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 2013  novembre 29 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - BOSSI ALLA SBARRA


REPUBBLICA.IT
La Procura di Milano ha chiuso le indagini in vista della richiesta di rinvio a giudizio per Umberto Bossi, i suoi due figli, Riccardo e Renzo per la vicenda della gestione dei fondi della Lega Nord. Le accuse per l’ex segretario del Carroccio, emerse durante l’inchiesta ’Tha family’, sono di appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato. Gli altri indagati sono l’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito, l’ex vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, poi ancora Stefano Bonet, Stefano Aldovisi, Diego Sanavio, Paolo Scala e Antonio Turci. Mentre per la moglie di Bossi (Emanuela Marrone) e per Roberto Calderoli i pm chiedono l’archiviazione.
Una contabilità "inattendibile". Il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i pubblici ministeri Paolo Filippini e Roberto Pellicano contestano a Bossi e agli altri indagati una truffa ai danni dello Stato da circa 40 milioni di euro per utilizzo improprio dei rimborsi elettorali dovuti alla Lega Nord nei tre anni che vanno dal 2008 al 2010. La contabilità della Lega Nord, passata al setaccio dalla guardia di finanza, "era del tutto inattendibile e in larga misura priva dei documenti giustificativi di spesa".
Anche il dentista tra le spese del Senatur. La Procura, in particolare, contesta a Bossi un’appropriazione indebita per oltre 208mila euro. Tra le spese non giustificate figurano 1.583 euro di lavori edili nella casa di Gemonio, altri 13.500 e 20mila euro in due assegni rubricati "casa Capo lavori", 81mila euro di lavori edili per la casa di Roma, 9mila per il ricovero di un figlio, 160 per un regalo di nozze, 26mila per capi d’abbigliamento, 2.200 di gioielli, 1.500 per le cure dentistiche.
C’era anche l’abbonamento a Sky. A Renzo Bossi sono contestati 145mila euro: nella lista ci sono anche 12 multe, due cartelle esattoriali, l’assicurazione dell’auto e l’acquisto (77mila euro) del titolo di laurea albanese presso l’università Kristal di Tirana. All’altro figlio Riccardo, invece, 157mila euro in 48 pagamenti che comprendono anche 23 multe, cinque riparazioni d’auto in carrozzeria, altrettanti leasing o noleggi di vetture, l’abbonamento a Sky, spese del veterinario, rate dell’università dell’Insubria, canoni d’affitto di casa, spese di mantenimento della moglie e debiti personali.
Gli otto milioni di Belsito. All’ex tesoriere Belsito la Procura contesta appropriazioni indebite per circa otto milioni di euro. I magistrati spiegano che "in qualità di tesoriere del partito" si sarebbe impossessato di 1 milione 200mila euro con un bonifico tratto dal conto corrente della Lega di cui nel febbraio 2012 ne ha restituiti 850mila euro. Quindi di 4 milioni 500 mila euro con un altro bonifico che la banca in Tanzania (a cui era destinato) non ha accreditato ritenendo insufficiente la documentazione allegata: la somma è stata restituita solo a indagine in corso. Infine si sarebbe appropriato di 2 milioni 401mila 583 euro pagando decine di multe e fatture di articoli sportivi, floreali, armi e munizioni con i soldi della Lega.
La seconda laurea a Tirana. Laurea a Tirana, sempre all’università Kristal, anche per Pierangelo Moscagiuro, il compagno e bodyguard di Rosi Mauro. Alla pasionaria del Carroccio è stato notificato l’avviso di chiusura indagine. Deve rispondere di appropriazione indebita per circa 100mila euro: 77mila dei quali sono serviti, appunto, per acquistare la laurea.
La moglie del Senatur. Potrebbe uscire di scena invece Roberto Calderoli, per il quale la Procura chiede l’archiviazione. Richiesta di archiviazione anche per la moglie del Senatur, Manuela Marrone (era accusata di appropriazione indebita per i finanziamenti ricevuti dal partito per la scuola Bosina), e per l’ex legale del Carroccio (ed ex componente del Csm) Matteo Brigandì.
"La Lega è parte lesa".
Non c’è al momento nessun commento ufficiale da parte dei vertici della Lega sulla chiusura delle indagini a carico di Bossi. Ma fonti qualificate in via Bellerio fanno notare che il movimento "è parte lesa, vittima" del quadro emerso dall’inchiesta della Procura. Inoltre, si fa notare, "dal 2011, da quando il segretario è Roberto Maroni, i bilanci della Lega sono certificati" dalla società di revisione esterna PricewaterhouseCooper.

