Notizie tratte da: Fabio Mini # La guerra spiegata a… # Einaudi 2013 # pp. 171, 12 euro., 1 dicembre 2013
Notizie tratte da: Fabio Mini, La guerra spiegata a…, Einaudi 2013, pp. 171, 12 euro.• Alcuni (per esempio, Ireneo di Lione) giustificano la guerra come atto di governo
Notizie tratte da: Fabio Mini, La guerra spiegata a…, Einaudi 2013, pp. 171, 12 euro.
• Alcuni (per esempio, Ireneo di Lione) giustificano la guerra come atto di governo. Mentre altri, tra cui Clemente Alessandrino, Tertulliano e Origene d’Alessandria, la giustificano in quanto espressione della legittima autorità. Agostino d’Ippona è considerato il padre della guerra giusta e dichiara che la guerra «non è affatto da porsi tra i mali peggiori». (p. 16)
• Nel XIII secolo Tommaso d’Aquino stabilisce le condizioni per la guerra giusta. E sarà santificato. (p. 17)
• Molte regole della guerra giusta sono state incorporate nel diritto internazionale contemporaneo attraverso la Carta delle Nazioni Unite e le convenzioni di Ginevra. […] La guerra giusta intesa in senso moderno si articola in tre parti giuridiche: ius ad bellum, che tratta della giustizia nella fase di ricorso alla guerra; ius in bello, che riguarda la giustizia della guerra combattuta; e ius post bellum, che si riferisce ai problemi di giustizia degli accordi di pace, delle fine della guerra e delle attività postbelliche.
Lo ius ad belllum ricade nella responsabilità dei capi di stato e dei politici. Per giudicare se una guerra è giusta o ingiusta la teoria individua sei condizioni, derivate da quelle analoghe di San Tommaso d’Aquino [NOTA: Le condizioni sono: 1) la giusta causa, come l’autodifesa, la protezione di civili innocenti da regimi aggressivi e brutali, e la punizione per un comportamento scorretto e criminale, che rischia di rimanere impunito. Secondo l’umanista Francisco de Vitoria l’aggressione deve essere in atto; mentre per Walzer esistono condizioni eccezionali che permettono l’attacco preventivo; 2) la giusta intenzione di perseguire la giusta causa, senza deviare verso altri interessi (acquisizione di territorio, risorse, potere… ); 3) la decisione assunta da autorità legittima con pubblica dichiarazione; 4) l’ultima ratio; 5) le probabilità di successo, nel senso che uno stato non può ricorrere alla guerra se non vede alcun impatto positivo sulla situazione e se i rischi di distruzione sono esagerati rispetto al beneficio (questo criterio non è attualmente considerato dal diritto internazionale perché penalizza in partenza gli stati deboli); 6) la proporzionalità tra il beneficio universale ottenibile con la guerra e il male universale relativo ai costi ideali umani e materiali («universale» significa che nel conto devono essere calcolati i benefici e i costi di tutti i contendenti e delle parti terze comunque coinvolte). La teoria della guerra giusta insiste nel pretendere che tutte e sei le condizioni debbano essere soddisfatte per rendere legittimo il ricorso alla guerra. Tuttavia, se così fosse, nessuna guerra attuale sarebbe stata giustamente intrapresa, nemmeno quelle definite giuste dagli stessi sostenitori, come Walzer.]. Per lo ius in bello la principale responsabilità ricade sulle gerarchie militari che eseguono la politica di guerra. […] le maggiori potenze chiedono l’abolizione o la modifica di molte norme umanitarie con un semplice pretesto: sostengono che vincolerebbero le operazioni militari e minaccerebbero la sicurezza dei soldati. Lo ius post bellum riguarda la giustizia che dovrebbe regolare la fine delle ostilità, il disarmo e ogni misura che permetta di tornare alla pace. (pp. 21-22)
• […] è cinese la scoperta della resilienza: la capacità di assorbire l’energia d’urto senza esserne spezzati, e di restituirla in senso opposto a tempo debito. (p. 29)
• Sunzi e Sun Bin dicono che la tattica migliore non è attaccare le forze del nemico, ma la sua strategia e i suoi disegni. Per questo la vera guerra si combatte prima della battaglia sul campo, anticipando e minando la strategia dell’avversario con l’uso delle spie, corrompendo e ingannando. Inoltre, si riscopre la devastante «banalità» dei costi della guerra. La guerra è molto dispendiosa per lo Stato, dice Sunzi: costa denaro, materiali, uomini; costa consenso e altera l’armonia tra sovrano e popolo, perché fa alzare le tasse, porta distruzione, decima le famiglie e aumenta gli impegni della popolazione. La guerra ipoteca e limita il futuro perché distoglie la gente dalla normali occupazioni, che generano la ricchezza del paese e la stabilità delle istituzioni. E allora, chiede Sunzi, perché risparmiare sulle spie se possono evitare la guerra o farla vincere in fretta? Questa intuizione meravigliosa lo porta a individuare il generale migliore non in colui che vince tutte le battaglie, ma in colui che è in grado di vincere senza combattere. (pp. 29-30)
• Anche il XXI secolo e il III millennio sono iniziati, come il secolo e i millenni precedenti, con una guerra globale. Dopo la partenza dell’imperatore Augusto per la campagna contro i Parti (20 a. C.), il I millennio si inaugura con la successiva campagna di stabilizzazione (2 d. C.): una guerra di consolidamento dell’impero, che andrà ancora avanti per secoli, anche se Roma godrà di un lungo periodo di pace. Una guerra davvero globale, perché i Parti impegnano militarmente sia l’Occidente romano sia l’Oriente cinese.
