Davide Coppo, Studio novembre-dicembre 2013, 2 dicembre 2013
FANTACAMPIONI DI FANTAEUROPA
Nel 2001 ho quindici anni, una fidanzata che vedo poco, un libretto del liceo pieno di mediocrità e una forte anche se neonata dipendenza, causa in una certa parziale misura delle due precedenti condizioni. Nel 2001 viene distribuito Championship Manager nella versione 2001/02, il videogioco manageriale di calcio più famoso e venduto di sempre. L’edizione del 2001/02 è quella della svolta: nato nel 1992, il gioco che ti fa fingere di essere un allenatore (anzi, manager, all’inglese, con tutti i poteri di responsabilità e gestione della squadra in più del caso) quell’anno fa il salto triplo e diventa il cult che è ancora adesso. I campionati disponibili sono un centinaio sparsi in ventisei nazioni, dall’Italia agli Stati Uniti al Giappone alla Finlandia. La dettagliata pagina di Wikipedia dedicata alla serie dice apertamente, e senza il fastidioso bollino rosso che avverte “citation needed” o “senza fonte”, che Championship Manager 01/02 è considerato il miglior capitolo tra tutti quelli pubblicati fino ad ora. Sette anni dopo, nel 2008, la Eidos Interactive, azienda che lo sviluppava, rilascia una versione freeware, che vuol dire gratis, del gioco. Nel 2008 ho ventidue anni, la scarico, la installo, intrigato anche dal fascino un po’ vintage delle schermate, ma ci gioco poco: avevo già vinto sette anni prima tutto quello che potevo vincere, avevo già comprato i migliori talenti in circolazione, già guidato la Nazionale italiana, insomma sono annoiato dal successo già vissuto e dal dover ripercorrere le stesse tappe. Però vado anche a visitare i forum online su cui avevo passato (bruciato) moltissime ore a quindici anni, forum dedicati a Championship Manager 01/02 che continuano, a sette anni di distanza, a dibattere e vivere su quel gioco, su quella versione. Anzi grazie all’uscita in freeware il volume dell’attività è forse aumentato. Cosa fanno tutte queste persone che si agghindano l’identità virtuale con soprannomi molto brutti? Si scambiano consigli sugli acquisti, sulla profondità con cui è meglio far giocare un 4-3-3 poco fisico, sull’opportunità di schierare una difesa a uomo in caso di catenaccio, e così via. Si scambiano ovviamente gli aggiornamenti del database, le patch, così puoi giocare con lo stesso motore della versione del 2001, ma con Tevez alla Juventus e Cavani al Paris Saint Germain. Sono tornato su quei forum pochi giorni fa, nel 2013. Funzionano ancora e sono ancora più che attivi.
Questa era una premessa. Il suo significato è: c’è un mondo nel mondo del calcio, è il mondo di Championship Manager (oggi Football Manager), ed è un mondo completamente folle.
Qualche riga di storia dal 1993 a oggi: Il 31 ottobre è uscito il ventunesimo capitolo della saga Championship Manager/Football Manager, con un database di giocatori composto da più di 600.000 risultati, un motore grafico in 3D che ricorda non troppo lontanamente i videogiochi “giocabili” alla Fifa o Pes, e ancora altre novità e migliorie rispetto alle puntate precedenti (parlare con i finti giocatori quasi come se si parlasse con giocatori veri, più opzioni e clausole nella negoziazione dei contratti e dei trasferimenti).