CORRIERE.IT
MILANO —Gli ultimi 17 milioni di soldi dei cittadini sono stati bloccati nel 2012 dall’inchiesta. Ma precedenti 40 milioni di finanziamento pubblico alla Lega, e cioè i rimborsi elettorali elargitil e sulla base dei rendiconti al Parlamento del 2008 e 2009, la Procura di Milano ora li contesta al fondatore della Lega (di nuovo in corsa per la segreteria del partito tra una settimana) Umberto Bossi come «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche»: truffa allo Stato commessa, secondo i pm in concorso con lo scomparso segretario amministrativo Maurizio Balocchi per il rendiconto dell’esercizio 2008 e con l’allora tesoriere leghista Francesco Belsito per il 2009 e 2010, ingannando i presidenti di Camera e Senato nonché i revisori pubblici delle due assemblee, i quali autorizzavano la liquidazione dei rimborsi sulla base di un rendiconto che li raggirava rispetto alla presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito o alla assenza di documenti che giustificassero spese asserite. 2,4
MILIONI DI APPROPRIAZIONE - Bossi, ma anche i suoi figli Renzo e Riccardo, l’ex vicepresidente del Senato Rosy Mauro e naturalmente l’ex tesoriere Belsito sono poi incriminati per l’ipotesi di reato (fino alla fine del 2011) di «appropriazione indebita», per scopi estranei agli interessi e alle finalità dell’associazione politica, di 3 milioni di euro del denaro depositato sui conti della Lega e proveniente appunto dal finanziamento pubblico. L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità è addebitata a Bossi senior (208.000 euro) e soprattutto a Belsito per 2 milioni e 400.000 euro.
LA FAMILY - Di Umberto Bossi finiscono nel mirino dei pm Robledo-Pellicano-Filippini 15 spese, tra le quali 1.583 euro di lavori edili nella casa di Gemonio, altri 13.500 e 20.000 euro in due assegni rubricati «casa Capo lavori», ancora 81.000 euro di lavori edili ma per la casa di Roma, 9.000 euro per il ricovero di un figlio, 160 euro per un regalo di nozze, 26.000 euro di capi d’abbigliamento, 2.200 euro di gioielli, 1.500 di cure dentistiche. A Renzo Bossi sono contestati 145.000 euro in 20 spese, fra l’altro per 12 multe, due cartelle esattoriali, l’assicurazione dell’auto, e l’acquisto (77.000 euro) del titolo di laurea albanese presso l’Università Kristal di Tirana. A Riccardo Bossi 157.000 in 48 pagamenti, fra l’altro per 23 multe, 5 riparazioni d’auto in carrozzeria, altrettanti leasing o noleggi di vetture, l’abbonamento a Sky, spese del veterinario, rate dell’Università dell’Insubria, canoni d’affitto di casa, spese di mantenimento della moglie e debiti personali. Rosy Mauro avrebbe abusato dei soldi dei cittadini per 99.000 euro, la maggior parte dei quali (77.0000) per comprare una laurea in Albania a una persona a lei legata, Pierangelo Moscagiuro: in più per lei restano non giustificati un assegno da 16.000 euro e uno da 6.600 euro prelevati dal conto del partito.
IL TESORIERE —Belsito si vede contestare 2,4 milioni in 209 pagamenti per acquisti da Louis Vuitton, dal fiorista, in enoteca, in ristoranti e bar e rosticcerie, negozi di elettronica e serramenti e articoli sportivi, armerie, bonifiche antintercettazioni, fatture del telefono e della luce, multe e cartelle esattoriali, ma soprattutto moltissimi prelievi in contanti e spese sostenute per persone a lui vicine. La Procura chiude anche il filone d’inchiesta sulle bizzarre operazioni estere, nemmeno tutte riuscite, di Belsito. E gli contesta l’ipotesi di «appropriazione indebita» per 5,7 milioni di euro, dei quali 1,2 spediti il 28 dicembre 2011 da un conto genovese della Lega alla società Krispa Enterprices di Paolo Scala presso la Bank of Cyprus (850.000 euro restituiti nel febbraio 2012), e gli altri 4,5 bonificati due giorno dopo su un conto di Stefano Bonet alla Fbme Bank in Tanzania, che li respinse perchè difettava la documentazione allegata (la somma è poi rientrata nel febbraio 2012). I due imprenditori Scala e Bonet sono indagati per ricettazione.