A cavallo tra il I e il II millennio (711-1001), gli arabi conquistano Gerusalemme e arrivano in Europa, ma non è ancora una guerra globale. I persiani Sasanidi cedono territori per semplice collasso; ebrei e cristiani sono piú contenti dell’arrivo degli arabi che della dominazione persiana o bizantina; e Bisanzio combatte, tratta e commercia con gli arabi, come aveva fatto con i persiani. La guerra globale tra Occidente e Islam inizia con la prima crociata, nel 1096, e non per la minaccia araba. Il papa di Roma invoca il «pellegrinaggio armato» a Gerusalemme, accettando la richiesta d’aiuto di Bisanzio con l’intento di riunire la cristianità segnata dallo scisma del 1054. Il II millennio si apre, perciò, con una guerra di religione tra culture diverse, ma sostanzialmente simmetriche negli scopi, nelle modalità e nelle crudeltà, e si chiude con il collasso di una guerra tra superpotenze altrettanto ideologica: il crollo del muro di Berlino. (pp. 43-44)
• La nuova lingua della guerra […] è l’inglese d’oltreoceano, che non è l’inglese europeo (p. 44)
• Ai nostri giorni la guerra si fa e si comunica con tutti i mezzi audiovisivi, in un americano popolare […]. Le serie televisive di maggior successo, esportate in tutto il mondo, sono quelle militari, poliziesche e di polizia militare. […] Le serie sudamericane non rinunciano alla passione amorosa, alla gelosia e all’amarezza. Quelle italiane non rinunciano ai preti e all’immagine bonaria dei carabinieri, alla rappresentazione sbarazzina dei poliziotti o all’aplomb dei finanzieri. Le serie tedesche fanno trionfare sempre la verità anche grazie alle eccezionali capacità individuali dei personaggi (tutti rigorosamente tedeschi, con l’eccezione di un turco). Le serie svedesi arredano le scenografie con i mobili dell’Ikea, e quelle francesi non rinunciano alle donne, militari o civili, e alle pernacchiette che caratterizzano la mimica facciale e gli intercalari dei personaggi. Tutte però si adeguano all’idea del nemico - criminale, terrorista o spia - indicato dalla produzione americana. Il messaggio della comunicazione statunitense è chiaro: le forze armate e dell’ordine sono la prima linea della guerra contro gli avversari e i criminali, che comunque coincidono sempre. (p. 45)
• Oggi si parla apertamente della fine delle major wars (le «grandi guerre») e del declino della «fungibilità della forza militare», e allo stesso tempo si afferma la realtà e l’ineluttabilità della guerra nelle sue forme di unconventional war, irregular war, asymmetric war, wicked war («guerra scellerata»), criminal war, war of the third kind, non trinitarian war (non piú composta dalla trinità di Clausewitz), new war, counterwar, war amongst the people («guerra tra la gente» ), deterrence by punishment (attacco di punizione, al fine di scoraggiare ulteriori operazioni avversarie), three block war (unione di operazioni militari, aiuto umanitario e operazioni di pace), fourth generation war, compound war, netwar, insurgency, global guerrilla, econo-jihad («guerra santa economica»), information warfare, financial warfare, resource warfare, cyberwarfare, chaoplexic warfare («guerra dei sistemi caotici»), hybrid war (fisica e psicologica)... Ci sono poi le three warfares («tre guerre») che includono psychological warfare (propaganda, inganno e coercizione), media warfare (manipolazione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale) e legal warfare (uso dei regimi legali per battere un avversario). (pp. 47-48)
• Obsolescenza programmata. L’espressione indica la pratica di produrre beni o servizi che diventano obsoleti, per tecnologia o funzionalità, entro un termine prefissato. Chi produce ha già pronto il bene sostitutivo o il kit di aggiornamento. Favorisce l’avanzamento tecnologico, ma anche il monopolio, i consumi non necessari e la dipendenza. (p. 59)
• Oggi [..] l’unico mercato veramente globale è quello del debito pubblico. […] Oggi soltanto pochi stati al mondo sarebbero in grado di onorare il debito contratto nel caso in cui i creditori lo esigessero. Gli stati debitori tendono a perdere autorevolezza politica e prestigio fino a diventare «maiali», come suona in lingua inglese l’acronimo Piigs, assegnato ai paesi europei sull’orlo del fallimento (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). (p. 60)
