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 2013  novembre 29 Venerdì calendario

LA DALIA IMPERIALE UNA GIGANTESSA GENTILE


Forse troppo alta, sproporzionata, certamente affascinante proprio per il suo gigantismo, la Dahlia Imperialis è da sempre giudicata una pianta da collezione o da giardini botanici: è specie solitamente trattata come rarità, anche se molto facile da coltivare. Questa dalia, dall’alto dei suoi sei metri (e più!) di gambo, può essere una curiosa e vistosa vedetta del giardino: una vera Gulliver delle piante da fiore.
La prima volta che ne vidi una fu a Villa Hambury alla Mortola in un autunno di una cinquantina di anni fa: rimasi esterrefatto di fronte ad una pianta così strana, bella e gigante. Una rarità che gli inglesi, con il loro innato intuito botanico e la loro passione per l’eccentrico, ampiamente diffusero nei giardini temperati della Riviera e della Sicilia. Con la Grande Guerra qui in Italia pare se ne persero le tracce, caduta vittima dell’abbandono o del disinteresse.
Fu soltanto negli Anni Trenta che Mario Calvino, celebre padre di celebre figlio, direttore della Stazione sperimentale di floricoltura di Sanremo, la reintrodusse direttamente dal Guatemala. Gli altopiani del Centro e Sud America sono infatti il suo luogo d’origine (come pare per tutte le dalie…) e sembra che gli ingegnosi Aztechi usassero gli alti fusti legnosi della Dahlia imperialis, cavi come quelli del bambù, come tubi per trasportare l’acqua dalle sorgenti alle case e ai campi.
Una vera risorsa rinnovabile e velocemente «rinnovata»: ogni anno in inverno la Dahlia imperialis perde la parte aerea per poi in primavera ricrescere dal tubero con una velocità spesso superiore al metro per mese. Fu segnalata per la prima volte nel «Libellus de Medicinalibus Indorum Herbis» del 1552, il manoscritto in antica lingua azteca (tlatelolco!) che descrive e raffigura con accuratezza le piante medicamentose utilizzate dagli indigeni messicani.
Le dalie furono introdotte nei giardini Europei soltanto nel XVIII secolo, quando l’abate Cavanilles, illuminato direttore del Giardino Botanico di Madrid, ne ricevette i semi da oltreoceano. Sperimentò dapprima la coltivazione delle dalie a scopo alimentare ma il mefitico sapore ne decise un uso puramente ornamentale tanto da diventare di moda col nome azteco di «Cocoxochitl» ed essere coltivate come variopinte novità in grandi quantità nei giardini di Spagna e in particolare nel giardino cimiteriale dell’Escorial. Mentre col nome di Georgine nel secolo successivo si diffusero in tutta Europa.
A differenza delle sue sorelle, però, la Dahlia imperialis arrivò molto dopo e non conobbe mai la fortuna (o la sfortuna) di essere un fiore di moda. La portò intorno al 1870 l’austriaco Benedikt Roezl, già famoso scopritore di orchidee, affascinato dai grandi fiori campanulati, per cui può essere chiamata, anche se non frequentemente, albero delle campane.
Nei suoi numerosi «Guinness» di eccezionalità, annovera anche il ruolo del «fuori stagione», con il gradevolissimo pregio di fiorire a inizio novembre, quando il resto del giardino va in riposo.
Preferisce terreni freschi, profondi, ben drenati e vigorosamente concimati, poiché tanto vigore vegetativo richiede un’adeguata, abbondante e ricca alimentazione. Piantai la Dahlia imperialis nel giardino di Revello (Cuneo) tantissimi anni fa: in quindici anni, spesso bruciata dai frequenti primi geli di novembre, riuscì a fiorire soltanto tre o quattro volte, e non superò il grande freddo del 1985.
È evidentemente una pianta molto meno rustica di quello che potrebbe sembrare: nei climi continentali è necessario scegliere una posizione molto soleggiata e molto ben riparata dai venti. E soprattutto avere l’accortezza di ritirare il tubero a fine novembre dopo la fioritura. Nei climi miti infatti può anche essere lasciato in terra: una buona copertura e pacciamatura invernale, più che auspicabile, è necessaria per proteggere e far ben crescere questa grande, grossa ed un po’ scordinata gigantessa.