Come scritto poco fa, il primo capitolo della saga risale al 1992, quando Paul Collyer e Oliver Collyer, fratelli e creatori del gioco (la lavorazione inizia alla fine degli anni ‘80) convincono la Domark (successivamente Eidos) a pubblicare il loro videogioco manageriale, inizialmente chiamato European Champions. I nomi dei giocatori utilizzati non sono quelli reali, e il primo lancio non è un successo. L’anno successivo nasce Championship Manager ‘93, questa volta i giocatori hanno dati anagrafici reali, la neonata Premier League viene inserita, vengono inseriti anche i trasferimenti da squadre estere. Il gioco inizia a vendere, esce anche uno spin-off dedicato alla Serie A italiana chiamato Championship Manager Italia, e nel 1994 i fratelli Collyer decidono di pensare più in grande e fondano la Sports Interactive. Nel settembre 1995 viene lanciato Championship Manager 2, ed è il titolo che porta il successo globale alla saga. Sotto il “2” escono CM ‘96/’97 e ‘97/’98. L’anno successivo arriva Championship Manager 3, che include anche la versione ‘01/’02 di cui sopra. A questo punto della storia i giocatori e lo staff tecnico e manageriale inseriti nel database di Championship Manager sono circa 30.000. Viene inserita una caratteristica che cambierà per sempre l’approccio al gioco, si chiama in gergo “fog of war”. L’espressione originale è tedesca (Kriegsnebel) e inventata dall’esperto di strategia militare Carl von Clausewitz nel suo manuale Sulla guerra nel 1837: riguarda l’incertezza che per von Clausewitz ricopre i tre quarti delle decisioni prese durante una battaglia, ma nell’accezione videoludica indica caratteristiche non immediatamente disponibili per il videogiocatore. Nei giochi di strategia militare si riferisce a porzioni della mappa del gioco dipinte come nere, o annebbiate, da scoprire e rischiarare tramite l’esplorazione. In Championship Manager si riferisce alle caratteristiche tecniche di giocatori non eccezionalmente noti che richiedono l’impiego di scout virtuali per portarle alla luce.
Lo scouting, nel capitolo 2001/02, diventa l’elemento fondamentale per costruire una squadra di successo. I forum – proprio quelli che frequento durante quel biennio 2001/02, trascurando studio e fidanzata – sono un elenco borgesiano di nomi e cognomi esotici e squadre ancora più sconosciute. I mercati calcistici di Bielorussia, Polonia, Paraguay, Olanda, si aprono e si rivelano ad appassionati di calcio reale e calcio videogiocato in tutto il mondo. Il database è sempre più grande fino a diventare immenso. Giocando scopro un ragazzo olandese di diciassette anni, gioca nel Groningen, Olanda settentrionale, si chiama Arjen Robben. Lo scrivo sul forum, lo consiglio. È titolare nella mia Roma che sta vincendo il campionato di Serie A. Consiglio anche altri tre giocatori, tutti nella squadra Primavera della Roma stessa. C’è un diciottenne che si chiama Daniele De Rossi, un diciassettenne di nome Alberto Aquilani, un diciottenne che gioca punta centrale e segna decine di goal anche in prima squadra, Simone Pepe. Tutti li conoscono, anche se non hanno mai giocato una partita in prima squadra nella realtà. Nei forum nascono miti e culti. Si fa un gran parlare di un bielorusso, si chiama Maxim Tsigalko, ha diciassette anni. Tsigalko è semplicemente il miglior giocatore del gioco. I suoi parametri tecnici si evolvono fino a diventare altissimi, è il giocatore che più o meno tutti comprano, le sue medie goal fanno impallidire gli attuali Messi e Cristiano Ronaldo. Si inizia a parlare, prima sui forum stessi, poi sui blog, poi su magazine e quotidiani più avvezzi a trattare argomenti popolari come calcio e videogiochi con serietà (The Guardian, per dirne uno), della storia del vero Tsigalko. Perché lo Tsigalko famoso nel mondo è un Doppelgänger del vero Maxim Tsigalko, come se uno fosse un personaggio letterario sfacciatamente ispirato alla realtà dell’altro, ma distorto e con una vita propria. Più volte mi sono chiesto se Maxim Tsigalko fosse a conoscenza di questa sua fama. Ho provato a contattarlo tramite la sua ultima società di club, il Savit Mogilev, ma il club bielorusso è fallito nel 2009 dopo essere stato fondato soltanto nel 2005. Ho provato tramite la penultima, il Banants di Yerevan in Armenia, ma nessuno mi ha mai risposto. Probabilmente hanno pensato dovesse essere uno scherzo. Tsigalko, che nelle poche fotografie che si trovano su Internet sembra un ragazzo alto, magro, un po’ allampanato e triste, si è ritirato a soli ventisei anni a causa degli infortuni. Ha giocato nella Dinamo Minsk, società nella quale militava ai tempi di Championship Manager, fino al 2006, con 53 partite di campionato e 24 reti. Poi se n’è andato al Novopolotsk, poi ha provato la fortuna un anno al Kaisar, in Kazakhstan, poi in Armenia con il Banants. Mi sono anche chiesto se sognava, nel caso sapesse della sua presenza nel gioco, di poter diventare davvero così grande e forte e famoso. E se a ogni infortunio, ogni partita senza goal, o passata in panchina, pensasse all’altro Tsigalko, quello Campione d’Europa nei computer di centinaia di migliaia di giocatori in giro per il mondo.