• Bombe a neutroni. L’invenzione della bomba a neutroni è generalmente attribuita a Samuel Cohen, ma la sua bomba non è stata mai prodotta, nonostante la pressione sui politici e il consenso del presidente Regan. Le uniche testate nucleari a elevata radiazione per granate di artiglieria e missili Lance furono invece disegnate dal laboratorio Livermore di Teller come varianti delle bombe termonucleari da lui inventate. Cohen ha definito tali ordigni «abominevoli» e ne ha disconosciuto la paternità. In realtà, erano bombe H tattiche di bassa potenza. (p. 62)
• […] il presidente Regan, che ha realizzato il più massiccio incremento militare registrato negli Stati Uniti in tempo di pace. (p. 62)
• […] l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 era stato anticipato da analoghi attacchi fin dal 1993 [NOTA: Nel 1993 Al-Qaida attentò alle Torri Gemelle e al tunnel Lincoln di New York con camion carichi di esplosivo]. (p. 63)
• Gli Stati Uniti possiedono ancora 7200 testate nucleari strategiche per armare 2000 missili intercontinentali, 3450 missili da sommergibile e 1750 bombardieri. Sono ancora in grado di colpire migliaia di obiettivi pianificati in Russia, e centinaia in Cina, Iran e Corea del Nord. Contro la Russia sono pianificati attacchi strategici su 1100 obiettivi d’installazioni nucleari, 500 obiettivi militari convenzionali, 500 industrie belliche e 160 posti di comando. Sono numeri irrisori rispetto a quelli della Guerra Fredda, eppure più che sufficienti a ottenere l’identico effetto: la distruzione del pianeta. (p. 65)
• La guerra preventiva anticipa il tempo d’inizio dei conflitti fino al punto di provocarli ancora prima che esista un avversario. Teoricamente si rivolge anche agli alleati, che diventano quindi potenziali avversari. Ma questo gli Stati Uniti non se lo possono più permettere. Hanno bisogno degli alleati per ripartire gli oneri dell’intervento militare e per far fare ad altri ciò che loro non possono o non vogliono fare. (p. 65)
• «Il nemico di oggi è il cliente di domani e l’alleato di dopodomani» (Liddell Hart). (p. 66)
• L’Afghanistan, sotto occupazione militare straniera de facto e con l’amministrazione controllata dagli organi internazionali de iure, è diventato il massimo produttore d’oppio e ha inquinato se stesso e il mondo con la droga: dagli 82 000 ettari coltivati a oppio nel 2000 si è passati agli 8000 ettari del 2001 (proprio sotto il regime dei talebani), ma, dopo la guerra di punizione e durante questi ultimi dieci anni di guerra al terrorismo globale, l’area di produzione dell’oppio è aumentata fino a 165 000 ettari. Nel frattempo, il costo della produzione dell’oppio è diminuito e ha costretto i contadini alla fame, mentre quello della droga sui nostri mercati è rimasto costante. Ciò ha prodotto profitti enormi per i trafficanti internazionali e per i grossisti, i signori della droga, che coincidono con i signori della guerra e con tutti i capi locali, inclusi quelli che appartengono al governo e che sono coccolati dalle potenze straniere e dalle agenzie internazionali. (p. 70)
• La storia moderna conta moltissimi episodi di pretesti di guerra costruiti ad arte dai politici e dai militari, […]. Nel 1931 i giapponesi provocarono l’incidente di Mukden, che forni il pretesto per l’invasione della Manciuria. Nel 1937 usarono lo stesso espediente con l’incidente del ponte Marco Polo di Pechino per invadere la Cina. Nel 1939 i tedeschi inventarono un attacco polacco per giustificare l’invasione della Polonia; dal cosiddetto incidente di Gleiwitz, ordito da Heydrich, e da altre false operazioni di propaganda prese il via la Seconda guerra mondiale. Nel 1953 americani e inglesi organizzarono l’operazione Ajax per abbattere il governo iraniano democraticamente eletto di Mohammed Mossadeq, e da allora non hanno cessato di cercare pretesti per una guerra. Nel 1962 il Pentagono organizzò l’operazione Northwoods per scatenare la guerra con Cuba, in modo che gli Stati Uniti fossero «costretti» a invadere l’isola e abbattere