Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano 30/11/2013, 30 novembre 2013
“CON 4 RAGAZZE IN CAMERA CAPII I DANNI DEL SUCCESSO”
A Tunisi, nelle vacanze estive, gli alberghi erano pieni. A Roma, in quello scelto per il pranzo di un inverno anticipato, accadeva di incontrare il vero Igor Stravinskij. A Franco Battiato capitò in una canzone e adesso che la nostalgia è solo il desiderio di ricongiungersi all’assoluto: “Alla mia casa d’origine, quella celeste”, giocare con i registri e confondere la partitura è il solo modo di rimanere simile a se stessi. Quindi meditazione, viaggi asiatici, dischi con Antony & The Johnson e documentari che ne raccontano l’unicità. E ancora aneddoti feroci, umorismo: “Una volta discutendo di Stravinskij si creò un equivoco. Pensavano si trattasse di un vino e me ne offrirono un bicchiere. ‘Sono astemio’, risposi. Il padrone di casa non battè ciglio”, normalità. “Maestro, spaghettino?”. Ne arriva una porzione non ascetica e a 68 anni, con il sorriso improvviso dei bambini che la dicono grossa e un universo interiore che senza turbamenti ospita Aurobindo e l’istinto selvaggio degli sfacciati di natura, Battiato accoglie il tentativo di omicidio con sarcasmo: “Me ne aspettavo di più, volete affamarmi?”.
CON LA VALIGIA in mano, il tè verde sul tavolo e il solito improbabile giro del mondo da assolvere in 7 giorni: “Dopo il Festival di Torino mi imbarco per il Tibet e il 6 dicembre torno di volata per suonare a Brindisi” Battiato lascia che il vapore si diradi per dare spazio ai ricordi. Compositore, operista, cantante, regista, drammaturgo. Un’inquietudine creativa: “Una sola cosa da fare non mi è mai bastata” che in un quadro depresso srotola da anni la propria cura per emanciparsi dal-l’incubo delle passioni e restituire alla voce interiore il ruolo di guida dell’esistenza: “Non bisogna aver timore di ascoltarla, non sbaglia mai”. Più in alto delle miserie quotidiane, sostiene Battiato, c’è altro. Bisogna cercare. Spalancare le gabbie che ci vorrebbero prigionieri: “La nevrosi domina tutti i rapporti. Siamo legati, sospettosi, non crediamo più a nulla”. Non fermarsi alla superficie. Dimenticare le formule: “Quando ami una persona, come insegnava William Blake, non c’è bisogno di affermarlo. Se dici ti amo è già finita”. Oggi, coniando un manifesto di fedele rappresentazione dei tempi: “Non siamo più in grado di ascendere, ma neanche di scendere”, Battiato si diverte più di ieri. A settembre, duettando con Antony Hegarty all’Arena di Verona, saltava da un lato all’altro di un palco allietato dalla Filarmonica Arturo Toscanini. Il risultato (Del suo veloce volo, Universal) è un disco prezioso, figlio di un incontro: “Antony lo conobbi a Torino anni fa. Faceva da spalla per un mio concerto e nei camerini mi propose una collaborazione”. Al protetto di Lou Reed, Battiato ha aperto la casa di Milo, messo a disposizione una stanza all’ombra del palmizio: “Ci vedevamo solo a colazione, pranzo e cena. L’ideale per un rapporto di lavoro igienico”, prodotto l’alchimia giusta per lavorare fianco a fianco.
Da sempre Battiato dorme poco. Sveglia all’alba: “Ultimamente la cosa si è fatta un po’ più grave” e sulle orme di Carlos Castaneda e del sogno lucido: “Puoi andare a trovare la tua amante senza che lei lo sappia e scalare l’Everest in un istante, un’esperienza pazzesca” attraversa notti a strappi tra momenti di veglia alternati all’assenza. Per diventare “un essere speciale” e raggiungere la vetta della spiritualità, Battiato che secondo Hegarty “è la coscienza del popolo italiano” si è dovuto inerpicare. “All’inizio dei ‘70 feci un’immersione totale nel misticismo, non sapevo niente e avevo dei seri problemi di tipo psichico. Vedevo gli esseri umani e mi chiedevo: ‘Da dove vengono?’ Non riconoscevo il genere, proprio. Un medico mi prescrisse dei farmaci e io, con la ricetta, costruii coriandoli strappandola di getto. Iniziai a studiare i mistici indiani, a dormire sul pavimento , a tentare di esplorare la natura divina che è in ognuno di noi. Quando non siamo più soltanto corpo, con i nostri 84.000 difetti, raggiungiamo un altro stadio che si apre a chi ha attraversato questo mondo con coscienza”.
