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 2013  novembre 30 Sabato calendario

DELITTI SENZA CASTIGO IL MALE ASSOLUTO SECONDO MCCARTHY


Sarà che Cormac McCar­thy non risulta aver mai frequentato un corso di scrittura cine­matografica, sarà che questa è la sua prima sceneggiatura, op­pure che dai tempi della Trilo­gia della Frontiera siamo abi­tua­ti a vederlo alternare descri­zioni a scene prevalentemente dialogiche, ma risulta difficile considerare The Counselor - Il procuratore (Einaudi, pagg. 120, euro 14, 50) come qualco­sa di eterogeneo rispetto ai suoi romanzi. Non sembra, co­me ci si aspetterebbe da una sceneggiatura, la componente importante ma subalterna e preliminare di un esito finale (il film),ma un’opera in se stes­sa. Il paesaggio umano, geogra­fico, morale è quello del più classico McCarthy di frontie­ra: il deserto, le città di confine, le albe grigie e i monti viola in fondo alla pianura, le strade che corrono diritte nella polve­re. E soprattutto uomini di fron­te alle loro scelte. Solo che qui tutte le scelte sembrano essere già compiute. In questo senso, The Counselor inizia dove ter­minava Non è un paese per vec­chi ,
proprio in quel terribile mondo presente che lo scerif­fo Bell rifiutava, un mondo do­ve il male è ormai un intreccio che avvolge e unifica tutti, uo­mini di legge e narcotraffican­ti, corrieri della droga e uomini d’affari. Un mondo che non è più paese per nessuno.
La trama di The Counselor ha tutta la linearità di un vicenda biblica. Un procuratore (ma si tratta, in effetti, di un avvoca­to), uomo ancora giovane, ric­co e apparentemente appaga­to, in procinto di sposarsi con quella che con ogni evidenza è la donna della sua vita, tramite due personaggi borderline co­me Reiner, un gestore di night club, e Westray, un uomo d’af­fari, riesce a entrare nel colos­sale business del traffico di dro­ga tra Messico e Stati Uniti con un colpo da venti milioni di dol­lari. Cosa lo spinge su quella strada, nonostante i due lo met­tano in guardia sulla psicopati­ca crudeltà dei cartelli della droga e sulla loro allergia ai di­lettanti del narcotraffico? Mc-Carthy non lo dice. Ci mostra il procuratore ad Amsterdam, mentre acquista un diamante per la sua Laura e discute con un sentenzioso ebreo sefardi­ta. O sul lavoro, a colloquio con una donna accusata di omici­dio, o alle feste di Reiner, o sot­to le lenzuola con la sua ormai prossima sposa. Ce lo fa ascol­tare in molti dialoghi, visto che numerose scene si riducono a questo: due uomini che parla­no, uno che interroga (di solito lui, il procuratore) e l’altro che risponde.È l’avidità, il moven­te? È la volontà di attraversare il confine, l’eccitazione di sfio­rare quel mondo primordiale e barbarico che per i personag­gi di McCarthy si situa appena al di là del Rìo Bravo,nell’infer­no di quella Ciudad Juarez do­ve si ammazzano tremila per­sone all’anno e dove i signori della droga rapiscono a centi­naia le ragazzine di cui filme­ranno l’agonia nei loro snuff movies? McCarthy non lo dice. Piuttosto che far luce sulle mo­tiv­azioni preferisce lasciare in­tatto il nucleo d’ombra che c’è nel cuore del protagonista - o meglio, come per altri perso­naggi di McCarthy, è quello stesso mistero a rappresentare la verità. L’affare messo in pie­di da Reiner, Westray e dal pro­curatore non andrà per il verso giusto, e quello che era iniziato come puro business diventerà una caduta a precipizio nell’or­rore. Che McCarthy, raramen­te così spietato, non risparmia né in forma di descrizione indi­retta (valga, per tutte, quella fatta da Reiner del bolito, un folle strumento per decapitare a tradimento la vittima) né in forma di azione. La violenza e il sangue lasciati presagire per tutta la sceneggiatura si mate­rializzano in un finale che si im­pone con la forza crudele della predestinazione (e altrettanto crudele mi parrebbe svelarne i particolari).
Il procuratore, l’avrete nota­to, non ha nome. McCarthy ri­tiene che non ne abbia biso­gno perché, in effetti, il procu­ratore non è nessuno in parti­colare. Il male è ubiquo e trion­fan­te nel nuovo mondo e il pro­curatore, con il buio impene­trabile delle sue motivazioni, è una parte di ognuno di noi.
Il film, diretto da Ridley Scott, uscirà in Italia a genna­io. Mentre attendiamo di vede­re come se la caveranno lui e il suo cast all stars, abbiamo la certezza di un’opera in cui (at­traverso la resa impeccabile ed empatica della traduttrice Maurizia Balmelli) si esprime la voce del McCarthy migliore, quello che parla di uomini con un dilemma morale, del bene e del male. Sempre più spesso, come in questo caso, soprattut­to del male.