Stefano Rizzato, La Stampa 29/11/2013, 29 novembre 2013
TROPPI, POVERI MA BELLI I MUSEI NON FANNO RETE
A guardarli da vicino, somigliano tanto a tante nostre aziende. Quasi sempre di piccola o media grandezza, poco propensi a comunicare, spesso incapaci di fare rete e aprirsi davvero all’estero. Eppure pieni di qualità e in grado di generare eccellenze famose e apprezzate in tutto il mondo.
A guardare da vicino musei, aree archeologiche e monumenti d’Italia – statali e non – è la prima indagine completa sul settore, compilata dall’Istat in collaborazione con il Ministero dei beni culturali. Un censimento che ha contato ben 4.588 strutture: una ogni tre comuni italiani e 13 mila abitanti, una e mezza ogni cento chilometri quadrati.
La costellazione non potrebbe essere più varia e diversificata. Soprattutto per capacità di attrarre visitatori. Oltre metà del pubblico, infatti, finisce per concentrarsi in tre regioni: Toscana (22,1%), Lazio (20,1%) e Lombardia (8,8%). A staccare il 30 per cento dei biglietti totali è lo 0,3% di musei e simili, la quota che riunisce le prime 15 strutture di una classifica parecchio allungata. Sono i colossi della cultura italiana, una lista che include Colosseo e Uffizi, Palazzo Ducale e scavi di Pompei, insieme ai pochi altri centri capaci di generare ciascuno circa un milione di ingressi l’anno.
I dati si riferiscono al 2011, ma restituiscono un’immagine nota. Quella di un’Italia, che procede a due velocità. Da un lato c’è una sorta di serie A della cultura: poche decine di realtà che rappresentano la parte più nota, internazionale ed efficiente del sistema. Dall’altro, troviamo centinaia di strutture disperse sul territorio e che a volte rischiano l’oblio. Basta guardare i dati sui musei di Abruzzo e Molise, che – in media – non arrivano a 4.500 ospiti l’anno e vanno avanti al ritmo non proprio eccezionale di dieci o 15 visite al giorno.
Con pochissime eccezioni, la qualità del patrimonio messo in mostra non si discute. Invece, qualche riflessione andrebbe fatta su organizzazione e capacità di comunicare. Ben il 43 per cento dei nostri musei ammette di non collaborare con altre istituzioni culturali presenti sul territorio. Meno di un quarto offre agevolazioni legate a trasporti o altri servizi pubblici.
Eppure, nell’era dei coupon e del tutto incluso, fare sistema e riunirsi in consorzio, proporre percorsi e pacchetti complessivi, tornerebbe assai utile. Altro tasto dolente è la visibilità in Rete. Nel 2011, ad avere un proprio sito web era solo la metà dei musei italiani e solo il 42,3 per cento offriva un calendario online per iniziative ed eventi. Probabile che, a due anni dalla rilevazione Istat, la situazione sia migliorata, ma il ritardo è di quelli che colpiscono.
Come da tradizione italica, la carta invece non manca (quasi) mai: nell’81 per cento di musei e simili si trovano opuscoli e cataloghi stampati, nel 75 per cento c’è anche un pannello che spiega ogni opera d’arte esposta.
Colpisce in negativo anche la poca predisposizione alle lingue, altro settore in cui i musei italiani diventano specchio di tutto il Paese. Solo il 42,5 per cento di chi lavora tra scavi, quadri e sculture è in grado di fornire informazioni in inglese. Meno di un quarto (il 23,2%) conosce il francese e ancora peggio va con tedesco (9,7%) e lo spagnolo (7%). Un’autentica rarità è trovare qualcuno capace di comunicare in arabo – lo sanno due addetti su mille – o cinese (uno su mille), come avranno già sperimentato i tanti nuovi ricchi in arrivo da Oriente a visitare le nostre bellezze.
Per fortuna, proprio i turisti finora non si sono fatti scoraggiare e nel complesso è straniero il 45 per cento di chi visita il nostro patrimonio artistico e culturale.