Stefano Lorenzetto, il Giornale 1/12/2013, 1 dicembre 2013
Il Giornale, 1 dicembre 2013 Fra i molti sogni impossibili coltivati dall’umanità negli ultimi 130 anni, quello di poter fare la pipì nel serbatoio dell’auto, mettere in moto e partire è indubbiamente il più chimerico, anche perché consentirebbe l’abolizione delle tappe obbligate nelle immonde latrine degli autogrill
Il Giornale, 1 dicembre 2013 Fra i molti sogni impossibili coltivati dall’umanità negli ultimi 130 anni, quello di poter fare la pipì nel serbatoio dell’auto, mettere in moto e partire è indubbiamente il più chimerico, anche perché consentirebbe l’abolizione delle tappe obbligate nelle immonde latrine degli autogrill. Be’, allacciate le cinture: Francesco Lisci, 63 anni a gennaio, perito industriale originario di Gonnosfanadiga, nel Medio Campidano, l’ha realizzato. Non scherzo. Da un anno tre auto - una Renault Clio 1.2 benzina, una Mitsubishi Pajero 2.5 diesel e una Chevrolet Matiz 0.8 Gpl - stanno marciando in questo modo: con l’urina. Urina umana, sia pure modificata, per la quale l’Archimede sardo non ha ancora trovato un nome. Gli ho suggerito di chiamarla PP fuel, attenendosi all’inglese d’ordinanza del mondo dei motori. Un marchio dove l’acronimo iniziale, se letto, ricorda il colosso BP (British petroleum) e, se pronunciato, appunto la pipì. Per non creare false aspettative, completo il mirabolante annuncio con due specifiche tecniche. La prima: l’invenzione non sostituisce gli idrocarburi. Consente solo di ridurre i consumi di benzina, gasolio e Gpl rispettivamente di un 25, di un 40 e di un 65 per cento. «Potrei tranquillamente affermare, dopo il primo anno di test, che i risparmi di benzina sono nell’ordine del 35 per cento, di gasolio del 60 e di Gpl dell’80, ma preferisco mantenermi prudente in attesa dei dati finali», specifica Lisci. La seconda: i maschi non saranno obbligati a utilizzare la pompa anatomica per fare il pieno, la qual cosa appare esteticamente ed igienicamente assai vantaggiosa, pur avendo come ricaduta negativa la necessità di continuare a frequentare le toilette delle aree di servizio. Questo perché il PP fuel si ottiene sì dai reni, però abbisogna di un indispensabile passaggio in laboratorio per essere modificato. L’aspetto straordinario di tutta la faccenda è che un litro di urina trattata ha una durata d’esercizio di ben 3.000 chilometri. Alla fine del ciclo di utilizzo, il prodotto esausto non è altro che acqua di pozzo, con tracce di minerali utili a nutrire i terreni. Insomma, un fertilizzante naturale, per nulla inquinante, anche perché la pipì già di suo è un liquido sterile e atossico, almeno nell’uomo sano. Più che un’invenzione, quella di Lisci si potrebbe definire una scoperta da cani. All’origine vi è infatti Lara, la rottweiler che fa la guardia nel recinto della sua azienda, La Guspinese impianti, nella zona industriale di Guspini, 70 chilometri da Cagliari. «Un giorno l’ho vista pisciare su una piastra di rame che tenevo in cortile, collegata a un caricatore di batteria e in quel momento percorsa dalla corrente elettrica. Cadendo sul metallo, la pipì di Lara friggeva come olio in padella. Il fenomeno mi ha incuriosito. Ho deciso di approfondire. Mi ci sono voluti tre anni per mettere a punto il sistema che dal 2012 sto collaudando sulle auto. I proprietari delle vetture sono persone di fiducia, soggette al vincolo di segretezza, delle quali ovviamente non posso fare il nome». Lisci vive e lavora in un paese d’inventori, un tempo famoso per le miniere di Montevecchio, ricche di galena, piombo e zinco. Da esso prende il nome l’autopala Guspini, un ingegnoso sistema brevettato dal minatore Letterio Freni, ancora in funzione in molte parti del mondo, che carica da sé sui vagoncini i minerali estratti dalle viscere della terra. Un tempo erano gli uomini a dover svolgere questo duro lavoro nello spazio ristretto delle gallerie. A Guspini l’attività estrattiva, cominciata nel 1848, è cessata per sempre nel 1991. Dei sette figli del defunto Giuseppe Lisci, carrellista in miniera, contadino e taglialegna, il secondogenito Francesco è l’unico che ha potuto studiare. I genitori lo mandarono sul