Oggi Football Manager (a proposito: ha cambiato nome nel 2004, dopo che Eidos ha divorziato da Sports Interactive, e quest’ultima ha continuato a produrre il gioco con l’appoggio di Sega e con un piccolo cambiamento nel titolo) conta un database composto da più di seicentomila (600.000!) calciatori e dirigenti visionati e “schedati”, ossia recensiti. Soltanto in Italia i record sono 62.459. Soltanto in Italia ci sono 4.348 squadre, 8.630 città, 3.287 stadi. Sono dati impressionanti che fanno pensare a una gigantesca macchina organizzativa, una “potenza di fuoco” (da parte di Sports Interactive) tale da far impallidire i migliori scout delle migliori società professionistiche di calcio. Come funziona questo mondo? Ho contattato Alberto Scotta, conosciuto dai più con il soprannome di “Panoz”, head researcher per il campionato italiano, uno dei 1.500 ricercatori sparsi in giro per il mondo. Panoz (lo chiamo “Panoz” durante tutto il nostro colloquio, lo chiamo “Panoz” anche in queste righe) inizia a lavorare per Sports Interactive nel 1996, quando invia in Inghilterra una richiesta per diventare un beta-tester del gioco. Gli propongono invece di diventare ricercatore, e gli affidano come prova la ricerca sul Piacenza. «Io mi ricordo di aver passato ventiquattro ore senza dormire a cercare tutti i dati possibili per scrivere il più in fretta possibile alla Sports Interactive», mi dice Panoz mentre guida verso casa dopo il lavoro – lavoro “vero”, visto che tutto l’impegno profuso per Football Manager è profuso nel tempo libero, per passione. «Dopo una settimana mi hanno risposto e mi hanno detto ok, ci piaci, adesso diventi ricercatore di Championship Manager. Quindi divento ricercatore e il primo database che ricevo è fatto di 452 record, il database italiano» continua Panoz, che parla a lungo e sempre molto ordinatamente. Forse in questa trascrizione, naturalmente leggermente modificata, non si noterà molto, ma una cosa mi colpisce nell’ascoltare Panoz: la sua espressione più utilizzata è «piano piano» o «mano a mano», indica pazienza, forse determinazione, sicuramente metodo, e da 452 giocatori a 62.459 il passo non è poi così breve. Gli chiedo come è cambiata l’organizzazione dell’azienda da quei primi giorni, e lui subito mi risponde che «azienda» è una parola sbagliata, loro erano un gruppo di ventenni poco più che teenager che gestivano tutto in casa, sia lo sviluppo del gioco sia la traduzione sia la ricerca.
