Gian Luigi Paracchini, Corriere della Sera 30/11/2013, 30 novembre 2013
UN DIRIGENTE? NO, DI PIÙ: È UNO DI NOI
Bravo nello scatto, efficace nel contrasto, non male nel dribbling. Di certo fumantino nonostante la cravatta gialla: ha mandato televisivamente al diavolo arbitri, giocatori avversari e qualche volta perfino i suoi.
Di dirigenti sportivi esuberanti sono piene le raccolte ma nessuno che abbia sublimato la tensione in tribuna con movenze tecniche come Adriano Galliani. Non si sa quanto sia stato comodo averlo seduto dietro allo stadio, né quante poltroncine abbia divelto con tackle a martello e immaginarie punizioni calciate di punta. Ma non c’era verso (né qualcuno ha mai tentato) di marcarlo.
Poi il modo di gioire. Le vene dilatate del collo dopo Perugia-Milan (1-2) del campionato ’99 e scudetto in rimonta sulla Lazio. Il rovinoso dondolamento a strascico con cui abbatte i vicini in Milan-Ajax (3-2), quarti della Champions 2003 (poi vinta), dopo il gol a tempo quasi scaduto di Tomasson.
Ma non soltanto gioia, anche il modo d’esprimere paura, dolore: lo sguardo tragico nel secondo derby (sempre Champions 2003) quando un disperato Abbiati para il tiro di Kallon che avrebbe fatto vincere l’Inter. O a Istanbul. E basta la parola.
Ecco perché i tifosi del Milan non hanno mai considerato Galliani soltanto «il» dirigente dell’epopea berlusconiana ricca di grandi colpi e grandiosi trofei, ma pure un compagno di fede. A partire dal palpitare in tribuna a fianco del figlio: la stessa educazione sentimentale cioè comune a moltissimi di noi.
Inevitabile quindi che anche quando il nostro zio Fester ha toppato qualche acquisto tipo Roque Junior («ecco il nuovo Thuram») e il misterioso Olivera, arrivato dopo aver lasciato Ibrahimovic all’Inter, o ha spento le luci a Marsiglia, gli abbiamo soltanto tenuto un po’ il broncio ma niente di più. E ci spiace sinceramente che vada via in questo modo.
D’altra parte giocatori, allenatori, presidenti passano, il Milan resta. Dunque grandi auguri alla bionda, decisionista Barbara, laureata in tempi record alla moderna facoltà di rottamazione. Nessuno dubita che abbia idee chiare e chissà mai che in famiglia riceva input diversi dal reclutare giocatori a parametro zero o in liquidazione.
Al di là del grande freddo attuale, un pizzico di praticantato con tale maestro le sarà senz’altro servito. Basterebbe ricordasse quel grande colpo di classe gallianesco perpetrato a fine 2011 quando, praticamente venduto Pato al Psg per una cifra cosmica, aveva in tasca il contratto di Tevez: sarebbe stato secondo scudetto consecutivo e chi avrebbe poi mandato via Ibra e Thiago?
Peccato davvero che qualcuno si sia messo di mezzo.