SALVINI CORRIERE.IT
MILANO —Gli ultimi 17 milioni di soldi dei cittadini sono stati bloccati nel 2012 dall’inchiesta. Ma precedenti 40 milioni di finanziamento pubblico alla Lega, e cioè i rimborsi elettorali elargitile sulla base dei rendiconti al Parlamento del 2008 e 2009, la Procura di Milano ora li contesta al fondatore della Lega (di nuovo in corsa per la segreteria del partito tra una settimana) Umberto Bossi come «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche»: truffa allo Stato commessa, secondo i pm in concorso con lo scomparso segretario amministrativo Maurizio Balocchi per il rendiconto dell’esercizio 2008 e con l’allora tesoriere leghista Francesco Belsito per il 2009 e 2010, ingannando i presidenti di Camera e Senato nonché i revisori pubblici delle due assemblee, i quali autorizzavano la liquidazione dei rimborsi sulla base di un rendiconto che li raggirava rispetto alla presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito o alla assenza di documenti che giustificassero spese asserite. 2,4

Roberto Cota, il blob sulla moralità della politica
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MILIONI DI APPROPRIAZIONE - Bossi, ma anche i suoi figli Renzo e Riccardo, l’ex vicepresidente del Senato Rosy Mauro e naturalmente l’ex tesoriere Belsito sono poi incriminati per l’ipotesi di reato (fino alla fine del 2011) di «appropriazione indebita», per scopi estranei agli interessi e alle finalità dell’associazione politica, di 3 milioni di euro del denaro depositato sui conti della Lega e proveniente appunto dal finanziamento pubblico. L’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità è addebitata a Bossi senior (208.000 euro) e soprattutto a Belsito per 2 milioni e 400.000 euro.

LA FAMILY - Di Umberto Bossi finiscono nel mirino dei pm Robledo-Pellicano-Filippini 15 spese, tra le quali 1.583 euro di lavori edili nella casa di Gemonio, altri 13.500 e 20.000 euro in due assegni rubricati «casa Capo lavori», ancora 81.000 euro di lavori edili ma per la casa di Roma, 9.000 euro per il ricovero di un figlio, 160 euro per un regalo di nozze, 26.000 euro di capi d’abbigliamento, 2.200 euro di gioielli, 1.500 di cure dentistiche. A Renzo Bossi sono contestati 145.000 euro in 20 spese, fra l’altro per 12 multe, due cartelle esattoriali, l’assicurazione dell’auto, e l’acquisto (77.000 euro) del titolo di laurea albanese presso l’Università Kristal di Tirana. A Riccardo Bossi 157.000 in 48 pagamenti, fra l’altro per 23 multe, 5 riparazioni d’auto in carrozzeria, altrettanti leasing o noleggi di vetture, l’abbonamento a Sky, spese del veterinario, rate dell’Università dell’Insubria, canoni d’affitto di casa, spese di mantenimento della moglie e debiti personali. Rosy Mauro avrebbe abusato dei soldi dei cittadini per 99.000 euro, la maggior parte dei quali (77.0000) per comprare una laurea in Albania a una persona a lei legata, Pierangelo Moscagiuro: in più per lei restano non giustificati un assegno da 16.000 euro e uno da 6.600 euro prelevati dal conto del partito.

IL TESORIERE —Belsito si vede contestare 2,4 milioni in 209 pagamenti per acquisti da Louis Vuitton, dal fiorista, in enoteca, in ristoranti e bar e rosticcerie, negozi di elettronica e serramenti e articoli sportivi, armerie, bonifiche antintercettazioni, fatture del telefono e della luce, multe e cartelle esattoriali, ma soprattutto moltissimi prelievi in contanti e spese sostenute per persone a lui vicine. La Procura chiude anche il filone d’inchiesta sulle bizzarre operazioni estere, nemmeno tutte riuscite, di Belsito. E gli contesta l’ipotesi di «appropriazione indebita» per 5,7 milioni di euro, dei quali 1,2 spediti il 28 dicembre 2011 da un conto genovese della Lega alla società Krispa Enterprices di Paolo Scala presso la Bank of Cyprus (850.000 euro restituiti nel febbraio 2012), e gli altri 4,5 bonificati due giorno dopo su un conto di Stefano Bonet alla Fbme Bank in Tanzania, che li respinse perchè difettava la documentazione allegata (la somma è poi rientrata nel febbraio 2012). I due imprenditori Scala e Bonet sono indagati per ricettazione.