continente, a Pisa, in collegio dai salesiani. Era un modo per non fargli patire la fame. Ottenuti gli attestati di saldatore e disegnatore meccanico, il giovanotto si trasferì a Torino. Qui conobbe Anna Paola, colf originaria di Guspini. La sposò e riprese gli studi alle scuole serali. In quel periodo lavorava alla Sigma, che costruiva macchinari per la smaltatura del filo di rame. Diplomatosi perito industriale, si mise in proprio e con la sua ditta di costruzioni meccaniche contribuì alla messa a punto delle prime monorotaie sospese a mezz’aria che alla Fiat di Mirafiori trasportavano i pezzi da assemblare nelle catene di montaggio della 128 e della 127. Tornato nella natia Sardegna, fondò La Guspinese impianti, nella quale sono impiegati anche i figli Norma, 41 anni, e Alessandro, 32. Lavora ancora per la Fiat? «No, adesso costruisco attrezzature di mia invenzione per panifici, pizzerie, caseifici e oleifici, in particolare per l’industria conserviera e il trattamento delle olive in salamoia». In quali Paesi le esporta? «Solo in Tunisia. Nell’ambito di un programma della Fao ho installato nelle grotte berbere di Gafsa, a 350 chilometri da Tunisi, macchinari che ricavano succhi di frutta, marmellate, puree e saponi industriali dai semi di scarto dei fichi d’India e da altri vegetali». Finora quanti ne ha inventati, di questi macchinari? «Una cinquantina». Fatturato annuo? «Prima della crisi, 1 milione di euro buoni buoni. Ora le commesse sono calate dell’80 per cento e da 18 dipendenti sono dovuto scendere a 4». Com’è arrivato alla sua invenzione? «Chiariamo subito: non si tratta di mingere dentro il serbatoio. Servono due distinti impianti: uno più grande da collocare in garage, in cantina, sotto il portico, dove vuole lei, e uno più piccolo da montare nell’auto». Quello grande raffina la pipì? «Ni. Mi perdoni, ma non posso scendere troppo nei dettagli, altrimenti mi copiano l’idea. Dico solo che consente di conferire all’urina qualità particolari». Ma avrà bisogno di energia - elettrica, suppongo - per funzionare. «Sì e no. Se voglio ottenere in breve tempo quello che lei ha battezzato PP fuel, devo certamente utilizzare l’energia elettrica. Ma se non ho fretta, l’urina viene trattata nell’arco delle 24 ore senza bisogno di corrente. Costo zero». Com’è possibile? «Sfruttando una reazione naturale. Infatti ho anche messo a punto un motore per usi domestici in grado di produrre idrogeno con la sola batteria di un gruppo elettrogeno». E in che modo? «L’idrogeno va direttamente nel carburatore, che pertanto non ha bisogno di nafta per funzionare e consente di alimentare gli elettrodomestici, illuminare le stanze, usare il computer». Veniamo all’attrezzo per l’auto. A che serve? «È un impiantino elettrolitico che, applicato al motore, produce idrogeno. Il quale idrogeno riduce considerevolmente il consumo di carburante tradizionale. In altre parole il PP fuel funziona da semplice additivo. In quanto tale, è ammesso dalle leggi vigenti. Se fosse un combustibile, lo Stato italiano pretenderebbe il versamento delle relative accise». Non capisco. Persino la Bmw, che è la Bmw, ha abbandonato la Hydrogen 7, prima auto a idrogeno al mondo prodotta in serie. «E anche General motors, Ford e Renault-Nissan hanno rinunciato a proseguire le ricerche in materia. Vede, la Hydrogen 7 aveva bisogno di un enorme serbatoio supplementare a parete doppia, altamente isolato. Dopodiché restava da superare lo scoglio dello stoccaggio nelle stazioni di servizio. L’idrogeno immagazzinato è pericoloso. Invece il mio impiantino elettrolitico lo produce al momento dell’accensione del motore e lo consuma all’istante, a ciclo continuo. Non servono distributori». E quanto ne produce? «Ho fatto prove con impianti di due diverse dimensioni. Da quello più ridotto ho ottenuto 1,3 chili di idrogeno ogni 3 minuti, da quello più grande 3,5 chili al minuto». Com’è riuscito a misurare il volume d’idrogeno prodotto dalla pipì? «Più facile a farsi che a spiegarsi. In estrema sintesi, bastano un cilindro di plexiglas trasparente lungo 50 centimetri, del diametro di 10, riempito d’acqua di rubinetto per circa metà altezza, e una bottiglia in Pvc d’acqua