il regime di Castro: gli scenari prevedevano la creazione di pretesti come il dirottamento d’aerei americani militari e civili, l’uccisione di passeggeri, l’affondamento di una nave americana nei pressi di Cuba e di una nave piena di migranti cubani, la distruzione di coltivazioni, l’abbattimento di droni americani da parte di aerei militari camuffati da Mig cubani. La fantasia del Pentagono era illimitata, allora come oggi, e fu soltanto il rigetto del piano da parte del presidente Kennedy che non lo fece partire. La tragedia del Vietnam iniziò nel 1964 con il falso incidente del golfo del Tonchino. E cosí, di guerra in guerra, la verità si è sempre dimostrata la prima vittima di ogni conflitto, fino alla plateale menzogna sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, venduta al mondo intero dall’amministrazione Bush per la guerra contro l’Iraq del 2003. In quell’occasione un militare di rango come il generale Colin Powell, diventato Segretario di stato, si prese la briga di portare false prove all’assemblea delle Nazioni Unite. Avrebbe poi dichiarato di non essere al corrente della macchinazione, di fatto aggravando la crisi di credibilità dell’intero apparato politico-militare statunitense di fronte al mondo. Il cattivo esempio dei grandi è sempre seguito dai piccoli, anche se con mezzi più artigianali. Nel 2008, il primo intervento russo contro un paese sotto protezione americana, la Georgia, fu scatenato dall’accusa di aggressione a due minibus georgiani al confine con l’Abcasia, dove i russi stavano conducendo un’operazione di pace per conto della Comunità degli stati indipendenti (Cis). Molti governanti gridarono allo scandalo e invocarono un’azione militare perfino della Nato. Quella volta l’appello non fu raccolto, e poco dopo si scoprì che lo stesso presidente georgiano aveva organizzato l’aggressione condotta dalle sue forze armate. […] Negli anni Cinquanta la rivolta dei Mau Mau (un movimento di etnia Kikuyu) in Kenya fu sedata con una feroce repressione dagli inglesi, i quali sostenevano che i ribelli sterminavano intere famiglie di coloni bianchi. In realtà, si trattava di un nuovo modo di concepire la guerra antinsurrezionale: gli inglesi usavano membri Mau Mau, passati nelle loro fila, per organizzare bande di terroristi. La repressione inglese fece oltre 10 000 morti e 5000 prigionieri tra i militanti Mau Mau (quasi tutti gli effettivi) e oltre 50 000 morti tra i civili. Le forze di sicurezza inglesi ebbero appena 200 morti, e i coloni bianchi uccisi furono 32: un vero successo. (pp. 71-73)
• La televisione di stato cinese (Cctv) trasmette in tutto il mondo in lingua inglese. (p. 80)
• Nel campo dell’istruzione, la soft influence condotta tramite la revisione dei testi scolastici o tramite la cooptazione dei corpi insegnanti è una delle armi d’influenza più potenti e dagli effetti più duraturi. Gli Stati Uniti avrebbero già preparato i nuovi libri di testo da distribuire nelle scuole ai primi segnali di cedimento del regime degli ayatollah. (p. 80)
• La Cina, attraverso il ministero dell’Istruzione, ha già aperto oltre trecento istituti Confucio in tutto il mondo (dieci in Italia e gli altri dislocati in ottanta paesi). (p. 81)
• […] lo spoofing, l’alterazione della posta elettronica e l’intrusione nei sistemi informatici offrono grandi opportunità di distorsione, dissimulazione, penetrazione e distruzione di banche dati o sistemi di gestione vitali. (p. 81)
• I combattenti possono essere tutti, militari e civili, uomini e donne, bambini e perfino animali, vivi o morti. In Iraq e Afganistan sono stati riempiti di esplosivo e «trappolati» i cadaveri degli animali e i corpi dei caduti in combattimento, in modo da colpire chi volesse rimuoverli. (pp. 84-85)