LE PRIMARIE DEL PD
Umberto Bossi contro Matteo Salvini: la competizione per la segreteria della Lega Nord vedrà di fronte due soli candidati, rappresentativi della vecchia e della nuova guardia del Carroccio. Sono soltanto loro due, infatti, ad aver raggiunto le mille firme, ovvero il numero minimo di sottoscrizioni delle candidature. «Si è conclusa oggi alle ore 12 - si legge in una nota - la raccolta delle firme per le candidature a segretario federale della Lega Nord che saranno sottoposte al voto delle elezioni primarie il prossimo 7 dicembre».
CALDEROLI - Sulla base dei dati finora raccolti per via informatica, che dovranno essere confermati ufficialmente nella giornata di venerdì previa verifica dei documenti cartacei di raccolta, il responsabile organizzativo Roberto Calderoli esprime «grande soddisfazione per l’ampia partecipazione che ha visto quasi il 40 per cento degli aventi titolo sottoscrivere una delle candidature». Venerdì, a conclusione del controllo cartaceo verranno comunicati i numeri precisi delle sottoscrizioni dei singoli candidati.

REPUBBLICA STAMATTINA

MILANO
— Corsa a due tra Matteo Salvini e Umberto Bossi per la segreteria della Lega. Tra poco più di una settimana, il Carroccio sceglierà il suo nuovo leader. Il segretario della Lega lombarda è dato per favorito rispetto al Senatùr. Quest’ultimo solo all’ultimo è riuscito a raccogliere le mille firme necessarie a presentare la candidatura. Ieri a mezzogiorno, infatti, scadeva il termine. Saranno le prime “primarie” in salsa padana, volute da Roberto Maroni per far legittimare il suo successore direttamente dalla base leghista e non dai delegati del congresso che si svolgerà il 15 dicembre a Torino. Il governatore della Lombardia nonché segretario federale uscente comunque non sembra avere dubbi: «Salvini ha raccolto circa il quadruplo delle firme di Bossi, 4mila contro poco più di mille» Gli altri tre pre-candidati Giacomo Stucchi, Manes Bernardini e Roberto Stefanazzi non ce l’hanno fatta.
Salvini e Bossi rappresentano il nuovo e il vecchio. Due prospettive diverse. Il primo ha 40 anni, euro-parlamentare in scadenza, per un ventennio consigliere comunale a Milano e dalla scorsa estate guida lombarda della Lega, ha appena coniato lo slogan “Basta euro”. Umberto Bossi, invece, di anni ne ha 72, ha fondato il Carroccio, ma da tempo non sembra più scaldare il cuore dei leghisti. Nei giorni scorsi ha attaccato il suo
competitor
Salvini: «Non capisce niente. Se vogliamo uscire dall’euro ci sparano».

