Notizie tratte da: Valerio Ochetto # Adriano Olivetti. La biografia # Edizioni di Comunità 2013 # pp. 314, 16,50 euro., 30 novembre 2013
Notizie tratte da: Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia, Edizioni di Comunità 2013, pp. 314, 16,50 euro
Notizie tratte da: Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia, Edizioni di Comunità 2013, pp. 314, 16,50 euro.
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Adriano Olivetti nasce l’11 aprile 1901 sulla collina di Monte Navale, a Ivrea. Il padre Camillo era ebreo, la madre, Luisa Revel, figlia di un pastore valdese evangelizzatore itinerante.
Camillo Olivetti, tra i primi socialisti di Ivrea, schedato dalla polizia in quanto «non tralascia alcun mezzo per insinuare le sue idee alla calsse operaia».
Camillo Olivetti, rimasto orfano di padre a un anno, viene mandato in collegio (la madre gli impartisce la prima istruzione. A 23 anni si laurea in ingegneria industriale al Politecnico di Torino con Galileo Ferraris. Insieme a questo va in America all’esposizione colombiana di Chicago. Resta lì per un anno (1893-94) e per cinque mesi insegna fisica alla Stanford University, da poco aperta.
Camillo Olivetti torna a Ivrea a 27 anni e comincia a tirar su un edificio di mattoni rossi sotto la collina di Monte Navale. Con due socie e una trentina di operai si mette a costruire galvanometri, amperometri, wattometri che in parte ha disegnato di persona e brevettato.
Camillo Olivetti conosce la futura moglie Luisa perché da lei alloggia una segretaria della fabbrica, di nome Anita. Nel 1898, in partenza per Milano dove vuole andare a dare una mano alla rivoluzione, con la scusa di lasciare degli incarichi per la segretaria va a salutare Luisa. Leggenda vuole che le abbia chiesto la mano alla stazione. L’anno dopo si sposano.
Nel 1903 Camillo Olivetti sposta la sua fabbrica di galvanometri, amperometri, wattometri da Ivrea a Milano, dove diventa CGS (da centimetro, grammo, secondo). Porta con sé gli operai. Dopo quattro anni decide di tornare all’edificio di mattoni rossi, a Ivrea. Lì inizia a progettare la prima macchina per scrivere italiana su base industriale. Il 29 ottobre 1908 la nuova Società Ing. C. Olivetti e C. con sede a Ivrea è cosa fatta. Con 12 soci e 30 operai, è un’accomandita semplice e Camillo Olivetti da solo possiede più di metà del capitale sociale. In quello stesso anno la famiglia, dove si contano cinque figli (Elena, Adriano, Massimo, Silvia e Laura; più tardi arriverà Dino) va a vivere in un convento abbandonato che sorge poco lontano dalla fabbrica.
All’interno del convento ci sono gli affreschi di Gian Martino Speranzotti, risalenti alla fine del Quattrocento. Dove ci sono gli affreschi viene messo il fienile. Si mangia alume di candela. La famiglia si installa nel corpo lungo del convento, tante stanze che si aprono su un lungo corridoio. Riscaldamento centrale a carbone ma solo per le camere effettivamente abitate, acqua calda, ma per un unico bagno, pavimenti in legno che Camillo Olivetti proibisce di far lucidare dalle cameriere perché troppo faticoso.
L’educazione per i bambini Olivetti: libertà e giochi all’aperto, il pranzo e la cena scanditi dal richiamo della campanella, a tavola si può parlare ma senza interrompere gli adulti. Nessuna punizione fisica, al massimo si può restare senza frutta. Alle nove tutti a dormire. Per comune volere dei genitori, non vengono iniziati a nessuna religione, né battezzati né circoncisi.
Al ritorno da un viaggio in America, nell’autunno del 1908, Camillo Olivetti disegna la macchina per scrivere M1. La prima lettera, datata 12 agosto, è per la moglie. Ma ci vogliono altri anni per perfezionarla. Viene presentata all’esposizione universale di Torino del 1911. Il primo appalto di 200 macchine è per il ministero della Marina.
Pezzo principale della M1 è il cinematico, il meccanismo centrale che trafserisce la battuta dai tasti ai martelletti. È formato da 6.000 pezzi e porta il prezzo finale di vendita a 500 lire (la Remington americana costava 450 lire). Ai tempi il salario medio di un operaio è di 1.000 lire all’anno.
Per volere di Camillo Olivetti, i bambini imparano a leggere e scrivere a partire dagli 8 anni. Le elementari sono concentrate in due anni e la prima insegnante è sempre la madre. Adriano Olivetti al primo giorno di lezione con lei era così emozionato da sentirsi male e dover rimandare l’inizio della scuola al giorno successivo. Anche dopo le elementari, i ragazzi studiano da privatisti: Massimo e Adriano danno gli esami di fine anno all’istituto tecnico Sommeiller di Torino.