• […] non deve meravigliare lo sviluppo di nuove armi potenti o soltanto fantasiose. Accanto ai programmi ad alta tecnologia già realizzati […] ci sono quelli che si prevede d’introdurre nel giro di qualche anno, come l’incrociatore digitalizzato DD(X) (disegnato per l’attacco a terra) [NOTA: Oggi il DD(X) si chiama Classe Zumwalt[…]. Dovrebbe entrare in servizio nel 2015 e costare sette miliardi di dollari. […] In futuro dovrebbe essere armato anche di cannoni laser a elettroni liberi], le armi spaziali e gli scudi stellari, in grado di attaccare dalla superficie e dallo spazio un qualsiasi avversario. […] Sono state realizzate le armi termobariche (che uniscono gli effetti esplosivi a quelli chimici dei carburanti), le armi «ibride» (che uniscono gli esplosivi ai materiali radiologici, biologici e chimici), le armi a energia diretta (che utilizzano sorgenti ad alta frequenza per colpire e «far evaporare» i corpi), le armi laser (capaci di uccidere o «soltanto» di accecare a distanza), le armi nucleari di nuova generazione a distruzione mirata e a radiazione controllata (che abbassano la soglia dell’impiego nucleare e che lo banalizzano fino a farlo considerare «vantaggioso»), le armi all’uranio impoverito (che alla fine tanto povero non è, visto che fa arricchire un sacco di gente), e le armi a metalli inerti ad alta densità (capaci di circoscrivere in un piccolo raggio effetti incurabili). Alle armi altamente distruttive e volutamente letali si affiancano poi quelle «non letali» e «poco meno che letali», che dovrebbero evitare la morte delle persone ma non si curano se queste poi rimangono invalide, impazziscono o muoiono per «effetti collaterali». L’energia elettromagnetica ad alta frequenza (95 Ghz), che induce calore come un forno a microonde, è usata alla pari delle bombe sonore, delle armi supersoniche e subsoniche per controllare le folle. Ci sono poi le nuove armi strutturali, che utilizzano agenti biologici e chimici (ufficialmente banditi) per attaccare e distruggere materie plastiche, metalli e materiali edili, predisponendoli a collassare e a disintegrarsi come le Torri Gemelle. (pp. 88-90)
• [...] i velivoli senza pilota (Uav). Si chiamano ancora droni, […] sono ormai diventati micidiali sistemi d’arma comandati a distanza. Per esempio, il Predator MQ-I è armato di due missili Hellfire, mentre il Reaper MQ-9 può portare quattordici missili o quattro missili e due bombe da cinquecento libbre. (p. 90)
• A Sigonella l’Aeronautica italiana «ospita» una base della Marina degli Stati Uniti che gestisce gli aerei spia, i trasporti aerei da e per il Medio Oriente, i rifornimenti in volo e i potenti droni Global Hawk. A pochi chilometri da Sigonella, nell’area protetta della sughereti di Niscemi, gli americani stanno installando una delle quattro basi terrestri del Muos, il sistema globale di trasmissione satellitare di dati per il comando e controllo nel mondo di tutti i loro mezzi militari (compresi i droni, i bombardieri, le navi, i sommergibili, i missili a testata nucleare e le unità terrestri digitalizzate). (p. 90)
• Oggi l’Unione europea dispone di ventisette forze armate [NOTA: L’Unione europea ha ventisette membri tutti dotati di forze armate. L’Islanda non è ancora parte dell’Ue. La Nato nel 2013, con l’ammissione della Croazia, conta ventotto membri di cui tre non europei (Stati Uniti, Canada e Turchia). Dei venticinque paesi europei, l’Islanda non ha forze armate e ventuno fanno parte anche dell’Ue], con relativi ministeri, stati maggiori e comandi territoriali. Abbiamo più soldati alle armi, navi, aerei e carri armati degli Stati Uniti, e non sappiamo come impiegarli o mantenerli in efficienza. Abbiamo una struttura di comando militare che replica quella della Nato e nessuna capacità autonoma. Gli interventi militari sono limitati a piccole operazioni di presenza. Il trattato di Lisbona del 2009 prevede la competenza europea in materia di sicurezza e difesa esclusivamente per la legittima difesa e le missioni di pace. (p. 100)
• In Europa spendiamo mediamente l’1 per cento del Pil nella difesa militare e le forze armate esistenti sono in costante carenza di risorse. (p. 102)
• Clark Whelton, sulla base degli studi del sociologo ed economista tedesco Gunnar Heinsohn, ha messo in evidenza il fenomeno della disposable youth - la gioventù da usare e gettare - in relazione alla guerra. Dove ci sono molti giovani e dove il ricambio generazionale è assicurato, la perdita di vite umane non è un deterrente dall’entrare in conflitto o dall’usare la violenza: intere generazioni possono essere sacrificate.
