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 2013  novembre 29 Venerdì calendario

IL RECUPERATORE DI CREDITI


È ora di pranzo quando Maria Cortese, 35 anni, entra nel vivo del suo lavoro. Nel cortile di uno stabile grigio e un po’ malconcio all’Eur, Roma Sud, individua sui campanelli il nome che stava cercando. Suona. Silenzio. Risuona. Silenzio ancora, poi lentamente in alto si apre una finestra e un uomo si affaccia. «Sono un funzionario», si presenta Maria. «Funzionario?» chiede l’uomo.
È il primo rischio della giornata. Farsi sentire dai vicini potrebbe costarle una denuncia ai carabinieri. Violazione della privacy. «Mi manda la banca» risponde lei smorzando il tono di voce. In pochi secondi l’uomo scende e ascolta le contestazioni: da dieci anni ha un debito di 33 mila euro nei confronti CitiFinanza, società italiana di credito al consumo controllata Citigroup. Aveva iniziato a pagare le rate, poi ha smesso e gli interessi l’hanno riportato al punto di partenza. «Questo è tornato a zero», aveva riassunto Maria Cortese un attimo prima aprendo la sua posizione sull’iPad. Citigroup nel frattempo sarebbe fallita sotto il peso dei mutui subprime se il governo degli Stati Uniti non l’avesse salvata con aiuti, secondo i calcoli del Congresso Usa, per 476 miliardi di dollari. Quel debito in default da 33 mila euro alla periferia di Roma invece ha continuato a crescere con gli interessi mentre passava di mano. Citi l’ha venduto a un’altra banca, che l’ha venduto a una terza, che l’ha comprato probabilmente a 330 euro (l’1% del valore nominale) o al massimo a 660 o a 990. È la catena alimentare del credito in insolvenza.

