Gianandrea Gaiani, Il Sole 24 Ore 29/11/2013, 29 novembre 2013
LA BARRIERA VERSO IL PACIFICO CHE PECHINO VUOLE FORZARE
Il braccio di ferro che contrappone Pechino e Tokyo intorno alle isole Senkaku contiene tutti gli elementi per una potenziale escalation militare, conseguenza del "machismo" nazionalista che caratterizza i governi asiatici coinvolti nella crisi ma anche di precisi interessi strategici. L’arcipelago delle Senkaku (Diaoyu per i cinesi) è uno dei gruppi di scogli contesi tra Pechino e i Paesi che si affacciano di fronte alle sue coste: per le isole Paracel cinesi e vietnamiti sono andati più volte vicini alla guerra, tensioni elevate l’anno scorso anche tra Manila e Pechino per il controllo dell’atollo Scarborough mentre le Isole Spratly sono rivendicate da tutti gli Stati che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale.
Il controllo di queste isole consente l’accesso esclusivo alle risorse ittiche e soprattutto a quelle energetiche che si dice siano presenti sotto il fondale marino ma in realtà gli atolli contesi rappresentano una barriera che chiude l’accesso all’Oceano Pacifico alla flotta cinese. O, al contrario, rappresentano per i cinesi la porta d’accesso al Pacifico. La forza aerea e navale cinese è in pieno potenziamento dopo l’ingresso in servizio della prima portaerei, l’ex sovietica Liaoning, di nuovi sottomarini, cacciatorpediniere e di alcune corvette e cacciabombardieri hi-tech a bassa visibilità radar. La minaccia ha indotto l’esercito giapponese a trasferire gran parte dei reparti da combattimento dall’isola settentrionale di Hokkaido al cosiddetto "filo di perle", le isole Ryukyu disseminate tra il Sud del Giappone e Taiwan e che si estendono poco a Est delle Senkaku.
Una barriera che chiude alla flotta cinese l’uscita dal Mar Cinese Orientale nel quale lo schieramento giapponese, incentrato sulla base di Okinawa, potrebbe saldarsi in caso di guerra con le forze di Taiwan a Sud e quelle sudcoreane a Nord. Un asse sostenuto da Washington che se da un lato sembra voler ribadire anche in questo scacchiere la politica del "leading from behind", dall’altro non esita ad azioni militari dimostrative come il sorvolo delle Senkaku effettuati martedì da due bombardieri strategici B-52 decollati da Guam. Il rituale da "Guerra fredda" che caratterizzò per decenni il confronto tra Occidente e blocco sovietico si ripropone oggi nel Pacifico.
Pechino ha arbitrariamente esteso sulle Senkaku la cosiddetta "area di identificazione aerea di difesa" con un atto che di fatto estende la sovranità cinese alle isole nipponiche quasi equiparandole al territorio nazionale. Un’iniziativa non solo simbolica, poiché lunedì Pechino ha minacciato di abbattere gli aerei che sorvoleranno le isole con intenzioni ritenute ostili, ma di valore strategico. Ben diversa dalle schermaglie navali tra pescherecci e guardacoste e dai sorvoli di droni che hanno caratterizzato nei mesi scorsi il braccio di ferro intorno all’arcipelago. Per questo la risposta è stata affidata ai bombardieri delle forze strategiche statunitensi, quei B-52 dotati solitamente di missili da crociera armabili con testata nucleare che hanno sorvolato disarmati le Senkaku per ribadire la libertà di quei cieli e soprattutto che Washington sostiene i suoi alleati.
Pur non prendendo posizione sulla sovranità delle isole, gli Stati Uniti riconoscono a Tokyo il controllo amministrativo e hanno assicurato al Giappone che il patto per la sicurezza tra i due Paesi riguarda anche le Senkaku. Il successivo sorvolo delle isole effettuato, senza avvisare Pechino, da aerei da pattugliamento marittimo P-3C Orion giapponesi e sudcoreani ha confermato come la sfida lanciata dalla Cina venga affrontata collegialmente dagli alleati regionali di Washington, impegnati in ampi programmi di riarmo. Le pretese di egemonia navale annunciate dalla Cina con l’obiettivo di porsi come potenza di riferimento per i Paesi della regione hanno ottenuto l’effetto opposto, determinando il timore di tutti i vicini rinsaldati intorno all’alleanza con Washington. Corea del Sud e Giappone stanno acquisendo nuove navi, cacciabombardieri F-35 e puntano a dotarsi di piccole portaerei ma in tutta l’Asia Orientale è in atto un massiccio riarmo teso a contenere l’espansionismo cinese. La questione è in cima all’agenda della missione che la prossima settimana porterà il vicepresidente Joe Biden in Giappone, Cina e Corea del Sud.