Andrea Gennai, Il Sole 24 Ore - Plus 30/11/2013, 30 novembre 2013
IL BENE RIFUGIO PROTEGGE SEMPRE MENO
Alla fine anche l’oro ha smesso di brillare. Dopo 12 anni di rialzi consecutivi qualche risparmiatore cominciava a pensare che il bene rifugio potesse solo salire. Invece questo 2013, salvo colpi di scena dell’ultima ora, ha riportato il metallo giallo con i piedi per terra (è la peggiore flessione dal 1981), dimostrando che non esistono asset finanziari destinati ad apprezzarsi all’infinito.
Nell’ultimo decennio l’oro ha subito una profonda metamorfosi diventando sempre più uno strumento finanziario scelto come investimento per finalità che andavano oltre il suo tradizionale uso nel campo dell’oreficeria o delle monete. È stato il decennio degli Etf, i fondi replicanti, che hanno innescato dapprima un circolo virtuoso per i prezzi (con il boom della domanda di metallo per investimento) salvo poi trasformare il tutto in un circolo vizioso (si vende oro nella paura che il prezzo possa arretrare alimentando la spirale al ribasso): nei primi nove mesi dell’anno il patrimonio mondiale degli Etf è arretrato di ben 700 tonnellate di metallo.
Una pesante zavorra sui prezzi in un contesto congiunturale già provato (-21% la domanda globale di oro, ai minimi da quattro anni secondo l’ultimo rapporto del World Gold Council). A poco è servito sapere che la richiesta cinese è stata pari a 779,6 tonnellate (già oltre l’intero 2012) contro 714,7 per gli indiani. La Cina è la grande scommessa per l’oro ma, al momento, i fondamentali non riescono a sorreggere i prezzi.
Così da inizio anno la perdita dell’oro è del 25 per cento a 1.240 dollari. Sale al 35% se calcolata dai massimi del settembre 2011, poco sopra i 1.900 dollari. Il rally durato ben dodici anni sembra già un ricordo sbiadito ma dal 2001 al 2012 l’oro ha messo a segno un progresso pari al 505 per cento. Oggi i driver che hanno consentito questa performance eccezionale sembrano svaniti: in primis come abbiamo visto i deboli fondamentali, ma l’altro fattore importante la scomparsa dell’inflazione. Si sa che l’oro è l’unico asset che protegge dal caro prezzi, ma se l’inflazione scende abbondantamente sotto il 2% ha meno senso detenerlo. Poi c’è l’effetto del rialzo dei tassi: in vista del tapering (riduzione del piano di stimoli della Fed), in programma già nel meeting di dicembre oppure a marzo, il rendimento del decennale Usa è balzato verso il 3 per cento. L’oro, si sa, non paga cedole: quando l’azionario va a gonfie vele e le obbligazioni danno rendimenti interessanti, sopra l’inflazione, si ha meno interesse a comprare oro.
La discesa dei prezzi che si è consumata negli ultimi mesi incorpora tutte queste variabili, decisamente non positive per il metallo giallo. La discesa dei prezzi è comunque arrivata in quell’area di 1.250 dollari, dove, a detta degli analisti, viaggia il costo industriale di estrazione. Alcune miniere potrebbero essere costrette alla chiusura, e una riduzione dell’offerta potrebbe dare slancio ai prezzi. La media del prezzo secondo il panel degli analisti interpellati da Bloomberg è di 1.275 dollari nel 2014. Il potenziale di upside è limitato, ma anche i margini di discesa si stanno stringendo. Merrill Lynch-Bank of America è più ottimista e vede un prezzo di 1.294 dollari il prossimo anno: una volta superati gli effetti del tapering, le opportunità saranno legate alla ripresa dell’inflazione e al ruolo di acquirenti da parte delle banche centrali dei Paesi emergenti. Ancora superiore il target per il 2014 indicato da Barclays, che stima un prezzo medio intorno a 1.310 dollari. Ma non tutti gli analisti sono concordi: tra i pessimisti, svetta Societé Generale che vede l’oro a 1.150 dollari nella seconda metà del prossimo anno.