I paesi a parità di ricambio sono in neutralità demografica e devono stare attenti all’impiego delle vite umane, mentre quelli in carenza sono nella fascia della capitolazione demografica: non si possono permettere né di far emigrare né di far morire i propri giovani. Ebbene, i palestinesi sono in boom demografico, come gli iracheni, che per ogni mille adulti hanno cinquemilacinquecento giovani di ricambio. Afghanistan e Pakistan hanno trentotto milioni di ragazzi, di cui venticinque milioni sono secondi, terzi e quarti figli. Possono essere spesi anche come «manovalanza» suicida o omicida. […] L’Iran è un paese a scarso ricambio generazionale e non può permettersi né una guerra né una ritorsione. […] Ci sono paesi in sofferenza demografica come la Cina, che non ha per ora problemi di quantità di ricambio ma di qualità. A causa della politica del figlio unico, la classe dominante, acculturata e urbanizzata, non ha generato figli, mentre i contadini e le minoranze non hanno avuto alcuna limitazione. Gli Stati Uniti sono in fase di neutralità con milleventicinque giovani da zero a quattordici anni per ogni mille adulti da quarantacinque a cinquantanove anni. Tuttavia, la stabilità demografica è assicurata dall’immigrazione ispanica, […]. La Turchia è poco sotto la neutralità, ma già comincia a non potersi permettere né emigrazioni né perdite generazionali; […]. Altri paesi si trovano, invece, in piena capitolazione. La Gran Bretagna, che ha ottocentonovantacinque giovani per ogni mille adulti, e la Germania, che ne ha cinquecentonovanta, devono contare sull’immigrazione per coprire il fabbisogno essenziale di manodopera e di futuri dirigenti.
Gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, l’Irlanda, l’Australia e la Nuova Zelanda attraggono e incentivano l’immigrazione da paesi europei come la Polonia, l’Ucraina e l’Austria, che sono già in capitolazione. Nel giro di poco questi paesi sono destinati a non avere energie nuove. Nello stesso tempo, i paesi destinatari rischiano di vedere gli immigrati superare, nella scala sociale e nelle funzioni, i propri cittadini: da alcuni anni il 98 per cento dei nuovi immigrati in Canada ha qualifiche intellettuali e professionali superiori a quelle dei canadesi.
È stato calcolato che, a livello globale, nel 2050 saranno necessari ben centocinquanta milioni di giovani istruiti e di talento per assicurare gli stessi standard di civiltà attuali. Considerati l’aumento della popolazione concentrato negli stati in via di sviluppo e le politiche di discriminazione che molti paesi applicano alle immigrazioni, questo numero non sarà mai disponibile. […] A partire dal 2022 in Iraq ci saranno trecentosessantamila giovani in età militare in più all’anno. Senza studio, lavoro, prospettive e pace, questa massa fornirà alle nuove classi politiche o alle organizzazioni estremiste gli strumenti per avventure militari e per la destabilizzazione dell’intera regione. (pp. 104-106)
• Oggi che i soldati sono professionisti, […]. Il rapporto con la patria non è un impegno sacro ma un contratto liberamente sottoscritto, con una specifica accettazione delle responsabilità e dei rischi. Il compenso pattuito riguarda le mansioni assegnate in condizioni di rischio non superiori a quelle di qualsiasi operaio e impiegato, tant’è che la paga base del soldato di mestiere è perfino più bassa di quella dell’operaio [NOTA: La paga completa netta alla mano mensile di un soldato semplice varia da 850 a 950 euro. Quella di un Primo caporalmaggiore di ventotto anni d’età e sei di servizio è di 1150 euro, equivalenti a 7,18 euro all’ora. Un Primo caporalmaggiore capo scelto di trentatre anni d’età e quattordici di servizio prende 1240 euro, equivalenti a 7,75 euro all’ora. (p. 112)
• Legio patria nostra recita il motto della Legione straniera francese. (p. 115)
• Durante la Prima guerra del Golfo c’era un mercenario a contratto (contractor), in genere addetto ai servizi tecnici e all’intelligence, ogni cinquanta soldati. Durante il conflitto bosniaco ce n’era uno ogni dieci. Oggi, in Afghanistan e non solo, ci sono più addetti ai servizi che addetti al combattimento, e ci sono più contractors che soldati operativi. […] Secondo le Nazioni Unite, Gran Bretagna e Stati Uniti sono i maggiori fornitori e committenti di mercenari, ma anche il Sudafrica è in buona posizione con i suoi ex soldati del regime bianco razzista. (pp. 115-116)
• Nel 2006 la Gran Bretagna ha speso nella sicurezza privata «soltanto» un quarto dei finanziamenti per la ricostruzione in Iraq, senza contare la presenza militare. Secondo un’inchiesta del «Times» i contractors presenti in Iraq nel 2004-2005 sarebbero stati coinvolti in oltre duecento «incidenti», di cui ventiquattro sparatorie contro civili disarmati. Molti di tali incidenti hanno causato violenti attacchi contro le forze internazionali e repressioni altrettanto violente. Gli Stati Uniti hanno speso in sicurezza privata oltre il 34 per cento dei quindici miliardi di dollari destinati alla ricostruzione dell’Iraq. (p. 117)