Poco portato per il lavoro manuale, lasciato solo, senza sguardi estranei, Adriano Olivetti passava volentieri molte ore a un rudimentale banco da falegname.
«Nel lontano agosto 1914, avevo allora tredici anni, mio padre mi mandò a lavorare in fabbrica. Imparai così ben presto a conoscere e odiare il lavoro in serie: una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina… Per molti anni non rimisi piede nella fabbrica, ben deciso che nella vita non avrei atteso nell’industria paterna» (Adriano Olivetti).
Adriano e Massimo Olivetti che si passavano La fisiologia dell’amore e alcuni libri di Paolo Mantegazza. Li intercettò sua madre che li gettò nella stufa.
«Dopo la morte di mia madre venne a cessare la ragione sentimentale e umana che mi tratteneva dall’entrare nella Chiesa che da un punto di vista teologico era nella mia coscienza certamente l’unica universale: la Chiesa cattolica» (Adriano Olivetti).
Nel 1924 l’Italia importava circa 4.000 macchine per scrivere dalla Germania. Quattromila ne produceva la Olivetti in un anno nelle sue sei filiali (400 dipendenti). La produzione globale italiana era di 12.000 macchine.
Camillo Olivetti si vantava che la sua M20 poteva essere lanciata dal secondo piano senza timore di sfasciarla.
Adriano Olivetti al suo primo viaggio negli Stati Uniti rimane impressionato dagli stabilimenti Ford: l’officina «è un miracolo di organizzazione, perché tutto marcia senza burocrazia… tutto corre e opera continuamente… tutto è raggiunto con la enorme specializzazione operativa… tutto è ordinato, pulito, chiaro».
Nel maggio 1927 Adriano Olivetti sposa Paola Levi nel municipio di Torino, con un semplice atto legale. Segue pranzo per le due famiglie a casa dei genitori della sposa. Poi la coppia parte per un lungo viaggio di nozze che in più di sei mesi li porta, tra l’altro, a Interlaken, a Londra, a Berlino, a Ginevra (dove incontrano lo psicanalista Charles Baudoin). Mentre lui visita fabbriche, la moglie lo attira nei musei e al cinema. Quando tornano a Ivrea vanno a vivere a Casa Fontana, un appartamento luminoso in via Castellamonte, davanti alla fabbrica. Paola, alla quale Ivrea sta stretta, impara a portare la macchina con cui va spesso a Torino a trovare madre e amici. Fuori dal controllo rigido dei genitori ha finalmente il diritto di tagliarsi i capelli e di portare vestiti alla moda.
Paola Levi, corteggiatissima. La ricorda Salvator Gotta: «Aveva i capelli d’un bel tizianesco, abbondanti, la pelle d’una bianchezza alabastrina, il viso più che bello, la figura snella, elegante, fascinosa».
Lo storico Giovanni Maggia ha calcolato che la produttività della Olivetti tra il 1924 e il 1929 quasi raddoppiò. I suoi calcoli dimostrano che l’incremento tra il 1924 e il 1926 fu superiore rispetto a quello tra il 1926 e il 1929: ciò vuol dire che la crescita non fu provocata solo dall’organizzazione scientifica di Adriano Olivetti, ma dai nuovi macchinari introdotti dal padre Camillo nelle fasi di lavorazione.
Adriano Olivetti faceva personalmente i colloqui con i candidati alle mansioni da impiegato. Ogni volta, alla fine della chiacchierata, faceva firmare loro una strisciolina di carta per analizzare la scrittura attraverso la grafologia, di cui era appassionato.
Nel 1933 La Olivetti conquista la supremazia sul mercato italiano, raggiungendo il 50,8% contro il 40,6 precendete la crisi del 1929. Nasce il servizio pubblicità, diretto inizialmente dallo stesso Adriano Olivetti e si costituisce l’ufficio progetti e studi affidato a Gino Levi. Viene potenziata la rete di vendita moltiplicando le filiali e triplicando i venditori.
Nel 1933 Carlo Levi, pittore e scrittore, inviando allo scrittore Giansiro Ferrata il bozzetto per la copertina del suo romanzo Luisa, parla di Paola Levi, moglie di Adriano Olivetti, come della «mia gentilissima (carissima e bellissima) segretaria». Nello stesso periodo mette in mostra dei quadri di cui sempre Paola è la modella. Il loro amore è ormai noto anche ad Adriano Olivetti, che accetterà di riconoscere Anna, la bambina nata dalla relazione tra la moglie Paola e Carlo Levi.
