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 2013  novembre 29 Venerdì calendario

LE USCITE DI NOTTE PER AIUTARE I POVERI «POTREBBE ESSERCI ANCHE IL PAPA»


«Quando dico al Papa “stasera esco in città”, c’è sempre il rischio che lui venga con me. È fatto così, all’inizio non pensava al disagio che si poteva creare....». L’arcivescovo Konrad Krajewski, 50 anni, elemosiniere del Papa, ha un lampo divertito negli occhi mentre incontra i giornalisti e, quando gli si chiede se sia mai capitato che Francesco lo accompagnasse nottetempo in giro per Roma, nelle sue missioni in aiuto dei poveri, si limita a un sorriso e a un «prego, la seconda domanda» che scatena l’esegesi del suo silenzio: possibile che Bergoglio esca in incognito per Roma, come peraltro faceva a Buenos Aires quando da arcivescovo visitava la favela Villa 21, la gente lo chiamava «padre» e alcuni non sospettavano neppure che quel prete in clergyman fosse il cardinale?
Più tardi la faccenda monta e «padre» Krajewski («il Papa mi ha detto: “Quando qualcuno ti chiama “eccellenza” chiedi cinque euro di tassa per i poveri! Anche a me è venuto di chiamarti così ma non ho cinque euro in tasca....”») si fa un’altra risata al telefono col Corriere , «ma non è vero niente, si figuri: certo, al Santo Padre piacerebbe, come piacerebbe uscire a confessare i fedeli, ma non gli è possibile, non è mai successo: chi interpreta diversamente il mio sorriso, si vede che non sa sorridere...». Lo stesso Francesco, del resto, aveva raccontato di essere «un prete callejero », di strada, «quante volte ho avuto voglia di andare per le strade di Roma!, ma capisco che non è possibile...». Il che, se non altro, spiega come sia invece possibile che una delle più alte cariche curiali si alzi alle 4.30 del mattino nel suo appartamento di Borgo Pio («sono rimasto lì, così la gente ha un accesso più diretto che in Vaticano») e passi buona parte del suo tempo in giro per l’Italia o attraversando la notte Roma sulla sua Fiat Qubo bianca («un’auto blu spaventerebbe, però ho la targa del Santo Padre così possiamo entrare ovunque») in aiuto di chi ha bisogno. Mai si era visto un elemosiniere pontificio itinerante. Ma quando lo nominò, in agosto, Francesco lo avvertì: «Non sarai un vescovo da scrivania, ti voglio tra la gente, il prolungamento della mia mano per portare una carezza ai poveri, ai diseredati, agli ultimi». Krajewski sorride: «Il Papa mi ha detto: “La scrivania non fa per te, puoi venderla; non aspettare la gente che bussa, devi cercare i poveri”. Perché Francesco vuole stare coi poveri. A Buenos Aires cenava e stava con loro per condividerne la vita. E ai miei familiari spiegava: “Queste sono le mie braccia, sono limitate, ma se le prolunghiamo con quelle di Corrado possiamo toccare i poveri di tutta Italia. Io non posso uscire ma lui è libero”».
Senzatetto, immigrati, persone sole. Non è solo questione di soldi. C’è anche «la signora che chiama perché ha visto un ubriaco da riportare a casa». Le giovani guardie svizzere, gendarmi e volontari danno una mano. E poi «ho cominciato la visita a case di cura e di riposo». Perché la carità del Papa è anche un rosario ad anziani «che magari hanno figli vicini ma nessuno va a trovare: arrivo per conto di Francesco, abbraccio tutti camera per camera, preghiamo e pranziamo o ceniamo assieme». La Qubo macina migliaia di chilometri.
L’Elemosineria, 11 dipendenti fissi e 17 calligrafi, si finanzia con le donazioni e circa 250 mila euro all’anno ricavati dalla vendita di pergamene con benedizione apostolica(costano «da 5 a 15 euro») per matrimoni, battesimi e così via. Nell’ultimo anno l’elemosina del Papa — per gli interventi più consistenti ci sono altri enti, oltre alle Caritas — ha raggiunto 6.500 persone, un milione di euro circa. Ma in questi mesi la crescita è esponenziale. «Tutti i soldi sono spesi per i poveri. Il Papa mi ha detto: “Il conto è buono quando è vuoto, così si può riempire. Non investire, non vincolare: spendi tutto per i poveri”. Poi, ogni volta che mi vede, chiede: “Hai bisogno di soldi?”».
Certo bisogna spendere «con intelligenza, essendo sicuri». Quasi ogni mattina Francesco fa avere a «padre Corrado» una busta colma di richieste, «tu sai cosa devi fare». Si controlla con i parroci che siano autentiche e si invia un assegno circolare, in genere da qualche centinaio a un migliaio di euro. L’anziana di Venezia cui hanno rubato il portafogli mentre andava a comprare le medicine al marito. La persona che non riesce a pagare un mese di affitto. Ma anche la bimba di Chieti in fin di vita.
Quando il Papa lo mandò tra gli immigrati di Lampedusa portò con sé del denaro. «Ma poi mi resi conto che non era dei soldi che avevano immediato bisogno. Francesco mi chiese: che possiamo fare? E ci siamo inventati la cosa delle carte telefoniche, ne abbiamo prese 1.600...». Carità non significa solo dare qualche soldo. «Toccare nei poveri la carne di Cristo» ripete Francesco. Krajewski sospira: «Un cardinale mi ha raccontato che ogni giorno, in via della Conciliazione, dà a un povero due o tre euro. Ma io gli ho detto che per lui quelle monete sono nulla. Piuttosto, gli ho chiesto, perché non fa salire il povero a casa sua, magari lo porta in uno dei suoi tre bagni e lo lava?».
Gian Guido Vecchi