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 2013  novembre 30 Sabato calendario

COPPE, MERCATO E TV: IL CALCIO DI ADRIANO


Una maschera da commedia dell’arte, un cartone animato, forse un Muppet. Ma anche, a suo tempo, l’uomo più potente del calcio italiano. Trasfigurato e scomposto in tribuna, dove sembrava l’imitatore di Teocoli mentre imita Galliani, però esatto come un cardiochirurgo quando si trattava di inventare un nuovo modello di sport, emanazione televisiva con circolazione extracorporea: il sangue delle tivù per ossigenare il calcio che quelle stesse tivù alimenta, con partite ogni sera e in ogni luogo, per la gioia di mogli, madri, nonne, zie, cugine, sorelle, fidanzate, amanti agnostiche. Il campionato spezzatino l’ha cucinato per primo proprio lui, Adriano Galliani.
Sarà strano non vedere più allo stadio (ma sarà vero?) quel faccione paonazzo, strozzato dall’immancabile cravatta gialla, sull’orlo di una sincope amorosa nel carnevale del gol. Galliani ultrà, Galliani passionale. Galliani colto: chiamò Micol sua figlia in omaggio alla Micol del Giardino dei Finzi Contini, che non erano i terzini esterni del Monza.
Dopo essere stato segretario comunale in Brianza e aspirante gestore di una spiaggia pugliese, alla fine degli anni Settanta il geometra Galliani ipoteca la casa e compra la Società Elettronica Industriale da uno svizzero, tale ingegner Barbuti. Comincia così la sua storia di antenne, frequenze, ripetitori e cocuzzoli. E Berlusconi, che a quel tempo captava il futuro senza bisogno di parabole, capì che l’antennista Galliani gli sarebbe servito per lanciare un sistema televisivo in concorrenza con quel mortorio della Rai. Non c’erano arrivati Rusconi, Mondadori e Rizzoli, ma lui sì.
Dopo le tivù dal ’79, ecco nell’86 il Milan, dove Adriano Galliani ha governato stagioni di incredibile opulenza sportiva e mercantile — le Coppe dei Campioni, gli olandesi, Sacchi, Sheva e Kakà, Ibra e Balotelli — incrociandole con un po’ di bufale (Tabarez, Terim, Chamot, Redondo e qualcun altro). Ha speso tantissimi soldi del capo, sprecando gli spiccioli. Ha vissuto giorni di buio, reale e metaforico, come a Marsiglia, quando il 20 marzo del ’91 si spensero i riflettori e il geometra ritirò la squadra: il Milan ebbe partita persa e un anno di squalifica internazionale. L’ordine era arrivato da Berlusconi (i due si danno ancora del lei), ma la colpa se la prese Galliani, perché si sa che i parafulmini stanno sui tetti vicino alle antenne.
Giorni di gloria, tanti, e giorni di fortuna, uno specialmente: 9 novembre ’88, i rossoneri stanno perdendo a Belgrado contro la Stella Rossa, al tempo uno squadrone, sono ormai quasi eliminati ed ecco scendere una nebbia epocale. Stop, si rigioca il giorno dopo, il Milan passa ai rigori e comincia l’epopea: arriverà la prima Coppa dei Campioni, con il diritto di disputare e rivincere la seconda, e due Intercontinentali.
Insomma, senza quel nebbione non avremmo avuto “il club più titolato al mondo”, oggi forse il più tribolato.
Il folclore epidermico del personaggio, la sua simpatia insieme alla ferocia, gli abbracci al figlio Gianluca dopo un gol, l’impietoso labiale per Abbiati o Birsa (alzi la mano chi non condivise i giudizi), la bocca storta dello zio Fester ma anche il suo stile, hanno a volte oscurato il disegno del potere (per anni Galliani ha pure guidato la Lega Calcio, dove potrebbe tornare), l’abilità formidabile nelle trattative, nelle mediazioni, nelle intuizioni. Per tre lustri, lui e lo juventino Giraudo si sono spartiti tutto, insieme a Moggi: 12 scudetti su 14 tra Milan e Juve, uniche eccezioni Lazio e Roma, con il dettaglio che Galliani è stato sfiorato appena da Calciopoli, mentre quegli altri sono stati radiati. Più furbo lui, più scaltro e paziente, più saggio e meno ingordo. In buona sostanza, più intelligente.
E come a volte succede ai testoni, una donna si mette di traverso e fa crollare tutto. Donna giovane, ma non nel modo che si potrebbe immaginare. Donna più che altro figlia del padrone, del dominus. Barbara, in ogni senso. La bionda ha preteso, su un vassoio, il capo del vicecapo, l’ha ghigliottinato facendo scendere piano la lama. Inelegante, dice il geometra. Neppure il siparietto nella tribuna del Camp Nou, a Barcellona, era stato il massimo dell’eleganza, con la Berluschina e Galliani seduti accanto nel freezer, odiandosi sorridendo. Sembrava una puntata di Casa Vianello, ma un conto è essere imitati da un cabarettista, un altro è diventare una macchietta. Così il parafulmine è sceso dal tetto. Così l’antenna trasmette solo uno schermo vuoto e bianco, sembra la nebbia di Belgrado ma stavolta non si vince.