Nel 1938 le esportazioni della Olivetti costituiscono quasi un terzo del fatturato. Adriano Olivetti si separa legalmente dalla moglie Paola.
Alla fine degli anni Trenta la Olivetti ha un centro di formazione per i meccanici al quale si iscrivono soprattutto figli di dipendenti. Proprio i dipendenti, inoltre, concorrono all’autofinanziamento dell’azienda che attira i loro risparmi offrendo mezzo punto d’interesse in più rispetto a quello concesso dalle banche.
Alla fine degli anni Trenta Adriano Olivetti dà vita al servizio di assistenza sanitaria interno all’azienda: «Le casse mutue funzionavano male. L’accentramento era disastroso: un operaio tubercolotico per essere ricoverato doveva trasmettere le pratiche al capoluogo di provincia, di là a Roma e perché di nuovo tornassero indietro con un nulla osta occorrevano talvolta tre mesi. In quel tempo le cure erano generalmente insufficienti, i medici cambiavano ogni tre mesi, malattie gravissime non erano contemplate dagli statuti, molti rimedi importanti non considerati, i familiari non godevano degli stessi vantaggi del lavoratore. Nacque allora il servizio di assistenza sanitaria con scopi di complemento alle funzioni delle casse mutue».
Alla fine degli anni Trenta un dipendente Olivetti ha prezzi scontati sui bus per andare a lavoro, in fabbrica ha la mensa aziendale, un’infermeria e una biblioteca. Le lavoratrici hanno nove mesi di aspettativa retribuiti quasi totalmente, contro i due previsti dalla legge. Hanno il nido per bambini da sei mesi a sei anni con tanto di stanza di allattamento. Ci sono, inoltre, la colonia marina e montana, e il convalescenziario. Ogni dipendente si può associare alla Sacepo (Società cooperativa edilizia per il personale della Olivetti) che concede mutui sino a metà del costo di una casa.
Quando Camillo Olivetti incontrò in fabbrica Cesare Musatti, non appena udì che faceva lo psicologo si allontanò scuotendo la testa.
Geno Pampaloni racconta che Adriano Olivetti a proposito delle persecuzioni degli ebrei gli disse: «Sono odiati perché sono ricchi di qualità invisibili, la tenacia, la fedeltà, il rispetto della parola data, il pudore, che gli altri non sanno prevedere e controllare».
Gino Levi, amico e collaboratori di Adriano Olivetti, nonostante i venti anni trascorsi in azienda (dove fu anche uno dei progettisti della MP1), non imparò mai a scrivere a macchina , né poi imparò a usare il computer.
Quasi ottantenne Gino Levi sposò Silvia Olivetti, sorella di Adriano, che amava da quando aveva 19 anni.
Nel 1948 entra in produzione la Divisumma: è la più veloce al mondo nelle moltiplicazioni. Produrla costa 35.000 lire, viene venduta a 350.000. Per farne una ci vogliono dieci ore di lavoro, le stesse di una macchina per scrivere standard, ma con un ricavo di vendita superiore di tre volte. Lo stesso anno entra in produzione Lexicon, la nuova macchina per scrivere. Dice il progettista Giuseppe Beccio: «I tasti richiedono dal dito soltanto una carezza morbida, una dolce insistenza». Conferma lo scrittore Alberto Savinio: «La mia macchina vive. Un giorno scriverà da sé. Io la starò a guardare. Quando?». Per la Lexicon il rapporto tra costo per l’azienda e ricavo dalle vendite è circa uno a sei.
Nel 1949 la produzione di macchine da calcolo della Olivetti è quintuplicata rispetto al 1945.
Nel 1950 Olivetti mette in produzione la macchina per scrivere Lettera 22. Raggiungerà punte di vendita di oltre 200.000 pezzi all’anno. Il marchio della Olivetti diventa una spirale quadrata.
Il 23 aprile 1955 Adriano Olivetti inaugura uno stabilimento a un chilometro e mezzo da Pozzuoli, fra capo Miseno e il promontorio di Posillipo. Durante il discorso dice: «Può l’industra darsi dei fini? Si trovano questi fini semplicemente nell’indice dei profitti? O non vi è al di là del ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?». La facciata della nuova fabbrica è leggermente concava, per meglio modellarsi sulle forme del golfo di Napoli. Contemporaneamente viene inaugurato anche il quartiere Ina Olivetti per i dipendenti, dove sorge l’immancabile biblioteca: vi lavora Carlo Corbisiero, ai tempi molto noto perché riconosciuto innocente dopo aver scontato diciotto anni di carcere. Adriano Olivetti gli assegna una voce extra nello stipendio come indennità sociale.