Tutto ciò che l’ultima banca nella fila riuscirà a recuperare dal debitore al di sopra di quelle poche centinaia di euro, sarà il suo guadagno. «Se recupero tutta la somma la banca mandante fa bingo », calcola Maria Cortese.
Di per sé non sarebbe un male per l’economia italiana. Secondo gran parte degli esperti, rivendere sottocosto vecchi crediti inesigibili aiuta le banche a rimuovere le macerie della crisi e fare spazio per finanziare nuovi investimenti, che creano posti di lavoro. È simile a una sorta di smaltimento rifiuti finanziari, non fosse che riguarda madri e padri di famiglia, disoccupati, persone che rischiano di perdere la casa o non si possono più permettere un’alimentazione equilibrata per sé e i propri figli. È su gente così che lavorano ogni giorno Maria Cortese e almeno altri ventimila come lei. Solo cinque anni fa erano poco più della metà, ma questo è un mestiere in rapida espansione in un Paese sempre più a corto di posti di lavoro: il recuperatore di crediti.
Maria, nel cortile della casa all’Eur, smette di parlare non appena l’uomo che cercava inizia a dare segni di stress. Si copre di chiazze rosse sul viso, gli tremano le palpebre. «La finanziaria mi ha truffato, le faccio causa — dice — . Non mi mandate il recuperatore, perché non torna». E si ritira in casa. Maria risale nella sua Smart e segna su un foglio alla colonna «Nvp», «Non vuole pagare». «Non ha neanche capito che il recuperatore sono io. La tipica persona che non ammette il suo problema. Quando danno la colpa ad altri, vuol dire che non c’è niente da fare». Maria Cortese imposta il navigatore al prossimo indirizzo e mette in moto. Qui non tornerà, la legge dei grandi numeri le dice che non le conviene. «Sono talmente tanti che non ha senso insistere, questa settimana devo farne cinquantacinque».
In genere in Italia la cessione di crediti a società terze, che a loro volta si affidano ai recuperatori, avviene solo per una piccola parte degli impieghi bancari. Il grosso dei debiti in insolvenza sono mutui immobiliari o i prestiti alle imprese, ma hanno poco mercato perché in Italia è difficile mettersi d’accordo sul valore reale dei beni posti a garanzia e le procedure giudiziarie sono lente. Restano dunque solo i prestiti concessi alle famiglie dietro la garanzia di una firma per comprare un motorino, andare dal dentista o anche solo arrivare al giorno in cui un datore di lavoro salderà le mensilità arretrate. Solo nella prima metà di quest’anno in Italia sono state aperte 71 mila posizioni del genere per 23,4 miliardi, stima Assofin. E Banca d’Italia riporta che a metà 2013 i prestiti al consumo «deteriorati», cioè in varie forme di insolvenza, valevano 12,9 miliardi di euro, in aumento del 6,7% rispetto a sei mesi prima. Vista l’entità media di questi prestiti, sotto i diecimila euro, significa che le famiglie in questo tipo di default sono circa un milione e mezzo. Con mogli, figli, nipoti, sei milioni di italiani sono coinvolti. È su di loro che lavora il piccolo esercito dei ventimila recuperatori.
Maria Cortese lo fa con una partita Iva individuale per conto della Nemesis Credit, una società fondata nel 2011 al Torrino, vicino all’Eur, il cui motto (in latino) è: «Chi chiede timidamente, insegna a rifiutare». Ha iniziato a lavorare a quattordici anni, dice, «sbucciando patate, pulendo i bagni, servendo pizze». Poi è entrata in un call center della «3», la società telefonica, ed è salita di grado come agente di commercio. Da marzo scorso è diventata recuperatore. Per legge quelli come lei non vengono regolati o vigilati dalla Banca d’Italia, vanno solo segnalati alla Questura. Alla Nemesis devono superare vari colloqui e un test psicologico di otto ore prima di essere ammessi a suonare alla porta di un debitore. L’amministratrice, Debora Beltratti, conta di raddoppiare lo staff nel 2014 ma non trova abbastanza persone adatte. Ne licenzia anche molti. Poiché la media è un successo ogni dieci tentativi sui debitori, Beltratti spesso ha mandato via funzionari se vantavano tassi di recupero più alti: può essere una spia che hanno minacciano o tormentato le famiglie in default.
Non tutti sono così corretti, anche perché i recuperatori guadagnano fra il 5% e il 10% sulle somme che riescono a far pagare ai debitori. Se non estraggono nulla, hanno speso i soldi della benzina e tornano a casa in perdita. Carabinieri e polizia in tutt’Italia hanno collezioni di denunce per molestie o pressioni indebite dei recuperatori, a cui si aggiunge l’universo parallelo e del tutto criminale di chi terrorizza o organizza pestaggi per conto delle mafie usuraie.
Quello di Maria Cortese è un altro mondo, in cui le pressioni devono restare nelle regole. Verso fine pomeriggio parcheggia la Smart alla Cecchignola, la cittadella dei militari, e controlla l’indirizzo che le hanno dato dal «back office». Nemesis ha quattordici dipendenti che passano le giornate in un’opera continua di intelligence per localizzare i debitori con un telefono e un computer. Gli addetti vanno su Facebook per capire dove abitano e che vita fanno, ma più spesso chiedono conferma ai comuni. Come nell’Italia fascista che praticava i dazi cittadini sulle merci in arrivo da altre municipalità, oggi sulla base della stessa legge nazionale i comuni fanno pagare la fornitura degli stessi dati anagrafici in modo diverso: chi gratis, chi vuole 0,26 centesimi o un euro per indirizzo, chi chiede una marca da bollo da 16 euro prima di confermare una residenza.
Quello alla Cecchignola è corretto, peccato che nessuno risponda. Maria lascia un avviso che da regolamento dev’essere messo in evidenza, ma non può rivelare il motivo della visita né somigliare a un atto giudiziario («il foglio non può essere né rosa né grigio»). Mentre al telefono chiede a un’amica di andarle a prendere i due figli a scuola, lei gira a vuoto fra i ponti del Laurentino 38 in cerca di un debitore. È una zona di casermoni popolari su cui grava il degrado, le macchie di umido sui muri, lo spaccio in pieno giorno. «A volte entro in case dove si mangia solo pasta e olio», dice Maria. «In questo mestiere non devi farti toccare da quello che vedi, devi tenerlo fuori altrimenti ti fa male». Per famiglie così, quando cercano di saldare, fa piani di rientro per poche migliaia di euro spalmati su un decennio. «Ma se li forzi troppo li danneggi per nulla: finiscono solo con le cambiali in protesto». Per essere riuscita in molte operazioni così, Maria a fine mese avrà da Nemesis un premio produttività di duemila euro. «A regime farei anche 2.500-3.000 al mese, se non fosse che accanto a me in auto sta sempre seduto lo Stato che si prende la metà».
Ma ormai è sera, Maria è a fine lista. Arriva a un bel palazzo dell’Eur e mentre sale al quarto piano nota il portiere, segno di benessere. Questa è una signora in default per 2.200 euro da 15 anni: aveva fatto un finanziamento per un set di pentole ma non ha pagato, si difende la debitrice, perché le hanno mandato la merce sbagliata. «Una storia vecchia», aggiunge, «che senso ha?». Maria è seccata; questa è un’altra «npv», non vuol pagare. Risponde a muso duro: «Signora, a differenza dei reati i debiti non vanno mai in prescrizione». Si alza per andarsene, e si capisce dal tono che avrà già ripetuto la stessa frase migliaia di volte.