PEZZO DELLA STAMPA DI STAMATTINA


La rissa scoppiata martedì scorso durante una seduta del consiglio regionale del Piemonte, e trasmessa in tutta Italia, ha trasformato la vicenda della Rimborsopoli subalpina (43 indagati tra cui il governatore leghista Roberto Cota e il presidente dell’Assemblea, Valerio Cattaneo) in un caso nazionale. C’è Beppe Grillo che dal suo blog annuncia una raccolta firme nel cuore di Torino il 7 dicembre («Cota mente, mandiamolo a casa»). E c’è Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria nazionale del Pd, che invita Roberto Maroni ad «usare la ramazza per fare pulizia». E poi ci sono i consiglieri regionali del centrosinistra (con alcuni distinguo) che hanno deciso di salire sull’Aventino dimettendosi da tutti gli incarichi istituzionali ricoperti e annunciando, comunque, la volontà di dimettersi dallo scranno il 28 febbraio. Aldo Reschigna, capogruppo del Pd, ha già in mano la lettera che decreta il «tutti a casa». La spiega così la scelta di febbraio: «Vogliamo essere responsabili e approvare il bilancio di previsione e, soprattutto, la programmazione dei fondi comunitari che valgono 2 miliardi di euro fino al 2020».
A rompere gli indugi è stato Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale, la più alta carica istituzionale ricoperta in Piemonte dal Pd. La sua firma sulla lettera di dimissioni ha dato il via al passo indietro del presidente della giunta per le elezioni, Rocchino Muliere, e dei vicepresidenti della commissioni consiliari. E soprattutto ha convinto anche altri gruppi d’opposizione a fare lo stesso. Udc, Federazione della Sinistra (Prc e Pdci) e Sel, infatti, si comporteranno nello stesso modo. Mentre prendono tempo i tre consiglieri dell’Italia dei Valori. Davide Bono, capogruppo M5S, apprezza il gesto ma invita il Pd a firmare «la mozione di sfiducia che, se votata, potrebbe permettere di mandare subito a casa Cota. Io li sto aspettando a porte aperte».
La palla, adesso, passa nel campo del centrodestra (per la mozione di sfiducia servono almeno dieci firme di consiglieri della maggioranza) e ad oggi non arrivano segnali in questo senso, anzi. Cota, in missione istituzionale in Giappone con il sindaco di Torino e una folta delegazione di industriali: «È stata la settimana più terribile della mia carriera politica ma sono sempre più convinto di andare avanti. Il vero Piemonte è qui, a 10.000 chilometri di distanza, rappresentato da aziende che guardano al futuro: e io, come loro, guardo al futuro della nostra Regione».
Anche le dichiarazioni che arrivano dagli alleati vanno in questa direzione. Da Fratelli d’Italia, al Nuovo centrodestra fino a Forza Italia e partitini minori si alza un coro univoco: resistere. La rissa dell’altro giorno, però, ha messo in evidenza la difficoltà di una dibattito politico e istituzionale sereno. Senza dimenticare che in 11 mesi sono state approvate solo 21 leggi.
Quanto potrà durare la resistenza di Cota e del centrodestra? Se adesso il clima è pesante che succederà quando la procura della Repubblica deciderà, dopo aver ancora vagliato le tesi della difesa, il numero dei consiglieri da rinviare a giudizio e, soprattutto chi? Il legale del governatore, Domenico Aiello, annuncia l’intenzione di Cota di farsi ascoltare di nuovo dai pm «perché è una persona onesta». Ma ad agitare le acque del centrodestra non c’è solo Rimborsopoli. La fine anticipata della legislatura potrebbe decretarla il Tar che il 9 gennaio dovrà pronunciarsi sulla richiesta di annullamento dei 27 mila voti raccolti dalla lista Pensionati per Cota. La Cassazione ha condannato per firme false il promotore. E senza quei voti, Cota perde.

La rissa scoppiata martedì scorso durante una seduta del consiglio regionale del Piemonte, e trasmessa in tutta Italia, ha trasformato la vicenda della Rimborsopoli subalpina (43 indagati tra cui il governatore leghista Roberto Cota e il presidente dell’Assemblea, Valerio Cattaneo) in un caso nazionale. C’è Beppe Grillo che dal suo blog annuncia una raccolta firme nel cuore di Torino il 7 dicembre («Cota mente, mandiamolo a casa»). E c’è Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria nazionale del Pd, che invita Roberto Maroni ad «usare la ramazza per fare pulizia». E poi ci sono i consiglieri regionali del centrosinistra (con alcuni distinguo) che hanno deciso di salire sull’Aventino dimettendosi da tutti gli incarichi istituzionali ricoperti e annunciando, comunque, la volontà di dimettersi dallo scranno il 28 febbraio. Aldo Reschigna, capogruppo del Pd, ha già in mano la lettera che decreta il «tutti a casa». La spiega così la scelta di febbraio: «Vogliamo essere responsabili e approvare il bilancio di previsione e, soprattutto, la programmazione dei fondi comunitari che valgono 2 miliardi di euro fino al 2020».
A rompere gli indugi è stato Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale, la più alta carica istituzionale ricoperta in Piemonte dal Pd. La sua firma sulla lettera di dimissioni ha dato il via al passo indietro del presidente della giunta per le elezioni, Rocchino Muliere, e dei vicepresidenti della commissioni consiliari. E soprattutto ha convinto anche altri gruppi d’opposizione a fare lo stesso. Udc, Federazione della Sinistra (Prc e Pdci) e Sel, infatti, si comporteranno nello stesso modo. Mentre prendono tempo i tre consiglieri dell’Italia dei Valori. Davide Bono, capogruppo M5S, apprezza il gesto ma invita il Pd a firmare «la mozione di sfiducia che, se votata, potrebbe permettere di mandare subito a casa Cota. Io li sto aspettando a porte aperte».
La palla, adesso, passa nel campo del centrodestra (per la mozione di sfiducia servono almeno dieci firme di consiglieri della maggioranza) e ad oggi non arrivano segnali in questo senso, anzi. Cota, in missione istituzionale in Giappone con il sindaco di Torino e una folta delegazione di industriali: «È stata la settimana più terribile della mia carriera politica ma sono sempre più convinto di andare avanti. Il vero Piemonte è qui, a 10.000 chilometri di distanza, rappresentato da aziende che guardano al futuro: e io, come loro, guardo al futuro della nostra Regione».
Anche le dichiarazioni che arrivano dagli alleati vanno in questa direzione. Da Fratelli d’Italia, al Nuovo centrodestra fino a Forza Italia e partitini minori si alza un coro univoco: resistere. La rissa dell’altro giorno, però, ha messo in evidenza la difficoltà di una dibattito politico e istituzionale sereno. Senza dimenticare che in 11 mesi sono state approvate solo 21 leggi.
Quanto potrà durare la resistenza di Cota e del centrodestra? Se adesso il clima è pesante che succederà quando la procura della Repubblica deciderà, dopo aver ancora vagliato le tesi della difesa, il numero dei consiglieri da rinviare a giudizio e, soprattutto chi? Il legale del governatore, Domenico Aiello, annuncia l’intenzione di Cota di farsi ascoltare di nuovo dai pm «perché è una persona onesta». Ma ad agitare le acque del centrodestra non c’è solo Rimborsopoli. La fine anticipata della legislatura potrebbe decretarla il Tar che il 9 gennaio dovrà pronunciarsi sulla richiesta di annullamento dei 27 mila voti raccolti dalla lista Pensionati per Cota. La Cassazione ha condannato per firme false il promotore. E senza quei voti, Cota perde.