Nel 1957 un lavoratore Olivetti guadagna 60.000 lire al mese, contro le 40.000 della media del settore metallurgico (anche in Fiat guadagnano meno). Se si aggiungono i benefit dell’assistenza e dei servizi sociali, la qualità di vita di un operaio Olivetti risulta dell’80% superiore a quello di operai e impiegati di altre industrie comparabili.
La giornata tipo di Adriano Olivetti negli anni Cinquanta. Sveglia alle otto e mezza, veloce colazione. Poi in fabbrica, portato dall’autista Luigi Perotti che gli ha già consegnato il pacco di giornali da sfogliare. Li legge in ufficio e consegna pagine sottolineate alla segretaria perché le distribuisca ai vari collaboratori. All’una e mezzo torna a casa per il pranzo. Segue breve riposo e consultazione della rivista e le proposte per le Edizioni di Comunità. Ritorno in fabbrica alle tre e mezzo. Verso la fine della giornata, quando gli uffici sono vuoti, i colloqui con urbanisti e architetti. Fine del lavoro alle otto, otto e mezzo.
L’autista Luigi Perotti: «Usciva raramente dopo cena. In dieci anni avrò accompagnato la famiglia Olivetti al cinema in centro tre o quattro volte in tutto».
Adriano Olivetti non sopportava i sottintesi maliziosi, gli ammiccamenti al sesso, la volgarità dei doppi sensi.
Tullio Fazi, direttore della sede Olivetti di Roma, regalò cento Lettera 22 agli uffici del Vaticano. Da quel momento ogni nuovo modello venne offerto in anteprima a Pio XII, di color bianco e con lo stemma papale dorato. Sembra che il Papa le usasse volentieri, di persona.
Prima azione di Geno Pampaloni assunto da Adriano Olivetti come direttore della biblioteca di fabbrica: togliere le griglie che proteggono gli scaffali pieni di libri. Subito spariscono alcuni testi. Olivetti se ne rallegra: «Allora vuol dire che li leggono».
«Mi è sembrato un uomo buono… da persone come lui abbiamo molto da imparare… ne avessimo tra i nostri» (Angelo Maria Roncalli, allora patriarca di Venezia, dopo aver conosciuto Adriano Olivetti nel dicembre del 1956).
Nel 1958 alla Olivetti nasce il primo vero calcolatore elettronico italiano da produrre in serie. Lo hanno messo a punto Roberto Olivetti, figlio di Adriano, e Mario Tchou. È battezzato Elea 9003, che significa Elaboratore Elettronico Aritmetico, ma soprattutto allude alla scuola filosofica della Magna Grecia , Il computer occupa 170 metri quadrati, non ha monior e i dati escono da una telescrivente. Design: Ettore Sottsass jr.
Sul comodino teneva la Bibbia nella versione protestante, anche dopo aver ricevuto il battesimo nella chiesa cattolica.
A pochi dava del tu. Quando Giampiero Carocci, conosciuto da ragazzo sulle spiagge della Versilia, viene da lui assunto come redattore della rivista “Comunità”, smette immediatamente di chiamarlo “Giampy” e dal tu passa al lei.
La volta che scoprì un dipendente a falsificare i conti. Prima fece condurre discretamente una inchiesta sulla sua vita. Vedendo che aveva una situazione familiare intricata, lo convocò e gli comunicò l’aumento dello stipendio della quota mensile che aveva rubato.
Giorgio Soavi: «Era anche, nella fabbrica, un dirigente accentratore autocrate e spietato. Poteva destituire dirigenti e direttori, a volte in modo del tutto improvviso».
La volta che strappò alla concorrenza della Comit il giovane Gin Luigi Gabetti, malgrado quello avesse fatto di tutto per dargli delle risposte irritanti non appena si era accorto che una normale visita di cortesia si era trasformata in un’intervista da candidato.
«Aveva tendenza ad appoggiarsi a persone-guida, ma poi le abbandonava per non diventarne tributario, per non subirne l’influenza sino a essere soggiogato» (Cesare Musatti).
Fece da solo l’analisi grafologica della propria firma. Testimonia Ugo Galassi: «Vi scorgeva qualche segno di debolezza, interpretava quello svolazzo che dalla “v” avvolge il cognome come un elemento volontaristico, uno slancio rivolto verso il futuro. In definitiva, si riteneva persona portata all’immaginazione, all’arte, che guarda avanti».
Trascorreva serate a consultare l’I Ching.
Nei momenti di dubbio, apriva a caso la Bibbia e prendeva ispirazione dai versetti che gli capitavano sotto gli occhi.
«Feci conoscenza con Adriano Olivetti, dagli occhi sognanti e dalla volontà di ferro, che pensava come un matematico e sentiva come un mistico. Anche lui era pescatore di uomini» (Altiero Spinelli).