Giuseppe Pollicelli, Libero 29/11/2013, 29 novembre 2013
ALZATACCE E FISIOGNOMICA PER RACCONTARE BATTIATO
[Oggi al Torino Film Festival viene presentato Temporary Road. (Una) vita di Franco Battiato, di Giuseppe Pollicelli e Mario Tani. Alle 15.00 al Cinema Massimo di Torino (Via Verdi, 18), si terrà la proiezione ufficiale, preceduta da un incontro con gli autori, Battiato e Paolo Virzì. In questo pezzo, Pollicelli (collaboratore di Libero) racconta i retroscena della realizzazione del docu-film.]
Da quando ha cominciato a circolare la notizia che ho diretto, insieme al regista e produttore Mario Tani, un documentario su Franco Battiato, in tanti mi domandano: ma come hai fatto a convincerlo, Battiato? Quel che io rispondo è che si è trattato di una delle cose più semplici della mia vita: gliel’ho chiesto e Franco ha detto di sì. Subito. La cosa interessante, e anche un po’ misteriosa, è un’altra: il modo in cui Battiato ha aderito alla mia proposta, ovvero completamente al buio, senza avere la benché minima garanzia che Tani e io avremmo fatto, come ritengo sia poi accaduto, un lavoro degno. Quando gli ho avanzato la mia proposta, infatti, Battiato aveva conosciuto il sottoscritto da poco più di tre quarti d’ora. Erano, lo ricordo bene, le 8.45 di un giorno di settembre del 2009, emi trovavo nella casa milanese di Franco, dove mi ero recato (alle 8 del mattino, sì: Franco si alza maledettamente presto) per fargli un’intervista che sarebbe apparsa su un bel bimestrale che oggi non esiste più, Musica leggera, una delle tante invenzioni geniali e poco fortunate di un editore con cui collaboravo, Francesco Coniglio. Io non sono un esperto di musica ma Battiato, come artista, lo conoscevo benissimo, per la ragione che lo ammiro enormemente. Ero insomma un suo fan, ed è buffo constatare come lo sia rimasto, nella stessa identica maniera, anche oggi che siamo diventati amici. Proprio perché non sono un grande musicofilo, l’uscita di Musica leggera mi è parsa immediatamente come un insperato mezzo per coronare quello che era allora un mio sogno: conoscere personalmente Battiato.
Mi sono dunque fatto organizzare l’incontro dal direttore della rivista, il musicologo Maurizio Becker, e al termine della chiacchierata, quando Franco era già con un piede fuori dalla porta di casa perché stava per andare a far visita, in Emilia-Romagna, al sacerdote ultracentenario Arturo Paoli, ho buttato lì, con un briciolo di improntitudine, la mia richiesta. Aggiungendo timidamente, forse più sperandoci che credendoci: «Ti garantisco che ne verrà fuori una buona cosa». E lui, serafico: «Non c’è problema, ho capito che tipo sei». Scienza o pseudoscienza che sia, lì ho mentalmente benedetto la fisiognomica, disciplina che stabilisce un collegamento tra l’aspetto esteriore di un individuo e le sue peculiarità interiori, e di cui Battiato è un noto cultore, tanto da farne il titolo di un suo magnifico album del 1988.
Per farla breve, dopo soli 45 minuti da che mi aveva visto per la prima volta, a torto o a ragione Franco si è convinto che meritassi la sua fiducia. Senza, ripeto, che io avessi fatto alcunché, a parte rivolgergli qualche quesito di carattere musicale, per dargli elementi sulla base dei quali valutarmi. A quel punto l’idea di un documentario su Battiato ha iniziato ad assumere una forma, fino a prendere concretamente avvio nel 2012. L’operazione è costata fatiche non indifferenti, essendo stata realizzata con telecamere (le Red- Cam) dalla qualità video pari a quella di una pellicola ma non di semplicissimo utilizzo, e avendo richiesto il coinvolgimento di una troupe assai nutrita (tant’è vero che, quando ci recavamo a fare le riprese dei concerti, l’entourage di Franco era palesemente insospettito, o quantomeno disorientato, dal fatto che ci presentassimo ogni volta almeno in dieci, come se stessimo girando un film di finzione; Battiato ha invece ostentato una olimpica - e credo autentica - calma perfino il giorno in cui gli abbiamo invaso la villa di Milo, in Sicilia).
A facilitare il completamento delle operazioni ha provveduto la partecipazione diretta di Battiato al progetto, rivelatasi una sorta di passepartout. Bastava il suo nome - non è piaggeria, è la verità - perché chiunque, anche gente che altrimenti ci avrebbe congedati senza molti riguardi, ci dimostrasse interesse e accoglienza. Da quel momento il titolo dell’ultimo album di Franco, Apriti Sesamo, ha acquisito per noi un significato del tutto particolare.