La rissa scoppiata martedì scorso durante una seduta del consiglio regionale del Piemonte, e trasmessa in tutta Italia, ha trasformato la vicenda della Rimborsopoli subalpina (43 indagati tra cui il governatore leghista Roberto Cota e il presidente dell’Assemblea, Valerio Cattaneo) in un caso nazionale. C’è Beppe Grillo che dal suo blog annuncia una raccolta firme nel cuore di Torino il 7 dicembre («Cota mente, mandiamolo a casa»). E c’è Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria nazionale del Pd, che invita Roberto Maroni ad «usare la ramazza per fare pulizia». E poi ci sono i consiglieri regionali del centrosinistra (con alcuni distinguo) che hanno deciso di salire sull’Aventino dimettendosi da tutti gli incarichi istituzionali ricoperti e annunciando, comunque, la volontà di dimettersi dallo scranno il 28 febbraio. Aldo Reschigna, capogruppo del Pd, ha già in mano la lettera che decreta il «tutti a casa». La spiega così la scelta di febbraio: «Vogliamo essere responsabili e approvare il bilancio di previsione e, soprattutto, la programmazione dei fondi comunitari che valgono 2 miliardi di euro fino al 2020».
A rompere gli indugi è stato Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale, la più alta carica istituzionale ricoperta in Piemonte dal Pd. La sua firma sulla lettera di dimissioni ha dato il via al passo indietro del presidente della giunta per le elezioni, Rocchino Muliere, e dei vicepresidenti della commissioni consiliari. E soprattutto ha convinto anche altri gruppi d’opposizione a fare lo stesso. Udc, Federazione della Sinistra (Prc e Pdci) e Sel, infatti, si comporteranno nello stesso modo. Mentre prendono tempo i tre consiglieri dell’Italia dei Valori. Davide Bono, capogruppo M5S, apprezza il gesto ma invita il Pd a firmare «la mozione di sfiducia che, se votata, potrebbe permettere di mandare subito a casa Cota. Io li sto aspettando a porte aperte».
La palla, adesso, passa nel campo del centrodestra (per la mozione di sfiducia servono almeno dieci firme di consiglieri della maggioranza) e ad oggi non arrivano segnali in questo senso, anzi. Cota, in missione istituzionale in Giappone con il sindaco di Torino e una folta delegazione di industriali: «È stata la settimana più terribile della mia carriera politica ma sono sempre più convinto di andare avanti. Il vero Piemonte è qui, a 10.000 chilometri di distanza, rappresentato da aziende che guardano al futuro: e io, come loro, guardo al futuro della nostra Regione».
Anche le dichiarazioni che arrivano dagli alleati vanno in questa direzione. Da Fratelli d’Italia, al Nuovo centrodestra fino a Forza Italia e partitini minori si alza un coro univoco: resistere. La rissa dell’altro giorno, però, ha messo in evidenza la difficoltà di una dibattito politico e istituzionale sereno. Senza dimenticare che in 11 mesi sono state approvate solo 21 leggi.
Quanto potrà durare la resistenza di Cota e del centrodestra? Se adesso il clima è pesante che succederà quando la procura della Repubblica deciderà, dopo aver ancora vagliato le tesi della difesa, il numero dei consiglieri da rinviare a giudizio e, soprattutto chi? Il legale del governatore, Domenico Aiello, annuncia l’intenzione di Cota di farsi ascoltare di nuovo dai pm «perché è una persona onesta». Ma ad agitare le acque del centrodestra non c’è solo Rimborsopoli. La fine anticipata della legislatura potrebbe decretarla il Tar che il 9 gennaio dovrà pronunciarsi sulla richiesta di annullamento dei 27 mila voti raccolti dalla lista Pensionati per Cota. La Cassazione ha condannato per firme false il promotore. E senza quei voti, Cota perde.