• Dalla metà degli anni Cinquanta agli anni Novanta il bilancio americano ha assegnato fondi alla Difesa in misura decrescente, dal 10 per cento degli anni Sessanta al 5 per cento degli anni Ottanta, per risalire al 7 per cento durante l’amministrazione Reagan. Da allora, dopo una riduzione fino al 3,5 per cento del 1996 e al 3 per cento del 2000, il bilancio si è attestato al 4,7 per cento nel 2005 con la guerra in Iraq e al 5, 1 per cento con la surge del 2008. E salito poi al 6 per cento nel 2011 con l’incremento di forze in Afghanistan. […] Negli ultimi dieci anni l’andamento di crescita del Pil americano è stato positivo […] è salito da 11142 miliardi di dollari a 15 601 miliardi di dollari, mentre le spese pubbliche e le speculazioni hanno polverizzato sia i capitali sia lo spirito degli americani. Il debito pubblico federale è aumentato del 125 per cento, attestandosi al 105 per cento del Pil. Il debito totale (pubblico e privato) è del 355 per cento del Pil. […] Nel 201 2 il debito pubblico ha comportato un esborso di interessi pari a 223 miliardi, e per il 2013 è previsto che arrivi a 500 miliardi di dollari. La parte di debito pubblico detenuto da paesi stranieri è di 5620 miliardi di dollari di cui 1260 dalla Cina e 1120 dal Giappone. Le spese per le guerre sono tra le cause principali del debito e quindi dell’incremento esponenziale degli interessi passivi. Nello stesso decennio, le spese della Difesa hanno seguito un andamento esasperato: sono passate da 483,9 a 903,2 miliardi di dollari. Le spese del Pentagono sono arrivate da 404,7 a 716,3 miliardi; le spese per i veterani sono aumentate da 58 a 130 miliardi. Queste le cifre ufficiali. […] Per esempio, secondo il forum di « Daily Kos » e « Forbes » i numeri e la burocrazia americana sono poco attendibili. I debiti contratti dagli Stati Uniti per la gestione delle guerre comporterebbero un esborso annuo d’interessi compreso tra i 109 e i 431 miliardi di dollari. Aggiungendo alle risorse assegnate al Pentagono questi oneri e quelli che gravano su altre amministrazioni (energia, affari internazionali, homeland security, Fbi, Cia, Nasa, veterani...), le spese correlate con la difesa avrebbero raggiunto nel 2012 una cifra compresa tra i 1030 e 1415 miliardi di dollari. E non è tutto.
Il Nobel per l’economia Stiglitz ha calcolato i costi diretti e indiretti, immediati e differiti, della guerra in Iraq, e con la dovuta cautela ha stimato che dal 2001 al 2007 è costata 3496 miliardi di dollari. (pp. 120-121)
• In queste «piccole guerre» contro avversari militarmente insussistenti il rapporto tra morti e feriti tra i militari americani ha raggiunto 1 a 7,5: per ogni 2 morti ci sono stati 15 feriti. Durante la Seconda guerra mondiale il rapporto era di 1 a 1,6, in Corea di 1 a 2,8, in Vietnam di 1 a 2,6. […] Per l’Iraq e l’Afghanistan l’indennità di morte in combattimento è di 500000 dollari a persona, elargiti ai familiari in parte in contanti e in parte in vitalizio assicurativo. Fino a marzo 2013 ci sono stati 6659 morti (di cui 4488 caduti in Iraq e 2171 in Afghanistan) e 50237 feriti in combattimento. Il 70 per cento di queste perdite è di età inferiore ai trent’anni. Inoltre, tra Iraq e Afghanistan sono morti 2871 contractors americani. In Afghanistan ci sono attualmente 109564 contractors civili. In totale, tra Iraq, Afghanistan e Pakistan sono morti 9530 militari e contractors americani, e 34311 militari stranieri e locali che combattevano al loro fianco. […] Il giornale «Austin American-Statesman» ha esaminato trecentoquarantacinque cartelle cliniche di giovani soldati texani deceduti dopo il rientro dall’Iraq e dall’Afghanistan. Duecentosessantasei di loro (il 77 per cento) sono morti per overdose delle medicine prescritte dai sanitari, miscele di droghe e farmaci, e suicidio. Una vera strage. Sono queste le cause della morte della quasi totalità (quarantaquattro su quarantasei) dei militari in cura per Disturbo post-traumatico da stress. […] Negli Stati Uniti ci sono oltre ventiquattro milioni di veterani di tutte le guerre, di cui circa tre milioni e settecentomila con sussidio permanente. In Iraq si sono avvicendati un milione e seicentomila soldati. Oltre trecentomila hanno già fatto domanda d’assistenza. Si stima un impegno di trecentosettantadue miliardi all’anno. (pp. 122-123)
