Ugo Papi, Macro, il Messaggero 29/11/2013, 29 novembre 2013
SFIDA PER UN PUGNO DI ISOLE
IL CASO
Le isole Senkaku/Diaoyu sono tornate al centro delle preoccupazioni della comunità internazionale. Tre giorni fa la Cina ha denunciato che bombardieri B-52 americani avevano sorvolato senza autorizzazione il proprio spazio aereo, provenienti dalla base militare dell’isola di Guam. Lo spazio in questione è proprio quello degli isolotti contesi, fino ad ora sotto controllo giapponese. Ieri le autorità giapponesi e quelle sud coreane hanno reagito dichiarando che loro aerei hanno effettuato gli stessi sorvoli sulle aree contestate (anche Seul ha lo stesso contenzioso con la Cina su un isolotto sommerso). La Cina ha fatto altrettanto con i suoi caccia. Pechino ha quindi deciso di inasprire i toni e passare all’azione, con conseguenze serie sulla stabilità dell’intero Mar Cinese.
I CONTENDENTI
Da decenni Giappone, Cina e Taiwan si disputano la sovranità di questi isolotti disabitati, che distano 350 km dalle isole giapponesi Ryuku e dalla costa cinese, circa 200 da Taipei. Gli Stati Uniti hanno controllato le isole assieme ad Okinawa, fino al 1972. Con la restituzione di Okinawa e delle isole Ryukyu, la sovranità è tornata a Tokyo. Per Pechino, che pure riconosceva la sovranità americana fino al ’72, le isole devono tornare alla antica sovranità cinese, essendo le Diayou parte del bottino acquisito a forza dall’impero nipponico, al quale Tokyo avrebbe dovuto rinunciare dopo la resa del 1945 e l’applicazione degli accordi tra vincitori di Potsdam. I giapponesi replicano di aver preso possesso delle isole nel 1895, quando erano terra di nessuno e non rientrano tra i territori da restituire dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale e già nel XIX secolo facevano parte del Giappone moderno. A parte la disputa storica, l’oggetto del contendere è di natura squisitamente economica. Le isole Senkaku/Diaoyu sono poco interessanti sotto questo profilo, ma lo diventano molto se incluse nelle Zone economiche esclusive (Zee). La convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), riconosce a ogni Nazione il diritto allo sfruttamento esclusivo delle risorse economiche incluse all’interno delle 200 miglia dalle proprie coste. Chi ha la sovranità sulle isole vede estese automaticamente le proprie acque territoriali.
I GIACIMENTI
La zona contestata è di una superfice equivalente a quella dell’Inghilterra e includerebbe 17,5 metri cubi di gas e 20 milioni di barili di petrolio. Chi possiede le isole vince alla lotteria delle risorse energetiche delle quali hanno un immenso bisogno tutti i paesi della regione. Per questi motivi, oltre che per l’ambiguità della legge internazionale che non chiarisce come risolvere gli eventuali contenziosi, i piccoli territori di mare nel Mar Cinese Orientale e in quello Meridionale, sono contesi tra la Cina, la Corea del Sud, il Vietnam, il Brunei, il Vietnam, le Filippine, Taiwan, l’Indonesia e la Malesia. Inoltre le acque in questione sono pescosissime e rappresentano una ulteriore risorsa economica già disponibile. A complicare ulteriormente le cose, ci sono i risvolti strategici, legati al controllo del Pacifico dove rientra l’interesse americano. Nel suo primo mandato, Obama rese subito chiaro che considerava centrale per ragioni economiche e politiche l’area Asia/Pacifico e in un solenne discorso in Australia dichiarò che avrebbe spostato gli investimenti americani, anche militari, in questa zona del mondo, considerando ormai obsoleto l’apparato militare e le basi europee, dopo il venir meno della minaccia sovietica. Le ragioni dell’Asia-Pivot sono collegate alle tendenze storiche che hanno fatto emergere il continente asiatico e l’area del Pacifico, come il nuovo polo di espansione dell’economia mondiale. La crisi economica globale e le tensioni medio orientali, hanno solo rallentato tale processo di spostamento strategico, ma non lo hanno di certo cancellato. La Cina nuova potenza non può che guardare con preoccupazione a questa nuova presenza americana alle porte di casa e risponde colpo su colpo. I rischi di escalation sono molto concreti, anche perché a giocare una parte importante è anche il nazionalismo feroce delle opinioni pubbliche dei paesi asiatici, sentimento spesso sfruttato dai governanti di tutta la regione per aumentare il consenso interno. I conti con la storia, che in Europa hanno reso impensabile una guerra nel nostro continente, in Asia non sono ancora stati fatti.
Ugo Papi