Paolo Griseri, La Repubblica 30/11/2013, 30 novembre 2013
LA CADUTA DELL’UBIQUO COTA IL SOGNO DELLA MACRO-REGIONE INFRANTO DALLA GRANDE ABBUFFATA
TORINO — Gli esegeti ancora s’interrogano, a quattro giorni di distanza dal fattaccio, su quale sia stato il passaggio dell’intervento di Mercedes Bresso che ha scatenato l’ira del consigliere dei Fratelli d’Italia Franco Maria Botta, figlio di Giuseppe, capocorrente della Dc torinese negli anni della Prima Repubblica. Il Botta figlio (nomen homen) si è avventato sul microfono della Bresso, prontamente bloccato dai colleghi prima che il parapiglia si concludesse con la generale caduta a terra, plastica rappresentazione del livello raggiunto dall’istituzione regionale complessivamente intesa. È il crollo del mito del Territorio, la fine dell’idea ingenua che per il solo fatto di essere lontani da Roma si diventa onesti. E invece, nella terra del leghista Roberto Cota, si scopre che il palazzo della Regione è solo un bonsai della Montecitorio degli anni peggiori. Dalla macro-regione del Nord alla mega-abbuffata.
Chissà che cosa avrebbe pensato, nel momento della fatidica caduta dopo la baruffa sabauda, il Botta padre, buonanima. Uomo d’altri tempi, quando i notabili democristiani
venivano accusati di corruzione perché prendevano le mazzette dai signori dell’autostrada di Aosta. Del figlio sappiamo invece che è accusato di aver speso il denaro del contribuente principalmente a tavola e che ama il pesce. In due anni s’è letteralmente mangiato 41mila euro, 56 al giorno, al ristorante «La Gola», uno dei sette peccati capitali. Quando nella campagna elettorale del 1948 il Pci accusava la Dc di sperperare il denaro pubblico, scriveva sui manifesti “Via il regime della forchetta” ma tutti sapevano che si trattava di una metafora. Nella Prima Repubblica, si lucrava sulle grandi infrastrutture: il reparto alimentari era considerato disonorevole. Nel febbraio del 1968 il sindaco democristiano di Torino, il professor Giuseppe Grosso, ritirò le deleghe al suo assessore al personale perché non lui ma il segretario aveva accettato tre forme di provolone da un padre riconoscente per l’assunzione del figlio. Oggi invece Giuseppe Novero, consigliere leghista, detto «barba Toni», zio Toni, resiste imperterrito sul suo scranno anche se è accusato di aver acquistato con il denaro pubblico notevoli quantitativi di gorgonzola. Repubblica che vai, formaggio che trovi.
Lo stupidario delle spese pazze del Piemonte è bipartisan con la vistosa eccezione del gruppo del Pd, non si sa se perché
davvero più onesto degli altri o se dotato di una segreteria amministrativa più efficiente. Plausibilmente sono valide ambedue le spiegazioni. «La realtà — dice una fonte interna — è che il gruppo del Pd è formato da gente con una certa esperienza». Accade che i neofiti siano ingenui. Andrea Stara, infatti, eletto nel gruppo di Mercedes Bresso e un passato nei Comunisti Italiani, non sa
come sia possibile che per la sua attività politica la collettività abbia dovuto acquistare un tosaerba, una sega circolare e i Dragon Ball. Disboscare gli antichi privilegi della casta è certamente un’opera meritoria ma non era questo il senso dell’espressione. In ogni caso il consigliere Stara dice di non sapersi spiegare l’accaduto (che è effettivamente abbastanza inspiegabile). Se
ne deduce che ha acquistato una sega circolare a sua insaputa.
Triste è il destino dell’avvocato Roberto Cota, il leghista dal volto umano che presiede la giunta. Nel 2010 era calato a Torino dalla fatal Novara per far assaggiare ai rammolliti salotti torinesi la rabbia della provincia gonfia di rancore. Non gli è andata bene. Ancor prima che fosse certificata la truffa della lista di pensionati che lo fece vincere senza averne i requisiti (una storia di firme false) è andata in crisi la sua operazione politica. Il primo assessore alla sanità è stato travolto da uno scandalo con incredibile velocità. Al suo posto Cota ha sistemato un manager Fiat, il novarese Paolo Monferino. Animato dalle migliori intenzioni, Monferino ha resistito fino al marzo scorso quando è stato sbalzato di sella come il cowboy nel rodeo, per l’evidente impossibilità di portare a termine la sua riforma. Non è la stessa cosa costruire i camion all’Iveco o organizzare l’acquisto delle flebo: la politica è un mestiere.
Rimane il buco nel bilancio, eredità, a dire il vero, di una lunga gestazione, iniziata negli anni delle giunte a guida Dc, proseguita con gli scandali della giunta del forzista Enzo Ghigo, transitata senza sensibili
miglioramenti per la giunta di sinistra di Mercedes Bresso e miseramente schiantatasi con l’amministrazione Cota. «In tre anni il federalismo in versione leghista ha fatto salire l’indebitamento da 4,5 miliardi a oltre 9», spiega il capogruppo del Pd, Aldo Reschigna. Altro che Roma ladrona. Il biellese Quintino Sella piangerebbe di disperazione scoprendo che mentre cresceva un simile buco, l’assessore leghista al bilancio, Giovanna Quaglia, acquistava tisane e cappotti a spese del contribuente.
Così, sull’onda dello scandalo, il centrosinistra piemontese, sconfitto nel 2010, prepara la riscossa e tenta la spallata con le annunciate dimissioni di massa. Ieri 170 esponenti delle istituzioni locali hanno chiesto il ritorno in campo di Sergio Chiamparino, oggi alla guida della Compagnia di San Paolo. Il governatore, invece, si dice «sereno» e, naturalmente, scarica sulla segretaria. Cota appoggia Matteo Salvini nella gara in discesa alla conquista della segreteria leghista. Ma il sostenuto non sembra apprezzare: «Cota? Lo stimo. Le mani sul fuoco ho smesso di metterle quando avevo sei anni, la volta che il mio migliore amico mi rubò il pallone». Un trauma. Si ruba anche al Nord. E fin dalla più tenera età.
(1 — continua)