minerale, vuota e senza tappo. Si priva la bottiglia del fondo e la s’infila dentro il cilindro di plexiglas. Immergendola, logicamente si riempie d’acqua. A questo punto si rimette il tappo alla bottiglia e si collega il tubo di mandata dell’idrogeno alla base del cilindro trasparente. Il gas spinge verso l’alto la bottiglia. Si cronometrano i tempi di questa ascesa: a tot secondi corrispondono tot litri di idrogeno. Per calcolare l’equivalente in chili basta una formula matematica». Ma perché l’immissione nel motore dell’idrogeno scaturito per reazione elettrolitica dall’urina riduce del 40 per cento il consumo di gasolio e solo del 25 quello di benzina? «Non rida: lo ignoro. Non è il mio mestiere. Presumo che nella camera di scoppio la benzina offra già di suo una vaporizzazione più efficiente del gasolio». E gli scarichi? Il PP fuel non inquina? «Dalla combustione dell’idrogeno esce acqua demineralizzata, quindi le emissioni nocive sono irrilevanti. Inoltre il minor consumo di derivati del petrolio comporta l’abbattimento del monossido di carbonio, del piombo e delle polveri sottili contenuti nei gas di scarico». Tutto bello. Ma quanto verrebbe a costare l’impiantino elettrolitico da applicare al motore? «Meno di 1.000 euro». E l’impianto più ingombrante da collocare in garage o in cantina? «Anche questo meno di 1.000 euro». Non sono pochi, 2.000 euro. Sempreché in un condominio si trovi uno spazio idoneo dove trattare l’urina. «A parte che con i risparmi di carburante la spesa si ammortizza in fretta, un litro di pipì dura per 3.000 chilometri. Comprandone 10 litri da chi può trasformarla in PP fuel, la maggioranza degli automobilisti avrebbe un anno di autonomia. Senza installare alcun impianto in garage». Resta il fatto che l’altro attrezzo più piccolo applicato al motore invaliderebbe la garanzia del veicolo. «Per questo vorrei agire d’intesa con una casa automobilistica desiderosa d’ingegnerizzare e montare di serie la mia invenzione». Ha provato a farsi avanti? «Ho paura d’essere preso per scemo». Tutto questo ambaradan l’ha brevettato, almeno? «Non ancora. Ecco perché rischio di sembrarle reticente o impreciso. Ma voglio prima completare per bene le prove di utilizzo». Cosa dicono i tre automobilisti che da un anno stanno testando la loro pipì nel motore? «Sono entusiasti e felici. I loro portafogli altrettanto». Si utilizza solo urina umana? «No di certo. Va bene anche quella di bovini, suini, ovini e di qualsiasi altro animale. Si tratta solo di stendere teli di raccolta che ne consentano il recupero dalle deiezioni con la percolazione. Ci sto pensando». Ma i gas di scarico ottenuti dalla combustione dell’additivo a base di pipì non puzzano? «Per niente. Mantengono lo stesso odore che siamo abituati a percepire al passaggio di un veicolo, però attenuato. Meno petrolio, meno puzza». Il guidatore come fa ad accorgersi che il PP fuel si sta esaurendo? «Come fa ad accorgersi che è in riserva di benzina o di gasolio? C’è un indicatore di produzione dell’idrogeno. Ma se ne accorgerebbe comunque dalle soste più frequenti al distributore, dal momento che quando l’additivo è esausto il motore torna ai normali consumi di benzina, gasolio o Gpl». Pensa di arricchirsi col PP fuel? «Mi accontenterei di sopravvivere». Ha in cantiere qualche altra invenzione? «Sì. Sto sviluppando tre nuove idee sempre in materia di risparmio energetico. Tenga conto che già oggi la mia fabbrica è alimentata con energia solare. Un impianto fotovoltaico da 75 kilowattora copre tutto il fabbisogno e mi consente addirittura di rivendere all’Enel un 30 per cento dell’energia elettrica che produco». Senta, prima mi sono dimenticato di chiederglielo: qual è stato lo scoglio più difficile da superare nell’invenzione della pipì per auto? «La mentalità corrente». Cioè? «La gente mi sfotte. D’altronde viviamo in Italia, no?». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 57 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: Hic sunt leones (Marsilio). LORENZETTO Stefano. 57 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Tredici libri: La versione di Tosi e Hic sunt leones i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.