ed è sui soldi illecitamente distratti da Lusi che i conti non tornano, almeno per il collegio difensivo della Margherita. Sono 23 infatti i milioni di euro individuati dagli inquirenti. Somma che l’ex tesoriere si sarebbe offerto di restituire in sede di patteggiamento davanti ai giudici contabili decurtata però di sette milioni di euro che lo stesso Lusi sostiene di avere già versato alle casse dello Stato sotto forma di tasse. Un patteggiamento che però non sta bene al collegio difensivo dell’ex compagine politica che, per evitare che l’accordo consenta a Lusi di rimanere in possesso di parte dei soldi spariti, ha presentato in Cassazione un’eccezione di attribuzione.
Una storiaccia ingarbugliata anche perché la restituzione delle somme proposta ai giudici contabili sarebbe portata a termine da Lusi attraverso la cessione di quote azionarie che, secondo gli avvocati Grassi e Morganti, non sarebbero comunque sufficienti a raggiungere la somma accertata dagli inquirenti.
«La Margherita, con il collegio dei liquidatori e il collegio dei garanti – si legge in una nota dell’ufficio stampa dell’ex partito – è impegnata per recuperare tutto ciò di cui si è illecitamente appropriato l’ex tesoriere Lusi, e per destinarlo allo Stato italiano, come deciso dall’Assemblea del partito. Da oltre un anno, ci stiamo battendo anche per far emergere quanto è stato trafugato in Canada».
Dal canto suo però, l’ex parlamentare centrista, smentisce categoricamente quanto riportato dal Corriere Canadese e rilanciato dagli uffici della Margherita, negando la presenza di un tesoretto al di là dell’oceano: «Non esiste e non è stato trovato nulla di nuovo – scrivono in una nota i difensori di Lusi, Luca Petrucci e Renato Archidiacono – Dell’asserito tesoro in Canada non v’è traccia da nessuna parte; l’inchiesta pubblicata dal Corriere Canadese secondo la quale a Toronto avrebbero trovato una villa non rappresenta nulla di nuovo: Lusi aveva riferito tutto ciò ai magistrati inquirenti già nell’interrogatorio del 27 marzo 2012, confermandolo nell’udienza pubblica dell’11 ottobre 2013. Quella villa è stata realizzata con fondi propri e della moglie accantonati fra il 2001 e il 2007, come dimostrato a mezzo di assegni e bonifici bancari agli atti del processo penale: nessuno ha mai trasferito tre milioni di euro e nessuno ha mai trasferito in Canada fondi della Margherita e nulla di quanto è presente in Canada è illegale o illecito».
Una risposta piccata giunta nelle redazioni subito dopo i lanci delle agenzie che avevano riportato lo scoop del quotidiano per gli italo-canadesi. «In Canada – scrivono ancora i legali dell’ex tesoriere della Margherita – non esistono né eventuali altre proprietà né ricchi conti correnti; esiste ciò che, lo ripetiamo, Lusi ha già riferito ai magistrati inquirenti nel predetto interrogatorio del 27 marzo 2012 e nulla di tutto ciò è illegale o illecito. La Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti – concludono i legali attaccando sul procedimento contabile in corso – ha dichiarato che il partito Democrazia e Libertà-La Margherita, essendosi dichiarata contraria alla restituzione del denaro in favore dello Stato (chiesta dal Lusi alla stessa Corte sin dal 4 febbraio 2013), non è parte del giudizio contabile e con un’ordinanza di numerose pagine ha dichiarato l’estromissione della Margherita dal processo contabile».
E così in attesa delle sentenze (penali e contabili) dopo i casi di Scajola – con l’appartamento di via del Fegutale acquistato a sua insaputa – e di Fini – con la casa di Montecarlo finita dal patrimonio di Alleanza Nazionale alla disponibilità del cognato dell’ex presidente della Camera – un altro pezzo da novanta della seconda Repubblica finisce inguaiato dalla passione, tutta italiana anche se temporaneamente in trasferta oltre oceano, per il mattone.