Giuliano Foschini, La Repubblica 30/11/2013, 30 novembre 2013
LA VERITÀ NICHI VENDOLA: “LA MIA DIVERSITÀ?
NON HO MAI PRESO SOLDI” –
BARI - Dice Nichi Vendola che alla volte un poeta deve sporcarsi le mani. E che non tutti sono uguali.
Presidente lei è indagato per un’accusa grave: concussione, che significa essersi piegato ai Riva. Come tutti quanti gli altri.
"Sono sempre uscito a testa alta nei procedimenti in cui sono stato coinvolto. Anche in questo sono innocente, lo spiegherò ai magistrati nell’interrogatorio che ho chiesto. Ma lo dimostrano i fatti: mentre tutti erano in ginocchio dinanzi al ciclope, noi invece di genufletterci abbiamo fatto tre leggi. Da soli mentre troppi nella politica, nel sindacato, nel giornalismo si godevano lo spettacolo nella tribuna vip, con posto prenotato".
La legge sulla diossina, dicono i magistrati, è monca: manca il campionamento continuo. Il vostro regalo ai Riva.
"In Italia il campionamento in continuo all’epoca non aveva valore legale. Non c’era e non c’è tuttora una norma tecnica di riferimento. Ora, grazie alla nostra legge a settembre, caso unico in Italia, abbiamo cominciato in via sperimentale".
La legge sul benzopirene, l’altra, è invece praticamente priva di sanzioni. A che serve?
"Grazie a quella legge siamo riusciti a riaprire l’Aia, provvedimento tardivo e da migliorare. Il problema è che trattandosi di obiettivi, comeci impone la norma comunitaria, e non di limiti sulle emissioni, non si possono applicare sanzioni dirette".
Inutile, quindi.
"No. In caso di sforamento possono anzitutto intervenire le autorità sanitarie. Può saltare l’Aia. E poi dimostra che non siamo tutti uguali. Per 35 anni all’Ilva non è mai stata messa una centralina. Ho sfidato i Riva a mani nude, con mezzi limitati, certo, ma gli unici possibili. Siamo l’unica regione d’Italia ad aver legiferato in maniera ambientale. La diossina e il benzopirene non sono specialità pugliesi come le orecchiette. Sono a Priolo, sono a Malagrotta o in pianura padana. Nessuno è intervenuto, né il Parlamento. Né quelle regioni. Noi si".
Le sue telefonate con i Riva sono imbarazzanti.
"Per quella risata ho chiesto scusa al giornalista".
Non è solo la risata. È quella confidenza, il tono.
"Le mie telefonate con Archinà sono due su 16mila, ci diamo persino del lei. In quelle telefonate, tradisco qualcosa? Un’immagine? Una missione?".
Perché un Governatore parla così con l’uomo di un’azienda?
"Non sono una bella statuina nel presepe napoletano. Per fare il governatore non serve scrivere una poesia, ma affrontare di petto problemi complessi, e lì ci sono 20mila operai, in 700 disperati minacciavano di lanciarsi da un ponte. Ho parlato, è vero. Ma mi sono genuflesso agli operai non al padrone. È qui la differenza: ci sono quelli che hanno preso i soldi dai Riva. Io no. Ci sono quelli che scrivevano risoluzioni parlamentari sotto dettatura, altri che hanno ritirato le costituzioni parti civile. Io non l’ho fatto".
"Dica al presidente che Vendola non si è dimenticato di voi". Lei ha fatto, anzi ha detto questo.
"Mai i miei atti sono stati accondiscendenti. Oggi Repubblica ha pubblicato una telefonata che vorrei incorniciare o volantinare, se avessi saputo di essere intercettato non avrei potuto dire di meglio. Archinà parla di una nomina all’autorità portuale e io ascolto, e tiro dritto dicendogli: "Non mi interessa che sia di destra, quello non ruba"".
I suoi slogan della prima campagna elettorale erano "diverso, pericoloso", "estremista"...
"Non posso rimanere con una bandiera in mano a denunciare fuori dai cancelli. Ho il dovere di provare a portare dentro i cancelli l’alito della speranza. Io avevo davanti due possibilità: porsi con lo sguardo dell’artista o assumermi una responsabilità sporcandomi le mani, non nel senso di corrompere ma di affrontare i problemi. Io ho scelto di entrare, senza lasciare la bandiera. Opinabile? Forse si. Ma non è una scelta di degradazione morale, ma di coraggio politico".