La rissa scoppiata martedì scorso durante una seduta del consiglio regionale del Piemonte, e trasmessa in tutta Italia, ha trasformato la vicenda della Rimborsopoli subalpina (43 indagati tra cui il governatore leghista Roberto Cota e il presidente dell’Assemblea, Valerio Cattaneo) in un caso nazionale. C’è Beppe Grillo che dal suo blog annuncia una raccolta firme nel cuore di Torino il 7 dicembre («Cota mente, mandiamolo a casa»). E c’è Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria nazionale del Pd, che invita Roberto Maroni ad «usare la ramazza per fare pulizia». E poi ci sono i consiglieri regionali del centrosinistra (con alcuni distinguo) che hanno deciso di salire sull’Aventino dimettendosi da tutti gli incarichi istituzionali ricoperti e annunciando, comunque, la volontà di dimettersi dallo scranno il 28 febbraio. Aldo Reschigna, capogruppo del Pd, ha già in mano la lettera che decreta il «tutti a casa». La spiega così la scelta di febbraio: «Vogliamo essere responsabili e approvare il bilancio di previsione e, soprattutto, la programmazione dei fondi comunitari che valgono 2 miliardi di euro fino al 2020».
A rompere gli indugi è stato Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale, la più alta carica istituzionale ricoperta in Piemonte dal Pd. La sua firma sulla lettera di dimissioni ha dato il via al passo indietro del presidente della giunta per le elezioni, Rocchino Muliere, e dei vicepresidenti della commissioni consiliari. E soprattutto ha convinto anche altri gruppi d’opposizione a fare lo stesso. Udc, Federazione della Sinistra (Prc e Pdci) e Sel, infatti, si comporteranno nello stesso modo. Mentre prendono tempo i tre consiglieri dell’Italia dei Valori. Davide Bono, capogruppo M5S, apprezza il gesto ma invita il Pd a firmare «la mozione di sfiducia che, se votata, potrebbe permettere di mandare subito a casa Cota. Io li sto aspettando a porte aperte».
La palla, adesso, passa nel campo del centrodestra (per la mozione di sfiducia servono almeno dieci firme di consiglieri della maggioranza) e ad oggi non arrivano segnali in questo senso, anzi. Cota, in missione istituzionale in Giappone con il sindaco di Torino e una folta delegazione di industriali: «È stata la settimana più terribile della mia carriera politica ma sono sempre più convinto di andare avanti. Il vero Piemonte è qui, a 10.000 chilometri di distanza, rappresentato da aziende che guardano al futuro: e io, come loro, guardo al futuro della nostra Regione».
Anche le dichiarazioni che arrivano dagli alleati vanno in questa direzione. Da Fratelli d’Italia, al Nuovo centrodestra fino a Forza Italia e partitini minori si alza un coro univoco: resistere. La rissa dell’altro giorno, però, ha messo in evidenza la difficoltà di una dibattito politico e istituzionale sereno. Senza dimenticare che in 11 mesi sono state approvate solo 21 leggi.
Quanto potrà durare la resistenza di Cota e del centrodestra? Se adesso il clima è pesante che succederà quando la procura della Repubblica deciderà, dopo aver ancora vagliato le tesi della difesa, il numero dei consiglieri da rinviare a giudizio e, soprattutto chi? Il legale del governatore, Domenico Aiello, annuncia l’intenzione di Cota di farsi ascoltare di nuovo dai pm «perché è una persona onesta». Ma ad agitare le acque del centrodestra non c’è solo Rimborsopoli. La fine anticipata della legislatura potrebbe decretarla il Tar che il 9 gennaio dovrà pronunciarsi sulla richiesta di annullamento dei 27 mila voti raccolti dalla lista Pensionati per Cota. La Cassazione ha condannato per firme false il promotore. E senza quei voti, Cota perde.

