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 2013  novembre 30 Sabato calendario

“SONO L’HOMO LUDENS DEI SAPERI INTRECCIATI”


Tutto era scritto fin dal 1980, agli albori della Raffaello Cortina editore. «Tra i nostri primi cinque libri – ricorda il Raffaello Cortina in carne e ossa - c’erano Le storie che curano di James Hillman e Costruzione e rottura dei legami affettivi di John Bowlby. Due pensatori che, non le pare?, sarebbe riduttivo chiudere nella definizione di psicoanalista, connessi come sono l’uno alla filosofia e l’altro all’etologia. Ecco: ai saperi che s’intrecciano mi sono sempre interessato».
E fu così che in questa palazzina del centro storico di Milano, a due passi dal Conservatorio e dalla Basilica di Santa Maria della Passione, si cominciò a esercitare un mestiere editoriale inconsueto in Italia, fatto di spunti curiosi e non convenzionali. Si cominciò con la psicoanalisi e discipline affini, rivolgendosi innanzitutto agli addetti ai lavori. Poi, con il fondamentale apporto di Giulio Giorello, dagli Anni Novanta si sconfinò nella filosofia e nelle scienze umane in generale, non inseguendo il best seller («casomai lo slow long seller») ma finendo tuttavia per incapparci, per esempio con Vito Mancuso o Roberta De Monticelli. Senza pregiudiziali ideologiche: nella collana «Scienze e idee» c’è Toni Negri e c’è il filosofo cattolico Giovanni Reale, oltre alla Cattedra dei non credenti di Carlo Maria Martini. Soprattutto divulgazione colta e obliqua: che per esplorare le radici dell’etica ti parla di scimmie (Il bonobo e l’ateo di Frans de Waal), e per allargarti gli orizzonti ti introduce alle percezioni sensoriali del mondo vegetale (Quel che una pianta sa di Daniel Chamovitz). Libri che, più che a Milano, sembrano stampati a Londra: freschezza di approccio, note e bibliografie in quantità, curatela eccellente e traduzioni minuziose, «perché il segreto è far tutto in casa e non cedere all’outsourcing».
Vagamente anglosassone nel baffo color mogano e nell’uso della pipa è pure Cortina, che partendo dalle dispense universitarie di famiglia si è inventato un piccolo miracolo, ancora in attivo pur non essendo legato ad alcun colosso editoriale. «Il nostro fatturato è sui sei milioni di euro, stabile anche per il prossimo anno nonostante il settore della saggistica perda, in generale, tra il 12 e il 15 per cento. Aveva ragione Ferruccio Fölkel quando scriveva che, volendo, il vino si può fare anche con l’uva. Quando succede, la gente apprezza».
Cortina, quali sono i libri che non solo hanno contribuito a farla diventare la persona che è, ma hanno delineato l’identità della casa editrice?
«Mi sono sempre piaciuti i romanzi documentati come un saggio e i saggi appassionanti come un romanzo. Direi che il nesso col mio lavoro c’è eccome».
Un esempio del primo caso?
«Marco e Mattio di Sebastiano Vassalli, libro del cuore per chi, come me, ha origini nel Bellunese. La storia degli zattieri del Piave, cioè dei traghettatori di legna sul fiume, raccontata con la profondità di un libro di storia».
Mentre il saggio che diventa romanzo…
«…Homo ludens di Huizinga, tanto amato in gioventù. Ma anche Il secolo breve di Hobsbawm. Di fronte a opere del genere che senso ha quella che a me pare soltanto una classificazione merceologica? Chi può dire se si tratti di saggi, testi universitari, libri di studio o che altro? Mi piacciono le cose sfaccettate».
E questo è uno dei suoi segreti di bottega. Ce ne svela altri?
«Non cerco facce da spendere in tivù o sui media, ma autori, persone accreditate, competenti nella loro materia. Soltanto grazie a loro la casa editrice acquista autorevolezza. Vede, io sgobbo 12 ore al giorno e l’editoria è il mio primo lavoro, non un hobby come per molti miei colleghi editori. Però ho anche la suprema fortuna di essere il direttore editoriale di me stesso: non devo rispondere a nessuno e posso togliermi il lusso di pubblicare titoli non commerciali, ragionando sui tempi lunghi e non sul mordi e fuggi. Pensi al libro di Kandel, L’età dell’inconscio. Aveva tutte le caratteristiche per essere un fiasco: tante pagine, un costo elevato, una fruizione non semplice. E’ andato benissimo. Ho la fortuna di avere in casa figure di assoluta rilevanza, che lavorano qui da vent’anni e più nonostante il mio pessimo carattere. Poi c’è la rete delle conoscenze e delle consulenze. Non frequento i salotti ma gli istituti di ricerca».
Qualche nome?
«A parte la gioia e l’orgoglio di aver frequentato gente come Edgar Morin e Jacques Derrida, e la necessità di confrontarsi con gli editori stranieri e di andare alle fiere, penso per esempio a due neuroscienziati: Vittorio Gallese di Parma, conosciuto in tutto il mondo e di profonda cultura umanistica. E Salvatore Aglioti, anche lui aperto ad altri mondi. Mi affascinano le nuove coniugazioni delle neuroscienze: la neuroeconomia, la neuroestetica, il neuromarketing».
Lei è restato anche un libraio, erede dei negozi di famiglia. La crisi è irreversibile?
«Noi ci difendiamo bene, grazie: nei nostri negozi trova i libri e non gli hamburger. Ma certo, in generale, è stata fatta terra bruciata: le librerie di catena hanno privilegiato le vendite verticali, puntando tutto sul bestseller e trascurando il catalogo: un tanto di Saviano, un tanto di Camilleri, un tanto di star televisive. Ora che la crisi morde anche sulla vendita dei libri commerciali e dei libroidi, non resta che piangere. E no! Il catalogo va difeso. Io sono fiero di vendere, accanto alle novità, cose che già c’erano agli inizi della mia attività, e i classici di Bergson, e Differenza e ripetizione di Deleuze».
L’e-book la inquieta?
«Per niente. A parte la sua quota di mercato trascurabile, senza il volume di carta non esiste. Sa quanti autori partiti col self-publishing vengono a implorarmi di fargli uscire un libro vero? Mi inquieta l’uso superficiale della Rete, quello sì: le notizie copia-e- incolla, le tesi di laurea abborracciate su Wikipedia, la gente che dice “l’ho visto su Internet” con lo stesso tono di chi, quarant’anni fa, sosteneva “l’ha detto la televisione”».
Pare che lei sia un bravo pilota d’aereo.
«Dopo l’editoria il volo è la mia seconda passione. Ma i libri c’entrano anche lì. Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice sembra scritto per me».