BREVE PAUSA. Sorriso: “Alla maggior parte dei deputati del Pdl non succederà, ma all’astio, i tibetani consigliano di anteporre la pietà. Io seguo il precetto”. In Temporary Road, il bel film di Giuseppe Pollicelli e Mario Tani presentato ieri a Torino e in sala, per un’unica data, il prossimo 11 dicembre, Battiato ha raccontato il suo percorso. Strada costeggiata da un successo dal quale Battiato ha saputo prendere le distanze come nessuno. Nel ’68, quando dopo aver scritto E l’amore, si ritrovò attorniato da 50 ragazzi che ne intonavano i versi a due passi da piazza San Babila, si nascose per pudore: “Mi allontanai perché mi vergognavo, stavo tradendo la mia natura. I miei manager mi mandarono al disco per l’estate e lì avvertii per la prima volta quello che chiamano straniamento”. Gli riaccadde 10 anni dopo, nell’era del cinghiale bianco, trionfo di vendite colmo di incensi di Dior venduti nei grandi magazzini, giornali pronti a raccontare con apposite rubriche i peli del Papa e apparizioni improvvise di Amanda Lear che nella realtà, come in Magic Shop di Battiato, restava ad anni luce dalle messe: “Un giorno prendo l’aereo, davanti a me c’è una donna bionda. A un tratto sento una mano salire sulla coscia verso l’inguine. Ho un momento di panico. Lei si gira, era Amanda: ‘Sono appena stata con il mio boyfriend a Taormina”.
L’approvazione del pubblico trasformata in misticismo da folla con l’incedere del tempo, è tra gli aspetti del mestiere che a Battiato hanno sempre fatto un baffo. All’epoca si turbò un poco: “Non potevo andare più da nessuna parte. La Voce del Padrone poi, completò il disastro. Una sera mi fermo in un posto isolato per chiedere indicazioni e un’ottantenne inizia a urlare: ‘Battiato, Battiato, un autografo!’. In un albergo della Versilia il portiere mi vendette alla bramosìa dei fan e mi ritrovai 4 ragazze ai piedi del letto. Ero diventato un fenomeno da baraccone e andai in crisi”.
POI DOMINÒ l’inevitabile con l’equilibrio, con le amicizie, con i compagni di invenzione. Di Gaber: “Che era molto spiritoso” gli rimane la profonda attenzione verso gli altri: “Una qualità che non ho più rivisto in nessun altro”. Il signor G. gli commissionò gli arrangiamenti di Polli di allevamento e si accorse che Battiato aveva eliminato il basso dalle sue composizioni. Si sentì mancare: “Era incredulo: ‘Ma il basso non puoi toglierlo, per me è come la mamma’. Poi accettò il compromesso.
Con Gaber ci siamo scambiati davvero qualcosa”. Idem con Celentano e Claudia Mori che distanziandosi dalla vulgata che li vorrebbe torvi, Battiato ricorda loquaci e autoironici: “A pranzo Claudia si volta verso di me e osserva Adriano con aria sconsolata: “Che ci vuoi fare Franco, lui purtroppo è pazzo”. E Celentano, lesto, rivolgendosi a lei: “’E allora lui?”. Lo stesso humour dimostrato dal fratello di visione Jodorowsky, cooptato invano per un film di Battiato che indagava il tema della morte: “Franco, io sono vivo, non me ne sono ancora andato. Quando muoio giuro che ti concedo l’intervista” e uno spirito diverso dal permaloso Berlusconi dell’81.
La Gazzetta dello Sport intervista Battiato e gli pone una domanda semplice: “A cena con Agnelli o con Berlusconi?”. Risposta: “Con nessuno dei due”. Silvio e Franco condividevano solo l’iniziale del cognome. Si videro a una cena al momento della consegna dei cappotti. Esitanti palombari nell’ombra: “Lui se lo tolse lentamente e mi trafisse con lo sguardo. Un duello all’Ok Corral”. Poi silenzio, orizzonti perduti e carri in maschera.