La rissa scoppiata martedì scorso durante una seduta del consiglio regionale del Piemonte, e trasmessa in tutta Italia, ha trasformato la vicenda della Rimborsopoli subalpina (43 indagati tra cui il governatore leghista Roberto Cota e il presidente dell’Assemblea, Valerio Cattaneo) in un caso nazionale. C’è Beppe Grillo che dal suo blog annuncia una raccolta firme nel cuore di Torino il 7 dicembre («Cota mente, mandiamolo a casa»). E c’è Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria nazionale del Pd, che invita Roberto Maroni ad «usare la ramazza per fare pulizia». E poi ci sono i consiglieri regionali del centrosinistra (con alcuni distinguo) che hanno deciso di salire sull’Aventino dimettendosi da tutti gli incarichi istituzionali ricoperti e annunciando, comunque, la volontà di dimettersi dallo scranno il 28 febbraio. Aldo Reschigna, capogruppo del Pd, ha già in mano la lettera che decreta il «tutti a casa». La spiega così la scelta di febbraio: «Vogliamo essere responsabili e approvare il bilancio di previsione e, soprattutto, la programmazione dei fondi comunitari che valgono 2 miliardi di euro fino al 2020».
A rompere gli indugi è stato Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale, la più alta carica istituzionale ricoperta in Piemonte dal Pd. La sua firma sulla lettera di dimissioni ha dato il via al passo indietro del presidente della giunta per le elezioni, Rocchino Muliere, e dei vicepresidenti della commissioni consiliari. E soprattutto ha convinto anche altri gruppi d’opposizione a fare lo stesso. Udc, Federazione della Sinistra (Prc e Pdci) e Sel, infatti, si comporteranno nello stesso modo. Mentre prendono tempo i tre consiglieri dell’Italia dei Valori. Davide Bono, capogruppo M5S, apprezza il gesto ma invita il Pd a firmare «la mozione di sfiducia che, se votata, potrebbe permettere di mandare subito a casa Cota. Io li sto aspettando a porte aperte».
La palla, adesso, passa nel campo del centrodestra (per la mozione di sfiducia servono almeno dieci firme di consiglieri della maggioranza) e ad oggi non arrivano segnali in questo senso, anzi. Cota, in missione istituzionale in Giappone con il sindaco di Torino e una folta delegazione di industriali: «È stata la settimana più terribile della mia carriera politica ma sono sempre più convinto di andare avanti. Il vero Piemonte è qui, a 10.000 chilometri di distanza, rappresentato da aziende che guardano al futuro: e io, come loro, guardo al futuro della nostra Regione».
Anche le dichiarazioni che arrivano dagli alleati vanno in questa direzione. Da Fratelli d’Italia, al Nuovo centrodestra fino a Forza Italia e partitini minori si alza un coro univoco: resistere. La rissa dell’altro giorno, però, ha messo in evidenza la difficoltà di una dibattito politico e istituzionale sereno. Senza dimenticare che in 11 mesi sono state approvate solo 21 leggi.
Quanto potrà durare la resistenza di Cota e del centrodestra? Se adesso il clima è pesante che succederà quando la procura della Repubblica deciderà, dopo aver ancora vagliato le tesi della difesa, il numero dei consiglieri da rinviare a giudizio e, soprattutto chi? Il legale del governatore, Domenico Aiello, annuncia l’intenzione di Cota di farsi ascoltare di nuovo dai pm «perché è una persona onesta». Ma ad agitare le acque del centrodestra non c’è solo Rimborsopoli. La fine anticipata della legislatura potrebbe decretarla il Tar che il 9 gennaio dovrà pronunciarsi sulla richiesta di annullamento dei 27 mila voti raccolti dalla lista Pensionati per Cota. La Cassazione ha condannato per firme false il promotore. E senza quei voti, Cota perde.
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