• L’effetto serra è innegabile e una delle sue conseguenze è lo scioglimento dei ghiacci polari. Sembra che tutti siano concordi in linea di principio nel voler ritardare il fenomeno. Ma forse qualcuno non la pensa così. L’aumento del livello marino rende più sicuri e navigabili gli stretti che oggi fanno da choke points ai traffici mercantili e alle grandi navi o ai sommergibili da battaglia. Un pack piú sottile e ridotto consente maggiore navigabilità lungo le rotte polari. Le rotte marittime del passaggio a nordovest accorceranno di oltre cinquemila chilometri il percorso del traffico mercantile e militare da San Francisco a Rotterdam. Quelle che sfrutteranno il passaggio a nordest accorceranno il percorso dalla Cina e dal Giappone all’Europa di seimila chilometri. […] Lo scioglimento dei ghiacci, consente inoltre ai paesi posti sulla fascia continentale artica periodi più lunghi d’accesso e migliori condizioni di sviluppo. È stato calcolato che il 25 per cento delle riserve d’idrocarburi globali si trova al di sopra del Circolo polare artico. Paesi come la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, la Norvegia, e la Danimarca potranno sfruttare a costi ragionevoli queste risorse. La Russia ha già iniziato la sua corsa all’Artico reclamando la sovranità su zone i cui fondali apparterrebbero alla massa continentale europea. (p. 129)
• H. Gaffney del Center for Naval Analyses ha esaminato i nove conflitti nei quali sono stati coinvolti gli Stati Uniti dal 1989 al 2003. Ha scoperto che esiste un modo americano di fare la guerra che persiste a prescindere dalle situazioni e dalle motivazioni della guerra stessa. Un modo indipendente sia dagli strumenti disponibili sia dalle esigenze di sicurezza. Questo American way of war (Aww) è anche l’asse portante del futuro impiego della forza […]. Le sue caratteristiche principali, riscontrate da Gaffney, sono:
1) le guerre vengono affrontate per ragioni sempre particolari e non sono mai legate a una grande strategia;
2) le operazioni sono pianificate dai militari sotto l’influenza politica del momento e sono condotte con la costante interferenza della politica nelle operazioni;
3) è sempre ricercato un avallo internazionale, anche se soltanto da parte degli alleati o delle coalizioni di volenterosi;
4) si conducono sempre operazioni congiunte (joint) e a comando unificato, contando sulla professionalità e sul networking;
5) le operazioni hanno bisogno di basi avanzate sulle quali far appoggiare le successive proiezioni di forze;
6) gli Stati Uniti riescono a sfruttare facilmente basi avanzate concesse dai vari paesi anche a prescindere dai loro orientamenti politici […];
7) si fa molto affidamento sulla tecnologia, sulla multidimensionalità e sulla precisione del fuoco, anche a grande distanza;
8) le guerre servono a sperimentare nuove armi, procedure e dottrine;
9) viene data la priorità alle operazioni aeree, anche se non sono mai risolutive;
10) il disimpegno militare è sempre più difficile, e le forze e i materiali impiegati sono sempre in eccesso rispetto al reale fabbisogno bellico. (pp. 132-133)
• Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia da soli forniscono il 70 per cento delle risorse militari dell’Unione Europea. (p. 141)
• I cinesi avrebbero già testato i sistemi futuristici di veicoli spaziali senza pilota e le armi laser ad alta potenza. Inoltre, hanno annunciato la produzione di un laser singolo, capace di produrre energia per 16 kilojoule. Può sembrare nulla in confronto al cannone laser americano da 1,85 megajoule, ma quest’ultimo è il risultato dell’assemblaggio di 192 laser singoli di energia inferiore a 1 kilojoule. Un equivalente assemblaggio dei laser cinesi può portare a un’energia fino a 3 megajoule. Questo significa che la Cina è vicina a produrre cannoni laser in grado di abbattere aerei e missili a grande distanza. (p. 151)
• Esiste un’eventualità secondo cui la Cina può diventare una potenza militare in grado di spaventare chiunque: trovarsi con le spalle al muro, accerchiata e strangolata economicamente e psicologicamente. Ed è esattamente quello che vogliono fare gli americani da oggi in poi, contando di avere vent’anni a disposizione. Ma anche questa volta il calcolo può essere falsato, perché la matematica dei grandi numeri ha conseguenze diverse da quella dei piccoli numeri. Se la Cina dovesse prendere la decisione politica di cambiare priorità nelle modernizzazioni e mettesse la difesa al primo posto invece che all’ultimo (com’è ora), la percentuale di Pil a disposizione delle forze armate potrebbe arrivare fino al 10 per cento senza alcun pregiudizio per l’economia e nessun sacrificio aggiuntivo per i cinesi. Anzi, con un probabile aumento del benessere. In termini assoluti, questo aumento percentuale sostenibile produrrebbe un gettito di oltre settecento miliardi di dollari all’anno (equivalente al bilancio militare americano), sufficiente a colmare il divario quantitativo degli armamenti in meno di cinque anni. (p. 152)