Come si mappa il mondo calcistico, questa è la mia domanda più curiosa, ve ne andate tutto l’anno in giro per i campi della Serie A, della Lega Pro, dell’Eccellenza? No. Funziona così, mi dice Panoz: «Io sono il capo della ricerca e sotto di me ci sono circa trenta persone, i ricercatori Vip. Ognuna ha dei compiti specifici. Ci sono circa dodici, quindici persone che fanno i capo Serie delle varie divisioni dei campionati professionistici. Sotto di loro devono trovare dei capo squadra per ogni squadra. I capo squadra sono quelli che si iscrivono alla ricerca durante l’anno, e devono compilare i dati sui giocatori di un team. Ogni anno sono circa 400, di queste ne perdiamo metà. Poi ci sono persone che si occupano solo delle leghe giovanili». Tutto questo è quello che Panoz chiama «il lavoro sporco». All’inizio è lui da solo, con qualche amico, con dei fogli Excel stampati in casa a riempire caselle di dati come “velocità” o “elevazione” o “finalizzazione” con dei segni positivi, o negativi, da sommare e sottrarre poi, e bilanciare in un giudizio finale. Anni dopo, nel 2011, Sports Interactive invita tutti gli head researchers a Londra per un meeting. Vanno tutti a vedere una partita del Wimbledon, dove incontrano degli scout professionisti che mostrano loro i fogli utilizzati per lo scouting, «i fogli classici che usano i veri scout» come li chiama Panoz. E scopre che i suoi fogli Excel artigianali sono, dettaglio più o dettaglio meno, uguali a quelli dei professionisti.
Il rapporto tra realtà e virtualità è un poco ingarbugliato, pur in modo meno letterario rispetto al caso di Tsigalko e degli altri giocatori misconosciuti e virtualmente “cult”. Un database composto da 600.000 giocatori sparsi per il mondo, dalle più importanti leghe europee ai campionati inferiori dell’ex Urss, può far gola anche alle squadre reali. Panoz mi dice che una squadra che si è avvalsa certamente del database di Football Manager per procedere alla campagna acquisti è il Vicenza. Ma c’è, in Italia, il caso sospetto del Genoa. «Hanno comprato nel 2010 sia Miguel Veloso e Zuculini, erano due dei più forti centrocampisti dell’anno prima di Football Manager. E poi hanno opzionato Andy Polo, un ragazzo nato nel 1994 che gioca in Perù. Qualche sospetto ce l’abbiamo». Anche José Mourinho è un dichiarato fan del gioco, e spesso, confessa Panoz, è in contatto con il direttore di Sports Interactive, Miles Jacobson, per chiedere consigli e pareri. Successe anche a Giovanni Trapattoni, che prima di un Italia-Inghilterra si fece aiutare dal videogioco per conoscere le caratteristiche tecniche degli avversari che non aveva visto sul campo o in videocassetta.
Gli chiedo se gli “errori” che diventano eroi nella base di fan del videogioco sono voluti o visti con affetto. La prima risposta è no, la seconda è sì. Su 600.000 giocatori, è normale che ci siano degli errori, dice poi. Anche perché il grosso del lavoro, spiega, si fa in pochi mesi, da giugno a settembre, quando arrivano tutte le schede dalle centinaia di aiutanti in giro per l’Italia. Ogni notte, sabato e domenica compresi, si lavora fino alle due.
Oltre ai già citati Robben, De Rossi, Aquilani, Cerci (Panoz è molto fiero del suo lavoro riguardo a questi ultimi tre), c’è un altro aneddoto interessante sulla potenza di Football Manager. Lo ha raccontato Alex McLeish, risale a quando McLeish allenava i Glasgow Rangers, nel 2005. Suo figlio, appassionato del gioco, gli disse che avrebbe dovuto comprare un ragazzo argentino del Barcellona B, uno che a Football Manager con il passare degli anni si rivelava essere il più forte del mondo. McLeish gli disse che non ne aveva mai sentito parlare, giustamente. Come non ne aveva sentito parlare nessuno, o quasi, tranne i ricercatori catalani o spagnoli del gioco, e quel mondo nel mondo del calcio che è il mondo di Football Manager.