Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 29 Venerdì calendario

BRESCIA, GENERAZIONE BALOTELLI UNO SU DUE NATO DA STRANIERI


La soglia psicologica della parità è ormai a un passo e a certificarlo è stata due giorni fa l’Istat: i bambini nati a Brescia nel corso del 2012 sono quasi per la metà esatta (il 46,8%, per la precisione) figli di stranieri o di coppie miste e il sorpasso sugli italiani «doc» sarà questione di qualche anno. Avanza la «generazione Balotelli», quella degli extracomunitari nati da noi e proprio la città in cui il campione del Milan e della Nazionale è cresciuto, tira di gran lena un gruppo di altre città italiane; due punti percentuali sotto la città lombarda ecco Piacenza e poi Novara e Prato. Sopra il 40% troviamo dieci capoluoghi italiani, quasi tutti collocati tra Lombardia e Veneto.
Brescia e la sua statistica restituiscono l’immagine dell’Italia prossima ventura, più anziana (perché nel complesso la natalità è sempre in flessione), più straniera e tutta da inventare. «Ma la vita non è matematica, tutto deve venire naturale e abbiamo davanti una strada da costruire giorno per giorno. Io almeno la penso così»: Youssef El Khanoussy parla dalla sua casa di via Garibaldi, cuore della Brescia multietnica esprimendo un concetto che pare il finale, guarda caso, di «Indovina chi viene a cena?», indimenticabile film sul pregiudizio razziale in America. Marocchino, in Italia dal 2005, socio di una cooperativa di servizi, Youssef e la sua famiglia sono il prototipo fotografato dall’Istat. Dal legame tra l’uomo e la sua compagna Maria Luisa Venuta, esattamente due anni fa è nato Iacopo, mezzo lombardo e mezzo nordafricano. Lui e lei si sono conosciuti in casa di amici «e da quando è nato il bimbo abbiamo deciso di affrontare senza sconti le nostre differenze culturali» dice Maria Luisa , ricercatrice a contratto all’università di Brescia. Un concetto astratto? Per nulla. «Abbiamo scelto di chiamare nostro figlio Iacopo — racconta — perché è un nome con un corrispettivo arabo, Yacoub, e di dargli il doppio cognome; insegneremo al piccolo a parlare sia l’italiano che l’arabo e anche il francese, la seconda lingua di suo padre. In casa festeggiamo tanto il Natale quanto le ricorrenze islamiche. Si tratta di trovare un terreno comune a entrambi, giorno per giorno, evitando il rischio discriminazione sia da una parte che dall’altra».
Si attrezzano le famiglie, dovranno attrezzarsi le istituzioni a cominciare dalla scuola; tra cinque anni le classi vedranno un po’ ovunque una maggioranza di alunni di origine straniera. Ma in alcune zone di Brescia, specie nei quartieri della zona sud, le scuole «si sono portate avanti col programma». Alle elementari Crispi e Canossi, la percentuale di extracomunitari oscilla già oggi tra il 65 e il 70%, con realtà in cui si mescolano 30 lingue differenti. È stato necessario fin da subito correre ai ripari. «Niente classi ponte composte solo da stranieri — precisa il dirigente scolastico Salvatore Cinque — abbiamo scelto invece un programma di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua molto spinto. Per due o tre al giorno i bambini che non parlano italiano fanno lezione a parte, fino a quando non si portano al pari con gli altri. È un sistema che sta funzionando bene». E poi c’è il fronte delle famiglie: proprio la lingua è spesso un ostacolo al dialogo tra genitori e insegnanti. «Verissimo, ed è per questo che abbiamo avviato corsi di italiano per le madri. La risposta è stata entusiasmante: abbiamo più richieste che posti disponibili».
Brescia storicamente è la città del cattolicesimo solidale, da decenni associazioni e volontariato sono abituati a dare una risposta «in proprio» ai grandi cambiamenti. Sul fronte dell’immigrazione la regola è stata rispettata. La Fondazione Piccini si occupa di diritti e progetti sociali per gli stranieri e lì il dato del sorpasso delle culle multietniche su quelle italiane non sorprende: «In prospettiva — racconta Franco Valenti, presidente della fondazione — vediamo alcune criticità. È molto basso l’accesso dei figli di stranieri a licei e università» .
Claudio Del Frate